18 ottobre 2020: Dedicazione del Duomo di Milano
Bar 3,24-38; 2Tm 2,19-22; Mt 21,10-17
Cattedrale, cattedra, casa… e autorevolezza
Ogni anno, la terza domenica di ottobre, il rito ambrosiano ci invita a interrompere l’anno liturgico per soffermarci a riflettere sulla nostra cattedrale che, nella sua etimologia (cattedrale deriva da “cattedra”, banco sopraelevato da cui si insegna nelle scuole) sembra richiamare anzitutto un aspetto scolastico del ministero pastorale del vescovo, che è quello di insegnare una dottrina.
Invece, quando pensiamo ad una cattedrale subito si presenta davanti ai nostri occhi la grandiosità strutturale e la bellezza estetica di quella Casa di Dio che, a differenza delle numerose chiese sparse un po’ ovunque, ha qualcosa in più, non tanto nella sua costruzione imponente e nella sua bellezza artistica, quanto nella sua autorevolezza divina.
Una qualità che distingue una persona è la sua autorevolezza che, a differenza dell’autorità che prende la sua forza dal potere, risiede nello spirito dell’essere umano. Già dire spirito è dire libertà da ogni potere carnale.
L’autorevolezza di una cattedrale e, in particolare, del Duomo di Milano sta nella interiorità. È vero che anche una bella costruzione parla nella sua esteticità, ma l’arte non è solo esteticità: essa parla se ha un cuore che batte, se è spirito che è vita.
L’autorevolezza del nostro Duomo, che è la cattedrale della diocesi, sta nella parola autorevole del suo buon pastore. Già dire buono rimanda al bene Assoluto. Buono non significa dunque un bonaccione, o un bravo pastore che si dà da fare. Si è buoni, quando attingiamo al Bene Sommo.
La Parola di Dio si incarna in ogni chiesa, piccola o grande che sia, anzi sembra che proprio le piccole chiese facciano sentire più da vicino la Parola del Signore. Quando si entra in una cattedrale, si rimane un po’ smarriti, distratti dalla costruzione imponente, sommersi dalle mille voci di artisti e si scalpellini che ancora quasi si sentono nel ferire il silenzio con i loro strumenti di lavoro. Si è quasi bombardati dai dipinti sulle pareti o dalle vetrate che vorrebbero contendersi la nostra attenzione.
In una piccola chiesa, dalle pareti nude, spoglie di immagini e di oggetti sacri, tutto parla nella nudità anche pittorica.
Ecco, l’autorevolezza del nostro Duomo la vedo anche e anzitutto nella parola del suo buon pastore. Che senso potrebbe avere una cattedrale, senza la parola del suo vescovo? Forse che il nostro Duomo prenda un senso dal fatto che è una grande attrazione turistica? Non ho nulla contro i turisti, ma le nostre cattedrali non devono essere solo delle mostre di opere d’arte. Anche il turista, quando entra in una cattedrale, dovrebbe sentire respirare un’aria del tutto divina, e pregare. Se nelle mostre a parlare sono i quadri e il loro pittore, nelle cattedrali e in ogni chiesa a parlare è solo Dio; i dipinti o le sculture sono solo espressioni che elevano il fedele verso Dio, ascoltandone la voce.
Ecco perché anche qui dobbiamo parlare di essenzialità: una cattedrale o una chiesa ricoperta nel suo interno e anche all’esterno di un’arte troppo abbondante e talora fine a se stessa, è un disturbo, un ostacolo alla vera ragione per cui una cattedrale, al di là del nome, è la casa dell’Eterno Sommo Bene. La bellezza estetica è un riflesso del Bene Assoluto: se non è un riflesso divino l’arte non è Arte. Non dimentichiamo che la parola “duomo” significa “casa: casa di Dio.
A parte questo discorso che ritengo fondamentale, vorrei tornare sul tasto della autorevolezza della Parola di Dio. Se si chiama cattedrale, e cattedrale deriva da “cattedra”, un motivo dovrà pur esserci, e perciò non possiamo non pensare anche alla parola autorevole del buon pastore.
La parola del vescovo scende dalla cattedra per illuminare, incoraggiare, fortificare, stimolare, provocare un gregge che talora, ancora oggi soprattutto oggi, è a secco di un cibo nutriente e di un’acqua dissetante.
Ma di quale parola ha bisogno l’uomo di oggi? Che significa che deve essere autorevole?
Anzitutto, chiariamo. La parola del vescovo non è il prodotto di una intelligenza umana, ma di quella intelligenza divina che entra in un profondo dialogo con l’essere umano.
Oggi la gente non ha bisogno di qualcosa di giocoso, di parole che sembrano uscire dalla bocca di saltimbanchi che vogliono far divertire il pubblico. E poi ci si lamenta perché le chiese siano vuote. E non è vero che quando il vescovo o il prete parla di verità essenziali, che fanno riflettere, magari impegnative, la gente si allontana. La gente oggi, lo ripeto, ha fame di un cibo sostanzioso e ha sete di qualcosa di eterno.
In una società, come quella attuale, vittima di un avere che stritola le coscienze e che emargina l’essere fino a farlo sentire quasi impotente; in una società, come quella attuale, vittima di una carnalità che consuma il cervello, togliendo alla massa la sua capacità di pensare, c’è bisogno di una parola forte, provocatoria, ma che attinga alla Sorgente divina.
Una Chiesa che ha posto la sua predicazione sul moralismo o sul dogmatismo ha creato quelle premesse, di cui oggi vediamo i frutti: la gente si è persa in un labirinto pauroso, senza alcun punto di riferimento, e non troverà la via d’uscita, se continueremo, noi Chiesa, a dare alla gente qualche dolcificante, senza tentare, almeno tentare, di metterla di fronte alla Sorgente divina, che è dentro l’essere di ciascuno. Qui non vorrei nemmeno discutere sulla religione, vorrei solo che si capisse che il segreto del nostro ben-essere non sta fuori di noi, ma dentro di noi.
Come si può continuare a prendere la gente per la sua pelle, per la sua epidermide, stuzzicandola con dei palliativi che poi fanno il gioco della carnalità di quel sistema diabolico che divide il corpo e la psiche dallo spirito, che è la realtà più interiore del nostro essere.
La tragedia è che siamo scissi nel nostro essere, con il consenso di una religione, che non ha ancora capito, d’altronde non lo capirà mai in quanto è religione, che occorre ribaltare tutto, e partire dall’interiorità dell’essere umano, e non far presa stupidamente sulla pelle della gente.
Perché dimenticare che il cristianesimo non è una religione, e che quando la Chiesa di Cristo è diventata una religione si è come suicidata, facendo anche suicidare il nostro essere umano e l’umanità intera?
Ma nulla è perduto. Che lo Spirito faccia sentire la sua voce, e scuota questa Chiesa che sta andando alla deriva.
La domenica in cui tutta la diocesi di Milano ricorda la dedicazione del Duomo, la chiesa cattedrale della diocesi, mi piace definirla domenica dell’ipocrisia diocesana.
Partiamo dal Vangelo: Matteo descrive la cacciata dal tempio, da parte di Gesù dei mercanti. Il gesto di rovesciare i tavoli dei mercanti che spesso viene omesso nelle omelie, per paura di dover descrivere un Gesù “violento” e non buono (o meglio buonista qualità che Gesù non ha mai avuto), è il passaggio centrale del brano.
Come sempre Gesù prima compie un gesto e poi lo spiega. E questo gesto è davvero inevitabile per avvalorare il concetto. Non avesse rovesciato i tavoli il suo “la mia casa sarà chiamata casa di preghiera” (citazione del profeta) sarebbe risultata una parola ipocrita, uguale alle nostre.
Nella domenica dell’ipocrisia diocesana tutti i parroci parlano della Chiesa come una casa. Una casa accogliente, aperta a tutti che valorizza i talenti di tutti. Questa parola (forse) dura una domenica; dal giorno dopo se non fai quello che dice il parroco e non condividi ogni sua parola sei messo alla porta. La casa accogliente esclude chi ha idee differenti, chi si permette di criticare, chi prova ad usare il cervello.
La casa accogliente è aperta per chi dice sempre di sì ed esegue senza fiatare ogni ordine del parroco.
Stavo giusto seguendo ieri in tv il pontificale in Duomo e nella prolissa introduzione, l’arciprete del Duomo (il parroco) mons. Borgonovo ha citato alcuni preti che ricordano l’anniversario, ha parlato del consiglio d’amministrazione della Veneranda Fabbrica del Duomo rinnovato dal ministro Lamorgiese, ha ricordato il gruppo S. Tarciso, S. Marta, i cantori….ha ricordato la data esatta di edificazione. Ma non ha ricordato perchè i nostri padri hanno eretto un monumento così maestoso nel centro della città. Perchè? Per far cantare Bocelli o Giorgia?
Il gesto di Gesù è molto chiaro.I mercanti erano attrazione per il tempio, creavano afflusso, probabilmente generavano profitto. Eppure Gesù parla chiaro; non condanna una professione ma rivendica l’esclusività di quel luogo: casa di preghiera. Qui si prega e basta!
Parola che rimane inascoltata e incompresa.
Sono entrato parecchie volte in Duomo; mi sembra il luogo in assoluto meno adatto per la preghiera. Ogni anno diventa sempre più turistico e meno spirituale.
Ho servito tante parrocchie e spesso son stato messo alla porta. Sempre con azioni ben celate, col salvagente di poter dire “io non ho cacciato nessuno”. Ho visto coi miei occhi l’ipocrisia di questa festa e di questo clero.
Gesù ci ricorda che ogni tanto servono azioni eclatanti per aprire occhi e cuore di chi ha ogni facoltà anestetizzata e atrofizzata.