Omelie 2023 di don Giorgio: QUARTA DI QUARESIMA

19 marzo 2023: QUARTA DI QUARESIMA
Es 34,27-35,1; 2Cor 3,7-18; Gv 9,1-38b
Il brano del Vangelo di oggi, che riporta il miracolo con cui Gesù ridà la vista a un cieco dalla nascita colpisce, non tanto la nostra immaginazione che va sempre oltre un fatto di cronaca, ma il nostro desiderio o quel voler sapere di più di un miracolo che Giovanni narra anche con tanta abbondanza di particolari, che potrebbero farci perdere il nocciolo del messaggio evangelico.
Occorre ricordare che, quando si legge e si medita il quarto vangelo, c’è sempre qualcosa di nuovo da cogliere, perché nei fatti, negli episodi, negli incontri è nascosto quel Mistero divino che sorprende sempre.
Una cosa anzitutto è da premettere, ed è la risposta a una obiezione. Come mai nel Vangelo di Giovanni ci sono incontri e miracoli che gli altri Vangeli non hanno raccontato? Pensate all’incontro di Gesù con la donna di Samaria, pensate all’incontro notturno di Gesù con Nicodemo, un capo noto dei Giudei, pensate al miracolo di Cana, pensate alla risurrezione di Lazzaro, e pensate al Vangelo di oggi. Forse che gli altri evangelisti, Marco, Matteo e Luca, si fossero dimenticati? Penso proprio di no.
L’evangelista Giovanni ha avuto la fortuna, diciamo così, o meglio è stata una sua scelta, quella di mettere per iscritto il messaggio evangelico dopo anni e anni dalla stesura dei tre Vangeli cosiddetti sinottici. Ancor meglio, più che una scelta di Giovanni è stata la scelta della sua comunità. Dietro a ogni Vangelo c’era una comunità. E la comunità cristiana diciamo di Giovanni ha potuto in lunghi anni (dal 30, anno della risurrezione di Cristo fin verso la fine del primo secolo) leggere, rileggere, meditare il Vangelo di Gesù soprattutto nelle assemblee liturgiche, sotto la guida di un apostolo, in questo caso di Giovanni, che è riuscito a dare alla propria comunità un’impronta diciamo mistica, a differenza delle altre comunità che erano già cadute sotto una guida gerarchica e istituzionale, come quella di Pietro.
In altre parole, la comunità di Giovanni, e lo vediamo leggendo il quarto Vangelo, ha fatto una scelta del tutto singolare nel ripresentarci il Vangelo di Cristo: si è soffermata sugli incontri e sui miracoli del tutto singolari, rileggendoli, a differenza dei tre sinottici, in modo ancor più teologico, o meglio più mistico.
Riflettiamo ora sul miracolo del cieco nato, e capiremo meglio ciò che ho appena detto. Anche negli altri tre vangeli troviamo che Gesù ha aperto gli occhi ai ciechi, ma in modo quasi sbrigativo, senza dilungarsi troppo.
Giovanni e la sua comunità che cosa hanno fatto? Hanno preso uno di questi miracoli narrati in modo sbrigativo e hanno creato non solo un capolavoro letterario e anche di introspezione psicologica, ma soprattutto lo hanno presentato come un cammino di fede, tanto più che il cieco richiama la luce, e la luce diventa il simbolo di quella fede che richiede gli occhi dello spirito.
Chiariamo subito, per evitare di leggere male il brano di oggi. Gesù non si è limitato a ridare la vista fisica a un cieco dalla nascita, e sarebbe già tanto, come tanto è stato quando Gesù ha sfamato con un miracolo più di cinque mila persone. Ma anche in quella occasione Gesù non si era limitato a sfamare materialmente la gente.
Ed è qui il punto dolente: fare di Cristo un taumaturgo solo in senso materiale: avrebbe ridato la vista ai ciechi, avrebbe eliminato la lebbra fisica ai lebbrosi, avrebbe restituito agli zoppi la possibilità fisica di camminare, avrebbe tolto la febbre fisica alla suocera di Pietro, avrebbe fatto risorgere i morti.
Se dovessimo leggere così il brano di oggi, lo renderemmo così banale da chiederci il vero motivo per cui Cristo è venuto sulla terra: forse per compiere i miracoli? Anche gli stregoni dei suoi tempi li compivano.
Il racconto di oggi è una chiara dimostrazione del vero intento di Gesù: ridare alla gente gli occhi della fede. Sì, Gesù ha ridato anzitutto la vista fisica a quel cieco, ma poi alla fine gli ha dato il dono della fede, ovvero la possibilità di vedere il mondo con gli occhi interiori, che erano anch’essi spenti. Ed è qui il punto: il messaggio evangelico è un messaggio che punta al cuore della gente, intendendo per cuore ciò che gli ebrei intendevano, ovvero come sede dei sentimenti, ma soprattutto della mente. Ogni volta che leggo il Vangelo dovrei rientrare nel mio essere interiore, e qui lasciare che agisca lo Spirito santo.
È chiaro che il cammino è lungo e complesso per arrivare alla scoperta del mondo interiore per unirsi a quel Dio che è Spirito che parla allo spirito, Spirito che si unisce con lo spirito.
Ma pensate alla presenza dello Spirito nel Vangelo di Giovanni: Gesù parla di Spirito alla donna di Samaria, Gesù parla di Spirito nell’incontro notturno con Nicodemo, Gesù parla di spirito con il cieco dopo che questi ha ricevuto il dono della vista fisica.
Certamente, ed è un altro aspetto da evidenziare, il cammino della fede è lungo, talora anche drammatico. Pensate al brano di oggi, che è un’altra prova di quanto dicevo in una precedente omelia, quando spiegavo che il quarto Vangelo si svolge come se fosse un lungo processo a Gesù. In poche parole, il Vangelo è la narrazione di una Verità, quella divina, che, per il fatto che si è immersa nella storia (il Logos si è fatto carne), sarà sempre soggetta a una continuo processo da parte del Maligno, che di volta in volta assume nomi diversi, sempre ingannevoli.
Nel racconto di oggi, è sempre Gesù ad essere processato (ha violato la legge del sabato), ma lo è indirettamente. Gesù, dopo aver ridato la vista fisica a quel cieco, scompare dalla scena, e lascia solo il cieco miracolato ad affrontare le critiche da parte degli amici, dei parenti e dei farisei.
Veramente strano il comportamento di Gesù, ma possiamo cogliere un elemento importante: il cammino della fede, se richiede la grazia di Dio, richiede anche la nostra collaborazione. Davvero ammirevole il comportamento di quel cieco che affronta con coraggio, anche con ironia, ogni domanda dei farisei. Sì, con ironia, ed è questa che li fa maggiormente arrabbiare. Càpita ancora oggi che l’ironia faccia arrabbiare il potere, il quale subito ricorre alla querela, che è una minaccia e una censura. Ed è capitato a quel cieco, buttato fuori dalla sinagoga. Per il potere non c’è altra via che emarginare, segregare, condannare gli spiriti liberi.
Quando quel cieco, dopo essere stato cacciato dalla sinagoga, incontra Gesù, che finalmente riappare in scena, è pronto per ricevere il dono della Fede. E qui si apre un discorso sulla Fede che richiederebbe un’altra omelia. Che dico? Richiederebbe una vita intera, perché il nostro cammino di fede parte dalla nascita e si chiude con la morte.

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