Omelie 2024 di don Giorgio: QUARTA DOPO PENTECOSTE

16 giugno 2024: QUARTA DOPO PENTECOSTE
Gen 18,17-21; 19,1.12-13.15.23-29; 1Cor 6,9-12; Mt 22,1-14
Sono convinto che, se mancassimo di ottimismo, o, diciamo meglio, non avessimo neppure un granello di ottimismo, vivere su questa terra sarebbe impossibile, direi un inferno. Quando ogni giorno mi alzo prestissimo al mattino, mi è istintivo elevare subito un pensiero all’Onnipotente, e dirgli: “Mi fido ancora di te”. Poi, basta aprire qualche giornale online e un oceano di brutte notizie sembra togliermi ogni respiro e l’ottimismo mi va sotto i piedi, ma, nonostante tutto, prego Dio: “Mi fido ancora di te!”. Sta qui la forza del mio lottare quotidiano, nonostante un’età che potrebbe giustificare un doveroso quieto vivere, standomene fuori dalla mischia, per godermi in pace gli ultimi istanti della mia esistenza.
Le letture di oggi non possono lasciare in pace neppure gli angeli celesti: i fatti narrati sono drammaticamente così urtanti e provocatori da chiedermi: Se Dio non scherza, come posso starmene quieto, come se niente fosse? Come posso non pormi la domanda: ma che mondo è mai questo? Dio non ha forse detto, dopo aver creato il mondo: È cosa buona? Come si può distruggere una cosa buona uscita dalla mente divina?
Le letture di oggi ci presentano due scene o due immagini in netto contrasto tra loro: da una parte abbiamo un banchetto di nozze, raccontato dal Vangelo di Matteo (22,1-14) e dall’altra, raccontata dalla Genesi, la descrizione della distruzione delle città di Sodoma e Gomorra ridotte a una assolata distesa di fuoco e di sale.
Vediamo di chiarire il contesto, per cogliere meglio il senso del racconto, senza dimenticare che è parola di Dio, per cui l’intento dell’autore sacro non si limita a narrare fatti, ma li narra cogliendo il pensiero di Dio.
Quando Abramo nelle sue peregrinazioni arriva in un ambiente depresso e arso dal sale non trova ospitalità, non è possibile per lui, per la sua grande famiglia, per i suoi servi e per le sue greggi, avere una qualche forma di riparo e di ristoro. Come abbeverare le persone e le bestie? dove trovare pascolo e dove trascorrere la notte per gente che pure era abituata ad attraversare deserti e a superare difficoltà oggi a dir poco inimmaginabili? E poi, come può esserci un luogo simile sulla terra? A che cosa è dovuto?
Noi sappiamo che c’è una risposta scientifica, ed è il fatto che il Mar Morto, che si trova a 400 metri sotto il livello del mare, riceve acqua dal fiume Giordano, ma non ha alcun emissario e man mano che l’acqua evapora, il sale vi si concentra a tal punto da rendere impossibile la vita.
Ma tale risposta scientifica, supposto che l’antico ebreo l’avesse già conosciuta, non basta mai per l’uomo di fede, che va oltre ogni risposta scientifica, ponendosi un interrogativo che tocca tutto il suo essere interiore: come può l’Eterno che ha fatto bene ogni cosa permettere che ci sia un luogo così inospitale? Come si può passare dal banchetto che Dio prepara per tutta l’umanità al fatto di ridurre tutto a una distesa arida?
La risposta umana va subito a cercare una colpa: se succede questo, la colpa è di qualcuno e rinvia alla responsabilità dell’uomo, alla nostra libertà di creature.
E questo è anche vero, ma sia la Genesi, sia la parabola secondo Matteo e anche l’elenco di Paolo ci ricordano un principio che forse ci sfugge, ed è il principio di interdipendenza.
Dal racconto della Genesi veniamo a sapere che due città come Sodoma e Gomorra, città emblema di depravazione, corruzione e violenza, vengono annientate da un fuoco che piove dal cielo. Appare chiaro che ciò che il linguaggio biblico definisce un «castigo di Dio», è la conseguenza drammatica di scelte e di comportamenti umani sbagliati, a causa di un egoismo cieco, di un’avidità insaziabile e di una prepotenza fuori controllo.
Ecco l’interdipendenza, di cui parlavo: l’uomo di fede, e tale era l’uomo biblico, è costituito su tre relazioni fondamentali: con Dio, con gli altri e con il creato. Nel momento in cui neghiamo questa interconnessione profonda provochiamo un corto circuito.
In breve: se noi riceviamo il mondo come un dono di Dio e se accogliamo l’altro anch’egli come un dono, la vita fiorisce e la fraternità umana è possibile. Ma nel momento in cui facciamo da padroni nel mondo, nel momento in cui l’altro non è più accolto come un dono, ma viene respinto o sfruttato… allora le nostre città sono destinate a diventare altrettante Sodoma e Gomorra.
Sembrerebbe una verità elementare! Eppure non ci comportiamo così: da che mondo è mondo, i figli di Dio si comportano da figli del diavolo, dando alla parola “diavolo” il suo senso etimologico, colui che divide, rompe l’interconnessione tra Dio e il creato, in nome di un ego che mette al centro unicamente se stesso. E così Dio conta se fa comodo, per cui mi faccio un idolo tutto mio; gli altri contano se fanno comodo, per cui li sfrutto e se non mi servono li ributto in mare; il creato conta se fa comodo, per cui predico bene e poi razzolo male.
L’autore sacro scrive che la crudeltà e la perversione degli abitanti di Sodoma e di Gomorra erano tali da sembrare addirittura impossibile a Dio, al punto che all’inizio della Genesi afferma: «Voglio scendere a vedere se proprio hanno fatto tutto il male di cui è giunto il grido fino a me; lo voglio sapere!» (18,21). Dio stesso parrebbe non credere alla capacità umana di travisare il dono della creazione e il dono dell’altro e di arrivare a tal punto di depravazione.
Il panorama desolante del mare di sale su cui piove fuoco e zolfo costituisce un monito per noi in quanto anticipa l’esito del mondo che stiamo costruendo con gli egoismi di pochi e le avidità di chi non possiede mai abbastanza.
Mi verrebbe anche facile dire che in genere la questione ambientale è connessa a quella politica, che oggi è sempre più sottomessa a quella finanziaria, come dimostrano i fallimenti dei vertici mondiali sull’ambiente. Ma è anche una forma di egoismo stare sulle generali, e fare discorsi generici, e poi succede che nel nostro piccolo chiudiamo gli occhi, dando via via a scempi ambientali di amministrazioni locali criminali.
Ma rispondetemi per favore: come si può parlare oggi di dono, dii gratuità, di bene comune, di interconnessione da rispettare tra Dio e l’Universo? Dono, gratuità, Dio, spirito, esseri umani, mondo interiore, bene comune, interconnessione, ecc. ecc. parole uscite fuori dal vocabolario politico, e anche nostro di cittadini ridotti a oggetti di consumo.
La moglie di Lot che si volta indietro, quasi a rimpiangere le condizioni della vita di prima, fondate sulla corruzione e sul vizio, e che diventa una statua di sale è un’immagine eloquente che scuote la nostra indifferenza o non volontà a diventare capaci di fermarci almeno un attimo, qualcuno direbbe forse un secolo, aspettando che l’anima rimasta indietro ci raggiunga. Forse è giunto il momento di prendere sul serio il detto: “meno è di più”, che tuttavia non ha la forza del distacco radicale degli antichi filosofi e dei mistici medievali, che dicevano: via tutto, se vogliamo riscoprire l’essenzialità, che denuda ogni ego, ogni delirio d’onnipotenza, ogni imbecillità umana. Purtroppo l’uomo moderno prende il meno o il distacco dal di più non necessario come una umiliazione della libertà e del progresso.

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