Omelie 2024 di don Giorgio: QUINTA DI QUARESIMA

17 marzo 2024: QUINTA DI QUARESIMA
Dt 6,4a.20-25; Ef 5,15-20; Gv 11,1-53
Nel terzo brano della Messa si narra un altro grande miracolo, e anche qui siamo tentati dalla sua spettacolarità: in realtà, la narrazione di Giovanni si sofferma sul dialogo tra il Maestro e le due sorelle Marta e Maria. Gesù dice a Marta: «Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi questo?». Qui sta il cuore della narrazione di Giovanni.
Notiamo le parole «Chi crede in me, anche se muore, vivrà». Prima, dunque, la Fede; e dalla Fede proviene la Vita. Fede, anche qui è quella purezza di fiducia in quel Dio che è purissimo spirito. Credere significa: “apro gli occhi dello spirito e vedo Dio”. Chi vede Dio scopre la Sorgente della vita. Dunque, chi “vede” Dio, “vive”.
Gesù dice: “Chi crede in me, anche se muore, vivrà”. Forse quell’«anche» è un di più. I Mistici medievali direbbero: solo chi muore può vivere. E prima dei Mistici medievali lo dicevano gli antichi filosofi greci: per Socrate e per Platone solo chi si distacca dal corpo vive. L’anima è come prigioniera del corpo. Il corpo soffoca l’anima o lo spirito. Il distacco dal corpo è la condizione preliminare e indispensabile perché lo spirito possa vivere.
Possiamo allora parafrasare così le parole di Cristo a Marta: “chi crede in me – e può credere solo se muore, ovvero si distacca dalla carnalità – potrà vivere in pienezza”.
Certo, che significa “vivere”? Qui sta il problema. Lazzaro è tornato in vita, fisicamente, ma poi di nuovo, fra un tot di anni, è stato colpito dalla morte. E allora che significato ha il miracolo di Gesù? Aver restituito a Lazzaro solo qualche anno in più di vita terrena?
Per Giovanni, lo ripeto, ogni miracolo è un “segno”, che va oltre la fisicità di un gesto. Nel miracolo va colto quel Mistero divino che va oltre la carnalità del tempo e dello spazio.
Possiamo dire che il cuore del racconto di Giovanni è in tre parole, che avrebbero dovuto da millenni sconvolgere la Fede della Chiesa nel Mistero di Dio.
Le tre parole: “sono”, “risurrezione”, “vita”. Ovvero, «Io sono la risurrezione e la vita»: Gesù, rivolgendosi a Marta, sorella di Maria e di Lazzaro, dà di se stesso la più straordinaria rivelazione.
“Io sono”. Gesù mette subito in chiaro, e dice: “Io sono”, ovvero “Io sono l’Essere”, ovvero “Io sono Essenzialità divina”. Gesù non dice: “Io ho…”, che è la formula classica del potere umano.
Gesù invece dice: “Io sono”. Sta qui la differenza abissale tra Dio essere e la carnalità umana. Pur incarnatosi, ovvero fattosi carne, il Figlio di Dio è e resterà “Io sono”.
Quando il Figlio di Dio dice: “Io sono”, usa il verbo “essere” al presente. Non dice “Io sarò o sono stato”. Sta qui la Novità divina. Sta qui il messaggio autentico del racconto del miracolo di Lazzaro. Sta qui il cuore della Mistica. D’altronde, senza entrare nel difficile, l’essere è al presente, sempre al presente. Dio “è”. In quel “Dio è” c’è tutto, c’è il Tutto divino.
In quel “Io sono” si elimina ogni futuro, inteso come realtà che verrà dopo la morte. “Io sono” è la migliore definizione di Dio come l’Eterno sempre presente: un Eterno che inizia prima del tempo, dura nel tempo, per poi costituire la realtà del dopo tempo.
La Risurrezione sta nell’«essere». Ogni essere in quanto tale è Risurrezione, ovvero è Eternità. L’essere umano è potenzialmente Risurrezione. “Potenzialmente”, perché in quanto essere è “possibile” di Risurrezione, ma in quanto umano non è già Risurrezione. In quanto corpo e psiche, si può bloccare la Risurrezione.
La Risurrezione richiama subito la Luce. La Risurrezione è Luce. La Luce richiama il Cristo risorto. Addirittura l’evangelista Giovanni vede la Croce in un alone di luce: la Croce è già “segno” di Risurrezione. E allora dire Risurrezione e dire Luce sono la stessa cosa. La Luce richiama le origini del Creato, quando dalla Luce è nato l’universo, ovvero la vita.
Naturalmente quando si parla di vita, non si intende quella fisica, ma quella realtà che è di natura spirituale. Solo lo Spirito è Vita, perché lo Spirito non è carne che si consuma nel tempo. Il tempo consuma la carne, ma non può consumare lo spirito. Lo spirito è già Risurrezione. Più diamo spazio allo spirito dentro di noi, più diamo spazio in noi alla Luce e alla Vita.
«Io sono la risurrezione e la vita», ha detto Gesù a Marta, sconvolgendola nella sua idea di Dio.
Anche noi possiamo dire: ”Io sono la risurrezione e la vita”, sconvolgendo quell’idea di Dio che è tipica della religione.
Possiamo dire che il miracolo di Lazzaro anticipa il vero significato della risurrezione di Cristo. Alle donne che corrono di buon mattino al sepolcro per profumare con aromi il suo corpo esanime secondo le usanze del tempo, due angeli dicono: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto!».
Che significano allora le parole: “Colui che è vivo”? E perché noi cristiani cerchiamo il Vivente tra i morti? Ed ecco la parte finale della narrazione di Giovanni.
Fin da piccolo, quando sentivo leggere, talora drammaticamente, le parole di Gesù rivolte alla tomba, mi venivano i brividi pensando all’urlo quasi violento di Cristo. «Vieni fuori!». Fuori da che cosa? Dalla tomba! E la tomba me la immaginavo in un certo modo: quasi una grotta di dura pietra, che oramai teneva prigioniero il corpo cadaverico di Lazzaro. Si viene “fuori” da una tomba per entrare nella vita. Si viene “fuori” dalla tomba di una carnalità putrefatta. In questa società carnale, il corpo è già morto! Eppure, non ci accorgiamo, e ci sembra di vivere. Sta qui il dramma: credere di vivere, e siamo morti.
«Vieni fuori!». Dunque, usciamo dalla carnalità putrefatta – anche se apparentemente dirompente, ma è tutta una finzione – per rientrare nella vita, che è dentro di noi.
Ma noi siamo fuori di noi stessi, e “fuori” siamo come in una tomba, e Cristo ci urla di uscire dalla tomba di una esistenza cadaverica per rientrare dentro di noi.
Anche il cadavere di Cristo è uscito dalla tomba, ed è Risorto nella sua potenza divina. Non più come corpo, ma come Spirito. Ed è nello Spirito che possiamo risorgere, già ora, in questa travagliata esistenza.
Cristo, davanti alla tomba di Lazzaro, urla: «Vieni fuori!». Urlare davanti a un cadavere che senso può avere? Forse ce l’ha, sordi come siamo di fronte ad ogni richiamo; ma non basta urlare, se poi il cadavere riprende vita, ma rimane fasciato dalle bende. In quell’urlo di Cristo: «Vieni fuori!», vedo un riferimento a quanto è scritto nel libro del Deuteronomio, quando Mosè, il grande condottiero degli Ebrei, invita i suoi a ricordare ai figli ciò che ha fatto il Signore, liberandoli dalla schiavitù egiziana: «Eravamo schiavi del faraone in Egitto e il Signore ci fece uscire dall’Egitto con mano potente… ci fece uscire di là per condurci nella terra che aveva giurato ai nostri padri di darci» (Dt 6,21-23).
“Venire fuori” dalla tomba, regno della morte, e “uscire” dalla schiavitù dell’Egitto richiamano la libertà. Credo che sia questo il significato della risurrezione di Lazzaro, un anticipo di quello che Cristo avrebbe poi fatto sulla croce, donandoci lo Spirito della Libertà.

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