Presentato a Roma il report statistico di Caritas Italiana. Quasi 28mila in Italia le persone in condizioni di fragilità che hanno ricevuto un aiuto, +3% rispetto al 2023. Determinante il supporto dei volontari
Francesco Ricupero – Città del Vaticano
Sono state 277.775 le persone accolte e sostenute dai centri di ascolto e dai servizi della rete Caritas in Italia nel corso del 2024. Un numero in crescita del 3 per cento rispetto al 2023 e del 62,6 per cento rispetto a dieci anni fa (2014). I dati sono stati diffusi nel corso della presentazione a Roma del Report statistico 2025 e del Bilancio sociale di Caritas Italiana. All’evento hanno preso parte, tra gli altri, monsignor Carlo Roberto Maria Redaelli, presidente di Caritas Italiana, Vanessa Pallucchi, portavoce nazionale Forum Terzo Settore, e don Marco Pagniello direttore di Caritas Italiana. I numeri contenuti nel report sono preoccupanti e, allo stesso tempo, significativi poiché colpiscono per la loro ampiezza e per la gravità delle situazioni che rappresentano; le informazioni provengono infatti da 3.341 servizi distribuiti in 204 diocesi pari al 92,7 per cento delle diocesi italiane.
Situazione sempre più difficile soprattutto per gli anziani
La povertà nel nostro Paese, dunque, è peggiorata nell’ultimo decennio e sta cambiando volto. Si tratta di un fenomeno sempre più radicato, cronico e multidimensionale, che colpisce lavoratori, famiglie e anziani. «In Italia — ha dichiarato ai media vaticani don Marco Pagniello — sono aumentati i poveri assoluti e crescono i cosiddetti working poor. Una condizione che interessa anzitutto famiglie con figli, donne e anziani, ossia le categorie più fragili della popolazione. Esistono contesti sociali in cui l’accesso ai diritti fondamentali — sanità, istruzione, lavoro dignitoso, casa — è negato o fortemente ostacolato». Un altro segnale allarmante è rappresentato dall’aumento delle richieste di aiuto da parte degli anziani, che sono raddoppiati in dieci anni, passando dal 7,7 per cento nel 2015 al 14,3 per cento nel 2024. «Questo ci deve far riflettere — spiega il direttore di Caritas Italiana — e ci deve aiutare a capire che viviamo in un momento che interpella la coscienza collettiva, spingendoci a non rimanere spettatori ma a scegliere, ancora una volta, di stare sulla soglia della storia, abitandone i margini, per trasformarli in luoghi di incontro e di affermazione della giustizia». Don Pagniello, inoltre, tende ad evidenziare che «con questo spirito, il Bilancio sociale si inserisce nel cammino sinodale della Chiesa che chiede a tutte le comunità di ascoltare e accompagnare i poveri come fratelli, scrivendo con loro nuove storie di riscatto e affermando, insieme, dignità e diritti. La missione di Caritas — prosegue — non si esaurisce, infatti, nell’assistenza immediata o nel sostegno a quei bisogni evidenti che raggiungono i nostri centri di ascolto. Le mense diocesane, gli empori e i numerosi servizi attivati sui territori sono il segno concreto di una carità che si mette al servizio della speranza».
Determinante la rete di volontari in Italia
Un particolare ringraziamento il direttore di Caritas italiana lo rivolge ai volontari, “tanti uomini e donne che, nel nascondimento, ogni giorno fanno la propria parte soprattutto nel servizio d’accompagnamento delle persone presso i Comuni o i servizi sociali per ottenere qualche aiuto in più e, quindi, credo che questo sia il più grande servizio, perché è quello della prossimità, è quello della fraternità, è quello dell’amicizia sociale che tanto ci sta a cuore, ma penso anche al volontariato dei giovani che noi chiamiamo ad essere protagonisti del presente”.
Il sostegno ai Paesi in difficoltà
Molta attenzione da parte di Caritas italiana, inoltre, è rivolta alla realizzazione dei progetti educativi nel mondo in Ucraina o in altri Paesi in conflitto, non escluso il medioriente. “Oggi, in questa situazione, credo che la più grande opera – aggiunge il sacerdote – sia quella della preghiera per chiedere il dono della pace e il dono della conversione di tante menti, perché come sappiamo bene la guerra è sempre una sconfitta per tutti”. Dai dati contenuti nel report si evince, inoltre che in Europa, il nostro Paese si colloca al settimo posto per incidenza di persone a rischio povertà o esclusione sociale. Secondo l’Istat quasi 5,7 milioni di italiani (pari a 2,2 milioni di famiglie) si trova nelle condizioni di povertà assoluta. Ma non è solo la povertà economica che spinge a chiedere aiuto: il 56,4 per cento delle persone seguite vive almeno due forme di fragilità, il 30 per cento ne sperimenta tre o più.
Casa e cure mediche sempre più inaccessibili
All’interno del report sono presenti due focus tematici. Il primo riguarda il disagio abitativo, oggi una delle dimensioni più critiche della povertà. Nel 2024 — secondo l’Istat — il 5,6 per cento degli italiani vive in grave deprivazione abitativa e il 5,1 per cento è in sovraccarico dei costi, non riuscendo a gestire le spese ordinarie di affitto e mantenimento. Tra le persone seguite dal circuito Caritas la situazione appare molto più grave: di fatto una su tre (il 33 per cento) manifesta almeno una forma di disagio legata all’abitare. In particolare, il 22,7 per cento vive una grave esclusione abitativa (persone senza casa, ospiti nei dormitori, in condizioni abitative insicure), il 10,3 per cento presenta difficoltà legate alla gestione o al mantenimento di un alloggio. Il secondo focus, dedicato alle vulnerabilità sanitarie, sottolinea in primo luogo il tema della rinuncia sanitaria: in Italia — sempre secondo l’Istat — circa 6 milioni di italiani (il 9,9 per cento della popolazione) hanno rinunciato a prestazioni essenziali per costi o attese eccessive. Tra le persone accompagnate dalla Caritas la situazione appare più complessa: almeno il 15,7 per cento manifesta vulnerabilità sanitarie, spesso legate a patologie gravi e alla mancanza di risposte da parte del sistema pubblico. Molti di loro fanno esplicita richiesta di farmaci, visite mediche o sussidi; altri invece non formulano richieste specifiche, lasciando presumere che il fenomeno delle rinunce sia ampiamente sottostimato.
Combattere la povertà educativa
Ma quanto è importante la scolarizzazione per arginare le forme di povertà in Italia? “Certamente è molto importante – ammette monsignor Redaelli – all’inizio non sembra perché si pensa che basta dare dei soldi a chi deve pagare l’affitto o a chi si trova in difficoltà per il lavoro. Ma in realtà quanto più una persona ha una competenza, quanto più riesce anche a utilizzare gli strumenti. Una difficoltà che avvertiamo nei nostri centri di ascolto è l’orientamento ai servizi sociali o per esempio aiutarli a usare lo spid. Molti fanno una grande fatica in questo in questo senso e così si rischia di trovarsi in una povertà che si cronicizza e che diventa anche una povertà familiare. Quindi aiutare ad avere anche più consapevolezza – conclude – dà maggiore cultura e sicuramente può aiutare molto magari non sull’immediato ma, sul medio-lungo periodo”.
***
da www.settimananews.it
Italia, tra povertà e proclami
31 marzo 2025
di: Giuseppe Savagnone
Nello stesso giorno in cui i giornali di destra – Libero, La Verità, Il Tempo – hanno consacrato il titolo di prima pagina allo scatto d’ira di Prodi contro la giornalista che l’intervistava, Avvenire lo ha dedicato al rapporto ISTAT, appena pubblicato, in cui si denuncia la progressiva diminuzione delle entrate degli italiani.
Due rapporti allarmanti
«Ancora impoveriti», titolava il giornale cattolico. E, nell’occhiello: «L’ISTAT segnala come le famiglie abbiano redditi inferiori dell’8,7% rispetto a quello conseguiti nel 2007». Nel sommario sotto il titolo si leggeva che «un italiano su quattro è a rischio povertà», e che anche tra i lavoratori «il 20% guadagna troppo poco, il 10% è misero».
Forse ci saranno lettori che considerano centrale per il futuro del nostro Paese la questione se l’ormai più che ottantenne «padre» della Margherita e dell’Ulivo abbia o meno tirato una ciocca di capelli della sua intervistatrice – come evidentemente pensano i direttori dei quotidiani prima citati –, ma per quanto ci riguarda a noi sembra che la notizia a cui ha dato risalto Avvenire sia ben più significativa e meriti una riflessione.
Il documento in questione è il report dell’ISTAT su «Condizioni di vita e reddito delle famiglie, anni 2023-2024», pubblicato mercoledì 26 marzo. Come sintetizza Il Sole 24Ore, dal rapporto risulta che «nel 2024 il 23,1% della popolazione è a rischio di povertà o esclusione sociale (nel 2023 era il 22,8%)».
Siamo davanti, dunque, a un fenomeno che coinvolge quasi un quarto degli italiani e che è in continuo peggioramento, soprattutto per gli anziani soli e le famiglie numerose. Ma il problema riguarda tutti. Anche il 10,3% degli occupati, secondo il rapporto, non sono in grado di procurarsi i beni necessari alla vita.
All’origine di questo progressivo immiserimento, c’è una inadeguatezza delle retribuzioni dei lavoratori. A questo è dedicato un altro recente report, il Rapporto mondiale sui salari 2024-2025, pubblicato dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) il 24 marzo.
In esso si segnala che in Italia, mentre i salari nominali crescono – nel 2023 si è registrato un aumento del +4,2% – o, quanto meno, si mantengono stabili, il potere d’acquisto dei lavoratori si contrae.
Da questo punto di vista, il nostro paese registra il peggiore risultato rispetto all’intero gruppo del G20: dal 2008 a oggi, i salari reali sono diminuiti dell’8,7%, un dato che pone l’Italia in fondo alla classifica globale. Mentre in Francia c’è stato un aumento di circa il 5 per cento, in Germania di quasi il 15, noi siamo l’unico paese, tra le economie avanzate, a registrare una flessione così marcata.
Alla ricerca delle cause
Secondo molti il problema principale che ha determinato la mancata crescita degli stipendi è che l’economia italiana, in questi ultimi vent’anni, non è sostanzialmente cresciuta, anche per le scelte industriali del Paese, orientate più sui settori tradizionali (e che pagano peggio) che su quelli più innovativi e ad alta potenzialità di crescita.
Ma c’è chi sottolinea che – mentre fino all’inizio del 2000 i salari italiani sono cresciuti, eppur debolmente, a un ritmo superiore rispetto alla produttività – a partire dal 2022 la situazione si è rovesciata: la produttività del lavoro ha ripreso ad aumentare, mentre la crescita retributiva è rimasta pressoché nulla. I lavoratori contribuiscono in misura maggiore alla crescita, senza però riceverne un beneficio proporzionale.
Questo anche perché l’export italiano, per essere competitivo nel mondo ha sempre tenuto bassi i salari, anziché aumentare la produttività, come ad esempio ha sempre fatto la Germania.
Ma il problema – notano altri – è più generale e ha a che fare con l’indebolimento del ruolo dei sindacati. Gli aumenti salariali, negli altri paesi europei, passano infatti dai rinnovi dei cosiddetti contratti collettivi, negoziati a livello nazionale e rinnovati puntualmente, di solito dopo un triennio, tenendo conto della crescita del costo della vita e delle altre circostanze che possono giustificare nuove e più vantaggiose condizioni per i lavoratori.
In Italia, invece, l’ISTAT nel 2024 segnalava che il 50% dei lavoratori aveva un contratto scaduto e che dunque il suo stipendio era fermo. L’inflazione degli ultimi anni ha ulteriormente aggravato le cose: dal gennaio 2021 al febbraio 2025 i prezzi sono aumentati complessivamente di quasi il 18 per cento, mentre le retribuzioni contrattuali dell’8,2, cioè meno della metà. Gli adeguamenti retributivi attuati in risposta all’aumento dei prezzi si sono rivelati insufficienti a compensare la perdita di potere d’acquisto.
L’impatto è stato particolarmente pesante per i redditi più bassi, che destinano una quota maggiore del proprio stipendio ai beni di prima necessità, i cui prezzi hanno subito gli aumenti più consistenti. L’erosione del potere d’acquisto è diventata così non solo una questione economica, ma anche un tema di giustizia sociale, perché accresce le disuguaglianze, già molto marcate.
L’Italia è, tra i principali stati membri dell’UE, quello che registra il divario più ampio tra ricchi e poveri: l’1% detiene il 13,6% di tutto il reddito nazionale e il 5% delle famiglie possiede quasi la metà – il 48% – della ricchezza.
Le rivendicazioni entusiastiche del Governo
Davanti a questo quadro, aggiornato al biennio 2023-2024, non può non lasciare perplessi la grande soddisfazione con cui Giorgia Meloni e i rappresentanti dei partiti di maggioranza rivendicano i risultati conseguiti, proprio nel campo economico, durante questi tre anni di governo.
Il cavallo di battaglia è l’aumento del numero degli occupati, che è passato dai 23,519 milioni del luglio 2023 ai 24,222 milioni del gennaio 2025, con un tasso di occupazione del 62,8%. Si tratta del livello più alto dal 2004. È un dato di fatto che nei primi due anni di Governo di Giorgia Meloni l’occupazione è cresciuta di 847mila unità (+3,6%).
Naturalmente non sono mancate le obiezioni. Secondo la segretaria del Partito Democratico, Elly Schlein, dietro al record del numero degli occupati si nasconde la crescita dei contratti a tempo determinato. In verità, i numeri smentiscono questa tesi. Secondo l’ISTAT, sotto il governo Meloni gli occupati dipendenti a tempo indeterminato sono aumentati di quasi 940 mila unità, mentre quelli a termine sono scesi di 266 mila unità.
Il problema è un altro. Le aziende assumono tanto perché pagano poco. La spiegazione più plausibile dell’apparente miracolo italiano del lavoro è verosimilmente legata alla bassa o inesistente crescita dei salari. Per le imprese il costo del lavoro in termini reali in Italia è diminuito di quasi il 10%. Così, l’aumento del tasso di occupazione, che potrebbe essere visto come un successo, si colloca in un quadro in cui si abbassa la media dei salari e aumenta il numero di occupati con redditi bassi.
Senza dire che la crescita dell’occupazione non riguarda tutte le fasce. Essa è stata spinta soprattutto dall’aumento dei lavoratori maschi, che rappresentano circa l’80% di tutto il rialzo dell’ultimo anno, raggiungendo i 14 milioni, mentre le donne sono stabili intorno ai 10,2 milioni.
Resta inoltre aperta la questione giovanile. Il 93% dei nuovi occupati ha più di 50 anni. Incrementi più modesti ci sono stati nella fascia più giovane della popolazione, e ancora più modesti in quella tra i 35 e i 49 anni. Per non parlare degli stranieri, schiacciati quasi sempre su basse qualifiche e i cui salari sono quasi del 30% inferiori a quelli dei lavoratori italiani.
Uscire dalla logica della campagna elettorale
Non si possono certo attribuire a questo Governo tutte le colpe dell’attuale situazione. Tuttavia, è evidente che la sua politica non solo non l’ha cambiata, ma neppure si è mossa nella direzione di farlo.
La demonizzazione delle tasse, che sono il principale meccanismo di redistribuzione della ricchezza; l’indebolimento del pubblico e il favore scoperto nei confronti del privato – specialmente nell’ambito della sanità –, con la conseguente penalizzazione di chi non è in grado di fruire dei servizi a pagamento; lo sforzo constante di ridurre quanto più possibile l’influenza dei sindacati, rendendo così possibile il mancato rinnovo dei contratti di lavoro; la palese ostilità nei confronti degli stranieri, di cui vengono ostacolati in tutti i modi l’integrazione e l’inserimento nel mercato del lavoro, delineano un progetto di società in cui i poveri sono destinati a diventare sempre più poveri e i ricchi sempre più ricchi.
I due rapporti – dell’ISTAT e dell’ILO – da cui siamo partiti non sono che lo specchio di questa tendenza. I proclami di «missione compiuta», volti a puntare i riflettori sui parziali successi, non possono nascondere la realtà di una nave «Italia» che sta affondando. Anche se si cerca in tutti i modi – e purtroppo con successo – di distrarre l’opinione pubblica su problemi del tutto marginali (come la lite di Prodi con la giornalista), contando sul fatto che ad annegare sono comunque i passeggeri invisibili della terza classe, nella stiva.
Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (www.tuttavia.eu), 28 marzo 2025
L’EDITORIALE
di don Giorgio
Il vero femminicidio, ovvero quando
la femmina uccide se stessa, in quanto Donna
L’articolo potrebbe finire già qui, col titolo, se la...
⇒ Credibilità, onestà, promesse, rispondere…
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