Omelie 2024 di don Giorgio: PRIMA DI QUARESIMA

18 febbraio 2024: PRIMA DI QUARESIMA
Is 57,15-58,4a; 2Cor 4,16b-5,9; Mt 4,1-11
La Liturgia chiama periodi “forti” l’Avvento e la Quaresima, perciò da vivere intensamente nella fede più genuina, anche attraverso una concreta testimonianza tale da coinvolgere radicalmente il vivere quotidiano di ogni credente.
C’è anche un altro aggettivo che qualifica la Quaresima, ed è “favorevole”. Che significa? Risponde l’apostolo Paolo nella seconda lettera ai cristiani di Corinto: «Al momento favorevole ti ho esaudito e nel giorno della salvezza ti ho soccorso. Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!» (2Cor 5,20-6,2).
Paolo parla di “momento”, di “giorno”, di “ora”, per dire che non esiste di per sé un tempo particolare, da suddividere in periodi: ogni istante è “favorevole” per la nostra salvezza. Che significa salvezza? È prendere coscienza del Mistero divino, da qui l’importanza dell’intelletto, che è Luce, che è Grazia: è nel nostro spirito che si riflette la Luce divina.
Sì, ogni giorno, ogni ora, ogni istante è un momento “favorevole”, ovvero un’occasione divina perché scopriamo chi siamo in realtà, nel profondo del nostro essere.
Ma siccome siamo perennemente distratti da mille cose di una società che mette sul mercato ben in vista seducenti prodotti materiali per catturarci nelle nostre esigenze carnali, ecco allora che la Liturgia ci offre l’Avvento e la Quaresima, perché siamo quasi “costretti” a riflettere ancor più seriamente, a prendere decisioni ancor più radicali, a fare scelte più coraggiose, a tornare sulla strada più impegnativa della verità.
Per questo occorre puntare più in alto, al di là di qualche anche lodevole proposito di rinunciare a cose ritenute superflue, che poi tanto superflue non lo sono, visto che, appena passata la Quaresima, esse tornano di prepotenza a condizionare la nostra esistenza.
Giustamente è stato scritto che «in questi giorni quaresimali siamo chiamati ad aggiungere quel plus che ci manca e a togliere quel superfluo che ci appesantisce. Proprio per questo è necessaria una continua vigilanza su di sé per non lasciarci, quasi inavvertitamente, guidare dallo spirito del mondo (inteso in senso giovanneo) e per sapere invece discernere in ogni circostanza ciò che è gradito a Dio e ci rende partecipi della sua santità. “Siate vigilanti…”, ci ammonisce l’apostolo Pietro. “Come figli obbedienti, non conformatevi ai desideri di un tempo, quando eravate nell’ignoranza, ma ad immagine del Santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta…” (cf. Pt 1,13-15)».
Interessante come negli scritti del Nuovo Testamento troviamo di frequente le parole “intelligenza” e “ignoranza”. Tutto dipende dall’intelletto divino che illumina l’intelletto umano, solo così il nostro spirito agisce in libertà, e dalla libertà interiore prende forza il nostro agire in libertà, soprattutto se il contesto storico in cui viviamo è tenebroso.
Ignoranza dunque significa non conoscere la verità, essere vittime delle tenebre, e se dobbiamo distaccarci da qualcosa di troppo non è per infliggere dolore al corpo, ma per liberare lo spirito dagli inganni del corpo in balìa di un mondo carnale.
Dunque, la Quaresima giunge ogni anno come un “tempo favorevole” per accogliere la Grazia del Signore, invitandoci ad iniziare ancora una volta un cammino di conversione.
Secondo l’antico pagano oracolo di Delfi, dobbiamo rientrare in noi se vogliamo conoscere noi stessi, e conoscendo noi stessi conosciamo Dio”.
«Conosci te stesso» era scritto a caratteri cubitali sul frontone del tempio di Apollo a Delfi (insieme con l’invito alla moderazione, espresso nel motto: «nulla di eccessivo, di troppo»): in questo modo l’oracolo di Apollo – con l’efficacia mediatica che avevano a quel tempo i santuari – rivolgeva all’uomo di allora (e di sempre…) l’invito a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro, non al di fuori di noi.
Una valorizzazione dell’interiorità che offrirà motivi di riflessione a Socrate, che sulla conoscenza di se stesso costruirà uno dei cardini del suo pensiero.
L’invito a guardare dentro di sé godrà poi di grande fortuna anche presso i cristiani: ad esempio, Gregorio di Nissa invita a guardare dentro di sé, perché è da questa indagine che emerge ciò che veramente uno è, mentre invece se si guarda all’esterno non si potrà mai cogliere la propria vera essenza. A chi ha scritto: «conosci Dio, per conoscere anche te stesso», Gregorio Nisseno ha corretto: «se vuoi conoscere Dio, devi prima conoscere te stesso: parti dalla comprensione di te stesso, dal tuo modo di essere, dal tuo intimo. Entra, sprofondati in te stesso, scruta nella tua anima, per individuare la sua essenza e vedrai che tu sei fatto a immagine e somiglianza di Dio».
Che significa allora conversione? Dal latino conversio, significa “volgersi verso qualcuno o qualche cosa”, “cambiare direzione” o “strada”, dunque suggerisce l’immagine di una persona che, accorgendosi di camminare su una strada sbagliata, decide di tornare sui suoi passi e di incamminarsi in una direzione diversa. Nell’Antico Testamento il concetto di conversione è direttamente collegato a due termini ebraici: il primo significa appunto “volgersi, tornare, ritornare”, mentre l’altro significa “dispiacersi, essere dispiaciuti”. Nel Nuovo Testamento i due termini principali connessi a questo concetto sono epistophé (da epistrépho, “rivolgo”) e metanoia (che significa “cambiare mentalità”).
Anche l’antico filosofo greco Platone parlava di conversione, usando il termine periagoghé, che significa “mi giro, mi volto, cambio direzione”. Platone ha espresso attraverso il famoso “Mito della caverna” la conversione, da intendere come passaggio dalla servitù del sensibile alla libertà della ragione: un passaggio che non si compie solo a tavolino, ma implica “un volgersi” non solo del capo ma di tutto il corpo, un liberarsi dalle catene, ma, soprattutto, ciò non avviene “da soli”: occorre essere liberati e «essere costretti all’improvviso ad alzarsi, a volgere il collo, a camminare e a guardare verso l’alto, verso la luce» e compiere un faticoso cammino, che coinvolge la vita intera: intelligenza e amore.
Nella Mistica speculativa medievale, la conversione non ha un significato solo moralistico, ma è intesa nel senso originario di radicale mutamento di direzione, di prospettiva: uno “sguardo nuovo”, come dirà poi Simone Weil o, più ancora, un nuovo essere.
Occorre sempre il distacco dall’eccessivo, dall’inutile, dal troppo, un distacco che libera l’essere dal quell’ego che i Mistici chiamavano amor sui, ovvero amore di se stesso.
E allora capite che la Quaresima non è un tempo in cui fare solo qualche fioretto o qualche buon proposito per sentirci a posto con la coscienza: è l’occasione “favorevole” per accogliere in pieno la Grazia divina, che è liberante, e per fare ciò bisogna lavorare in modo sodo, ecco perché la Quaresima è un tempo “forte”, da vivere con la fede più genuina, che è Luce divina, che ci permette di cogliere l’essenziale in vista del quale compiere distacchi anche radicali da un mondo di quel “di più materiale” che non permette al “di più spirituale” di farsi valere.

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