Omelie 2022 di don Giorgio PASQUA NELLA RISUREZIONE DEL SIGNORE

17 aprile 2022: PASQUA NELLA RISUREZIONE DEL SIGNORE
At 1,1-8a; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Tutti gli anni, da due millenni, ovvero da quando, dopo la risurrezione di Cristo, circa l’anno 30 dell’era cristiana, la Chiesa ha introdotto nella Liturgia la celebrazione del Mistero pasquale (diciamo che la Liturgia era ed è il Mistero pasquale), con l’annuncio solenne: “Cristo è risorto”, anche i credenti di oggi sono invitati a rivivere nella Fede quel “passaggio” (“pasqua” significa appunto “passaggio”) dalla morte alla vita che, pur assumendo diversi significati già presso la religiosità ebraica, trova in Gesù Cristo la pienezza salvifica.
Attenzione: dire “salvifica” potrebbe darci una falsa idea della Pasqua cristiana, che proprio per la sua originalità si distingue radicalmente dalla Pasqua ebraica.
L’idea di salvezza era sempre in ogni caso legata alla religiosità di Israele in quanto popolo eletto, ovvero scelto dal Signore per trasmettere un messaggio universale, ovvero: Dio vuole salvi tutti gli esseri umani. Ma Israele tradiva spesso e volentieri l’Alleanza con Dio, e Dio lo puniva, e poi lo salvava. La Pasqua ebraica ricordava uno dei momenti più importanti dell’intervento di Dio per salvare il suo popolo: quello dell’uscita dall’Egitto, il cosiddetto esodo, verso la Terra promessa.
Ridurre la Pasqua a qualcosa di salvifico, o, ancor peggio, come dice San Paolo, a qualcosa di redentivo nel senso di riscatto, toglie al Mistero pasquale il suo senso più profondo.
Che la Chiesa sia ancora legata a una visione diciamo utilitaristica del Mistero pasquale, ciò non toglie che dovremmo almeno tentare di approfondire uno dei Misteri più grandi della nostra Fede cattolica.
Ho detto “ visione utilitaristica della Pasqua”. Voi sapete che ci sono i cosiddetti precetti, di istituzione ecclesiastica: sono cinque. 1. Partecipare alla Messa la domenica e le altre feste comandate e rimanere liberi da lavori e da attività che potrebbero impedire la santificazione di tali giorni; 2. Confessare i propri peccati almeno una volta all’anno; 3. Ricevere il sacramento dell’eucaristia almeno a Pasqua; 4. Astenersi dal mangiare carne e osservare il digiuno nei giorni stabiliti dalla Chiesa; 5. Sovvenire alle necessità materiali della Chiesa stessa, secondo le proprie possibilità.
Mi ricordo ancora, quando ero prete giovane, la lunga fila di uomini davanti al confessionale, il mattino di Pasqua: si confessavano, poi ricevevano la comunione (che veniva distribuita o prima o dopo la Messa), e poi alcuni andavano a casa, senza assistere nemmeno alla Messa. Alla moglie dicevano, esigendo una immaginetta: “Ho fatto Pasqua!”.
Il Mistero pasquale va oltre il peccato, o meglio va oltre quel peccato come noi lo intendiamo. E tanto meno si riduce a una confessione sacramentaria. Qui la Chiesa istituzionale ha le sue colpe, e tante.
Se dobbiamo parlare di peccato, allora parliamo di quel peccato, che i Mistici medievali chiamavano “amor sui”, che è il vero peccato originale, che dà cioè origine, è la fonte di ogni male.
E allora possiamo dire che Cristo è morto su una croce, perché, donandoci il suo Spirito, ciascuno possa sradicare dal proprio io interiore quell’ego, che è amor sui, amore di se stesso, come appropriazione, possesso, egoismo.
Ma la Chiesa istituzionale si è sempre soffermata sul peccato individuale, elencando una lista senza fine di mancanze, distinguendole tra gravi e leggere (peccati mortali e peccati veniali) senza educare la gente a comprendere la vera origine di ogni peccato.
E poi che cosa è successo? Si è passati da una scrupolosità eccessiva, meticolosa (i santi si confessavano anche più volte ogni giorno) fino all’attuale permissività per cui nulla oggi è peccato: tutto lecito. Tutto è saltato di quella impalcatura moralistica con cui la Chiesa istituzionale ha voluto sostituire il mondo dello spirito interiore.
Non basta dire che bisogna educare la coscienza al senso del peccato: dobbiamo comprendere dove sta la fonte del peccato. Anche qui, attenzione: Giovanni Battista, scrive il quarto evangelista, quando vede Gesù venire verso di lui, esclama: “Ecco l’agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo!”, nell’originale greco non c’è scritto i peccati del mondo, come purtroppo la Chiesa ha sempre fatto credere.
Cristo, dunque, è venuto a togliere non tanto i peccati singoli, ma “il peccato” del mondo, ovvero la radice di ogni peccato. “È venuto a togliere”, nel senso che ci aiuta con la sua grazia, il dono dello Spirito, a sradicare dal nostro essere interiore quell’ego, che è amor sui, amore di se stesso, amore del proprio ego.
Sembra quasi dalla Liturgia che non esista più il peccato, perché il Cristo risorto lo ha tolto; così sembra che non esista più la morte, perché Cristo risorto l’ha eliminata. Eppure pecchiamo ancora, e tutti muoiono.
Mi chiedo talora come intendere la Risurrezione di Cristo, e perché la Chiesa insista nel predicare certe corbellerie.
Dobbiamo uscire da una visione carnale di questo mondo. E per farlo dobbiamo rientrare dentro di noi, là dove Cristo può ancora dirci come a Marta, sorella di Maria e di Lazzaro: “Io sono la risurrezione e la vita”.
Quanto vorrei che si capissero le prime due parole: IO SONO. Già contengono le altre due parole: risurrezione e vita. Nell’essere purissimo vi è già la risurrezione, e dunque la vita. Ma come possiamo pretendere di cogliere e di vivere il Cristo risorto, se rimaniamo schiavi di una carnalità che è morte?
Basta dire avere, e tutto si fa buio, tomba di morte. Basta dire essere, e si aprono orizzonti nuovi: una Luce entra in noi, e siamo risorti.
Ma perché la Chiesa istituzionale non riesce a capire, ancora oggi, che alla violenza di un potere omicida, il potere dell’avere, non va contrapposta una via diplomatica, sempre sul piano del potere, ma la via della interiorità di un essere che fatica a imporsi, proprio perché nessuno ne parla, ma si preferisce usare gli stessi strumenti del potere carnale?
IO SONO, disse Gesù nell’orto del Getsemani, e tutti stramazzarono a terra. Se dicessimo: IO SONO, forse i potenti di oggi stramazzerebbero a terra.
La risurrezione di Cristo sta nell’essere, e non nell’avere. Purtroppo l’avere ha il potere di bloccare l’essere e dunque la risurrezione di Cristo. Ecco perché bisogna rientrare in noi, nel nostro essere, e qui troveremo la risurrezione e la vita.

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