18 agosto 2019: DECIMA DOPO PENTECOSTE
1Re 3,5-15; 1Cor 3,18-23; Lc 18,24b-30
I brani della Messa parlano di sapienza e di stoltezza, come se l’umanità fosse divisa tra gente saggia e gente stolta, in riferimento soprattutto all’uso dei beni materiali, ovvero alla ricchezza.
Il primo brano riporta la famosa preghiera del giovanissimo re Salomone che, all’inizio del suo governo, chiede al Signore non la ricchezza o una lunga vita, ma il ”discernimento nel giudizio”, il saper distinguere il bene dal male, ovvero l’amore per il bene comune del suo grande popolo.
Qualcuno potrebbe meravigliarsi che un giovanissimo regnante chieda al Signore la saggezza, quando invece dovremmo meravigliarci se tale dono venisse praticato fino alla maturità. Purtroppo, succederà che anche Salomone con l’avanzare degli anni cadrà negli stessi errori e vizi degli uomini di potere.
Nonostante ciò, rimane il valore di una richiesta che, soprattutto oggi, inizia a scemare da quando si è giovani, da quando cioè si è nell’entusiasmo di chi, proprio perché inesperto della vita, sogna di poter cambiare il mondo.
Purtroppo, i sogni giovanili si spengono man mano con l’avanzare degli anni e del contatto sempre più duro con la realtà.
Ho tradotto la richiesta della saggezza di Salomone nel dono del discernimento, di quel discernimento che subito viene offuscato dal prevaricare della ricchezza.
Oggi parliamo tanto di capacità e di saggezza di discernimento, ma sono parole buttate al vento, visto che, a contatto con la concretezza dell’esistenza, impariamo a poco a poco l’arte del compromesso.
Magari conosciamo ancora la differenza tra il bene e il male, ma, in nome di chissà quale principio di convivenza con la realtà, sappiamo adattare le esigenze del bene con le esigenze della opportunità: opportunità che diventa poi opportunismo, infine pacifico adattamento, in nome appunto di quel compromesso che abbiamo la spudoratezza di chiamare “equilibrio”.
E così il bene diventa “meno” bene, il senso della giustizia “meno” giustizia, il bene comune “meno” comune, e più popolare.
E c’è di più. Questo equilibrismo lo chiamiamo prudenza, senso di attesa in vista di scelte migliori, addirittura quel buon senso che mai ci saremmo aspettato di tirare in ballo.
Il discernimento: una doverosa richiesta
Sì, il discernimento può essere una doverosa richiesta, visto che viviamo in un secolo di grande confusione, di incapacità di comprendere che cosa sia il bene e che cosa sia il male.
L’inganno attuale non sta nel prendere come bene il male o viceversa, ma ancor più nel prendere il bene e il male confondendoli così tra loro da seguire una terza via: quella del relativismo, per cui tutto è relativo al relativo, ovvero a un punto mobile che si sposta continuamente.
Immaginate la scena: un relativo che corre dietro ad un altro relativo che si sposta, creando così una grande confusione, un grande caos, un clima di incertezza indescrivibile.
E, a seconda delle circostanze, il relativo di riferimento cambia con la stessa facilità con cui cambia la nostra passione o il nostro potere.
Proviamo a chiederci: che cos’è la giustizia, che cos’è la libertà, che cos’è l’essenza del nostro vivere? Daremo una marea di risposte, l’una diversa dall’altra, a secondo del lavoro o della nostra posizione sociale.
Sembra del tutto impossibile avere e tenere un punto di riferimento assoluto, fisso, intoccabile, per non dire sacro.
Anche i più ignoranti parlano di liquidità o di quel fluttuare di opinioni che, tra parentesi, sono gli imperativi di una filosofia del vuoto che detta le nuove regole di vita: regole che si innalzano o si abbassano, in balìa di onde capricciose di un mare sempre in agitazione.
Ignorantotti o no, analfabeti o colti per una infarinatura da internet, tutti si ritengono “filosofi”, parola oggi moda, visto che ritenersi tali è l’unica maniera per evadere dall’analfabetismo di fatto che sta contaminando milioni di italiani.
Tutti ignoranti, e dunque tutti sapienti!
Tutti in balìa delle onde capricciose, e dunque tutti compagni di vita instabile e a rischio di dannazione. E questo lo chiamiamo solidarietà?
Non parlatemi di quella solidarietà, oggi sparita, quando ci si sentiva uniti nelle emergenze! L’egoismo ha frantumato quella solidarietà, soprattutto nel campo del lavoro.
Oggi ci si sente solidali, secondo il principio: “Tutto traballa? Tutti contenti!”.
Il problema è che gli ignoranti e i confusi, gli idioti e in sapientoni populisti sono lasciati soli, oppure su una zattera diversa, mentre il sole è scomparso e le tenebre immergono i natanti nella più tetra solitudine.
I punti fermi non esistono più, le mete vanno e vengono come umori capricciosi. I fari del molo sono spenti o del tutto spenti, al loro posto ci sono raggi di luci fatue che provengono da cimiteri che emergono da desideri inconsci del proprio fondo di pipa.
Credo che sia giunto assolutamente il momento di assumersi il coraggio di ciò che realmente siamo. Siamo una “scintilla divina”, a meno che Dio stesso non ci abbia preso come un po’ di tabacco da accendere per odorare l’ambiente celeste.
È triste, veramente triste non cogliere l’essenzialità, con cui Dio ci onora, elevandoci a quella realtà che solo la Mistica sa percepire, aprendoci anche solo una fessura di quel Mistero, in vista del quale vale la pena anche dare tutta la propria esistenza.
Non sono gli anni che contano, e tanto meno i beni materiali, ma l’intensità interiore per cui mille anni biologici non valgono un solo minuto di un essere immerso nel Divino.
Stolto è colui che si immerge corpo e anima (per lui lo spirito non esiste) nella temporalità e nella carnalità. Saggio è colui che vive in eterno anche un solo granello di bene materiale e lotta perché la politica e la religione del godimento in una alienazione da disperati affondino, anche abbracciati, per dare spazio allo Spirito, così che gli spiriti liberi possano respirare nel profondo del loro essere divino.
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