Totalitarismo moderno, ma quanti si indignano?

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Totalitarismo moderno, ma quanti si indignano?

Quando sento ancora discutere, e anche litigare, sul fatto che oggi non si dovrebbe più parlare di fascismo, presente in un governo la cui maggiore componente è composta di vetero o neo fascisti, più o meno convinti o opportunisti, allora si dovrebbe riflettere su che cosa s’intenda per fascismo.
È vero: la storia torna, ma non ritorna esattamente al punto di partenza. Se dobbiamo parlare di ritorni storici, allora pensiamo a una spirale o a dei tornanti di una montagna. Ma non è che di per sé una spirale sale, così come i tornanti di una montagna: la spirale può anche essere vista nella sua discesa, così pure i tornanti.
In altre parole, il passato è passato, visto nei suoi eventi o personaggi storici. Ma le idee in quanto idee o ideologie non hanno quel qualcosa di carnale legato al tempo che passa. Possono tornare, pur sotto forme diverse. E non basta un confronto con le ideologie del passato per dire che quelle moderne siano più o meno positive o negative.
In breve: il fascismo di ieri è uguale al fascismo di oggi, supposto che si possa parlare ancora di fascismo? Fascismo o non fascismo (non giochiamo sulle parole!), è quanto c’è dietro questa parola che conta, e su cui dovremmo discutere.
Basterebbe parlare di regime totalitario, e allora sembra che si vada tutti d’accordo nel dire che esista ancora oggi, ma come intendere “totalitarismo”.
Lascio la parola a un prete, don Bruno Mori, che così ha scritto nel suo libro “L’implosione di una religione”:
«Un regime totalitario è sempre sostenuto da un’ideologia. L’ideologia è un sistema d’idee eretto a strumento di potere. Una struttura di governo totalitaria si basa sulla logica dell’identificazione, che esclude qualsiasi deviazione e dissonanza tra governanti e governati. Lo scopo dell’identificazione è quello di creare un’uniformità che cerca di abolire ogni differenza, diversità e opposizione.
In un regime totalitario non si canta in polifonia, ma solo all’unisono. Tutte le voci devono essere fuse in quella della classe dominante. L’ideologia della classe dirigente dovrebbe quindi esprimere il pensiero di tutti. La classe dirigente, incarnando, in linea di principio, la purezza dell’ideologia, costituisce la classe dei “puri” e degli “integri”. Un regime totalitario può anche essere definito come un regime “integralista”.
Riprendo qui una pagina di Yann Martin che analizza in modo molto pertinente le manifestazioni tipiche del totalitarismo:
«L’integralismo totalitario istituzionalizza una casta di mastini incaricati di stabilire la dottrina ufficiale e di assicurare che questa s’imponga con tutti i mezzi e governi le menti di tutti. Di fronte a chi comanda o, meglio, sotto chi comanda, si trova la folla sottomessa e schiava di tutti coloro che devono solo ripetere, imitare, assentire e ubbidire. Lo stato di tutela è lo stato permanente dei regimi integralisti e riduce il popolo a un gregge sottomesso di pecore docili e senza cervello, incapaci di pensare con la propria testa. Per questo, tutti gli ayatollah del mondo, musulmani, ebrei o cristiani che siano, non importa, si sforzano di far credere ai loro sudditi che il pensare è per loro una faccenda troppo complessa e che quindi il modo più conveniente di evitare errori è fare affidamento su di loro… Il capo integralista pensa che sia suo dovere rincretinire il suo popolo. La sua gente deve arrivare a considerare ogni genuino sforzo intellettuale come troppo rischioso. Secondo lui, il popolo deve imparare a preferire il conforto di opinioni frettolose e dogmatiche al disagio di prendersi cura responsabilmente di sé e degli altri. Secondo lui, i cittadini devono rinunciare a ogni pretesa di costituirsi come individui, per diventare uno dei molteplici portavoce di un sistema con una sola voce. L’integralista trasforma l’individuo in un semplice ingranaggio di un sistema che potrebbe benissimo fare a meno di lui e per il quale è, nel migliore dei casi, solo un mezzo in vista di un fine al quale il singolo deve poter essere sacrificato se le circostanze lo richiedono. Per l’integralista, Dio non è altro che un alibi destinato a giustificare la sua sete di dominio. Svuotato del suo significato e spersonalizzato, Dio non è che un irsuto fantasma responsabile di rappresentare, se non proprio di poterla incarnare, la fonte stessa del potere. Di Dio, l’integralista conserva solo il potere. Non c’è posto per la dolcezza, per l’amore e soprattutto non ce n’è per la fragilità, in questa caricatura morbosa e autoritaria di un Dio che esigerebbe la sottomissione totale delle menti e dei cuori…!» (da Yann Martin, Le Dieu dérobé, Èditions du Signe, 1998, pp. 55-58).
Una cosa è certa: c’è il totalitarismo politico e c’è il totalitarismo religioso. Quando ambedue contemporaneamente stringono fino a strozzare la libertà dello spirito, allora non c’è più scampo per nessuno. Lo spirito non è né politico né religioso, né di destra né di sinistra, è spirito, perciò esige in quanto tale una autonomia assoluta, senza alcun condizionamento di potere esterno. Già dire potere è dire sovranità impertinente, soffocante, repressiva.
Anche questa cosa è certa: si preferisce da parte del popolo bue stare sottomesso agli ordini di un dittatore, purché questi conceda un pezzo di pagnotta e tanti divertimenti, piuttosto che vivere nella essenzialità, ma in libertà.
In altre parole, il totalitarismo fa comodo a tutti, anche a quelli che solo apparentemente lo contestano. Oggi c’’è una tale sottomissione di massa da far paura, ma a chi fa paura? Quanti in realtà si indignano pagando di persona?
18 gennaio 2025
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