16 settembre 2018: TERZA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
Is 32,15-20; Rm 5,5b-11; Gv 3,1-13
Anche nei tre brani della Messa di questa domenica troviamo una parola che li collega: una parola che è per eccellenza: soffio vivente, ovvero lo Spirito divino.
“… in noi sarà infuso uno spirito dall’alto”
Partiamo dal brano di Isaia. È breve, ma basterebbe questo per sintetizzare sia l’Antico che il Nuovo Testamento. Il testo va anzitutto inquadrato in una realtà storica drammatica. Siamo nel sec. VIII a.C.. Il piccolo Regno di Giuda è sotto la minaccia dell’Impero assiro, mentre sogna alleati impossibili per liberarsene. Al cap. 31 Isaia aveva messo in guardia dal cercare alleanze: «Guai a quanti scendono in Egitto per cercare aiuto, pongono la speranza nei cavalli e confidano nei carri perché numerosi» (31,1).
Il profeta garantisce che «cadrà l’Assiria sotto una spada che non è umana» (31,8) e perciò può immaginare, per un futuro indeterminato, «un re che regnerà secondo giustizia e i capi che governeranno secondo il diritto» (32,1).
Il testo è un bellissimo progetto etico per il mondo politico e per una società finalmente coraggiosa che si costruisce, senza timore, nella pace. «Non saranno più accecati gli occhi di chi vede e gli orecchi di chi sente staranno attenti… L’ignobile non sarà più chiamato nobile né l’imbroglione sarà detto gentiluomo» (32,3-5).
Dopo un intermezzo, curioso, nel contesto ebraico in cui, particolarmente, si parla delle donne baldanzose (32,9) che probabilmente, nel testo, rappresentano una spensieratezza vanesia e irresponsabile per la realtà concreta di pericolo e di morte, si ritrova nel brano di oggi una profezia di speranza. La futura liberazione, presentata come una nuova creazione, farà fiorire la terra più arida. È un orizzonte simbolico, come appare dall’elenco degli abitanti di questa specie di paradiso terrestre: saranno il Diritto, la Giustizia, la Pace, la Sicurezza e la Tranquillità personificate a vivere in un mondo rinnovato. Il deserto diventerà un giardino.
Anche qui, una riflessione
Certo, la simbologia è affascinante, coinvolgente, ma è pur sempre una simbologia che chiede di essere incarnata nella realtà del tempo. Ma il tempo sembra prolungare la realizzazione della promessa divina o profetica. Il nostro è ancora il momento dell’attesa, ma più che momento dell’attesa sembra il momento di una barbarie che si impone ovunque, giocando nel disfare l’onestà e il diritto, la libertà e la giustizia, nel violentare i diritti inalienabili dell’essere umano.
Vorrei farvi riflettere su una cosa, che è di estrema importanza: i diritti degli esseri umani si fondano sui doveri insiti nel profondo dell’essere umano, il quale va assolutamente rispettato in quanto essere umano.
Abbiamo il “dovere” di essere noi stessi: da qui nasce il diritto ad essere rispettati nella interiorità del nostro essere umano. Ma la politica di sempre, anche quella di oggi, mira a fare dell’essere umano una questione di pelle, di pancia, di interessi materiali, di un qualcosa di esteriore e di egoistico.
Provate a mettere insieme esteriorità ed egoismo, pelle e individualismo selvaggio, e vi farete una certa idea di questa attuale società, dove a prevalere sono i diritti della pancia di ciascuno, ritenuta il centro della terra. Quando a prevalere è l’egoismo di ciascuno, allora rimangono solo i diritti individuali, mentre diminuiscono i diritti degli altri esseri umani e aumentano i loro doveri nei riguardi dei diritti individuali dell’egoista.
Dove sta la forza misteriosa per una nuova creazione?
Dove sta la forza misteriosa per una nuova creazione? All’inizio del primo brano di oggi troviamo la risposta: «… in noi sarà infuso uno spirito dall’alto».
La nuova creazione richiama la prima, quando, scrive l’autore sacro, «In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque» (Gen 1,1-2).
L’apostolo Paolo così scrive ai cristiani di Roma: «L’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato», e Gesù nel dialogo con Nicodemo dice: ««In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall’alto, non può vedere il regno di Dio… Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito».
Questo brano del Vangelo di Giovanni, l’unico evangelista a riportare il dialogo notturno di Gesù con un noto capo dei Giudei, è centrale nella Mistica medievale. In realtà, si tratta di affermazioni che vanno ben al di là di una religiosità, e non solo di quella ebraica, che si è fermata alla carne. Qui è in gioco lo stesso concetto di nascita carnale del Figlio di Dio, che purtroppo predomina ancora in una certa struttura dogmatica della Chiesa.
Gesù a Nicodemo, sorpreso e scandalizzato, rivela quel Mistero della perenne Rinascita divina, assolutamente fuori dalla portata di una mentalità religiosa, che è chiusa al mondo di un Divino che agisce nella profondità dell’essere umano.
Il vero culto è quello interiore: Gesù lo dirà poi alla donna samaritana. Anche qui ci sconvolge il comportamento di Gesù: parla di realtà superiori sia con i dottori della legge sia con delle persone del tutto semplici e quasi analfabete nel campo dottrinale.
Già questo dovrebbe far riflettere noi preti: pensiamo di rivelare i misteri di Dio (lasciamo perdere poi il come li riveliamo!) agli intellettuali o a gente di una certa cultura, lasciando le persone meno colte nella loro ignoranza, predicando loro qualche favoletta, con la scusa: Tanto non capiscono! E così è successo che la massa, lasciata ignorante, si è fatta sempre più ignorante, ed è finita nelle mani degli imbonitori menzogneri, i quali parlano alla pancia, perché sanno che la pancia si nutre di ogni cibo, anche delle menzogne.
L’ho già detto: non lamentiamoci se oggi in Italia impera l’analfabetismo populista, quando da anni noi credenti ci siamo dimenticati il mondo interiore dell’essere, creando un vuoto spaventoso, riempito da una degenerazione culturale che sta frantumando lo stesso essere umano. E non basta scandalizzarci, se poi non diamo inizio ad un’opera culturale che parta proprio dall’essere umano.
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