Omelie 2024 di don Giorgio: PENTECOSTE

19 maggio 2024: PENTECOSTE
At 2,1-11; 1Cor 12,1-11; Gv 14,15-20
Luca, nel libro “Atti degli Apostoli”, secondo capitolo, descrive la discesa dello Spirito Santo sugli Apostoli in maniera “spettacolare”: «Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue…».
Più volte l’ho detto: già sulla croce, avvolta secondo l’evangelista Giovanni in un alone di luce, mentre moriva carnalmente Gesù donava il suo Spirito, e la sera stessa del terzo giorno, il Cristo risorto, apparendo agli apostoli chiusi in casa per paura dei Giudei, soffiando su di loro dirà loro: “Ricevete lo Spirito santo”.
E allora la discesa “spettacolare” dello Spirito santo sulla Chiesa primitiva (erano presenti, oltre gli apostoli, più di cento discepoli) come va interpretata?
Anzitutto, è evidente lo scopo di contrapporre, o, meglio, di sostituire la Pentecoste ebraica con la discesa dello Spirito santo sui nuovi credenti. Dunque, la Pentecoste cristiana prende nome e tempi da quella ebraica. Gli ebrei celebravano la Pentecoste cinquanta giorni dopo la Pasqua. Il termine “pentecoste” deriva dal greco e significa cinquantesimo (sottinteso giorno). In alcuni libri dell’Antico Testamento la Pentecoste viene chiamata anche “festa delle settimane” o “festa delle primizie”, perché cadeva sette settimane dopo l’inizio della mietitura. Si trattava, dunque, originariamente, di una festa agricola durante la quale si offrivano a Dio le primizie del raccolto, come ringraziamento. Successivamente si trasformò in una commemorazione dell’alleanza, della Torah, della legge santa donata da Dio a Israele. La Pentecoste era l’occasione di un grande afflusso di gente che arrivava a Gerusalemme da tutti i paesi del Mediterraneo. Questo è lo scenario dell’effusione dello Spirito di cui ci parla la prima lettura di oggi.
Inoltre, Luca descrive l’effusione dello Spirito con immagini che ricordano la manifestazione di Dio che, sul Sinai, chiama Mosè per mandarlo a liberare Israele dall’Egitto: è fuoco, vento e anche lingua che conferisce la forza di parlare.
Più volte ho contrapposto la spettacolarità della Pentecoste narrata da Luca negli “Atti degli apostoli” con l’incontro di Dio con il profeta Elia: «Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia?» (1Re 19,11-13).
Possiamo fare un altro confronto con un testo del Vecchio Testamento. Lo stesso papa Benedetto XVI ha contrapposto l’episodio di Babele con la Pentecoste cristiana.
L’episodio della torre di Babele racconta che gli uomini hanno voluto – come conquista propria e non come dono – raggiungere Dio sfidandolo nella sua onnipotenza: «Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome per non disperderci su tutta la terra» (Gn 10,4).
È l’eterna tentazione dell’uomo che vuol farsi Dio, e cerca salvezza in se stesso, dal basso, con forze proprie, anziché nell’accoglienza di un dono che viene dall’alto. Un rapporto stravolto che conduce all’incomunicabilità: il racconto biblico non parla soltanto di confusione delle lingue, ma anche e soprattutto di dispersione dei popoli: «Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l’uno la lingua dell’altro. Il Signore li disperse di là su tutta la terra ed essi cessarono di costruire la città».
Dietro la differenza delle lingue si intravede lo sfascio dell’unità della famiglia umana, la disgregazione, ciascun popolo in un proprio cammino, un popolo contro l’altro. È la dispersione e la frantumazione dell’essere umano, ognuno alla ricerca del proprio ego e del proprio interesse.
Non più il comune riferimento a Dio, alla verità e al bene, nell’edificazione comune, ma ognuno alla forsennata ricerca di una propria salvezza. La Bibbia è lucida e sa che l’incomunicabilità non è solo questione di lingua, ma di valori. Non ci si intende più, non si dialoga più, non perché le lingue sono diverse, ma perché i valori non sono più comuni.
Ho trovato queste parole: «La costruzione di una torre con lo scopo di farsi un nome è il tentativo di autoaffermarsi e di farlo negando ogni confine tra cielo e terra: è il tentativo di costruzione di un “infinito artificiale” con una ripetizione monotona dell’elemento finito (mattone su mattone). La conseguenza di questa spasmodica illimitata affermazione di sé conduce alla divisione».
Se a Babele gli uomini si disperdono, a Pentecoste uomini di diverse lingue si incontrano e si comprendono: «Erano stupefatti e fuori di sé per lo stupore e dicevano: costoro che parlano non sono forse tutti galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa?».
«La comunicazione torna ad essere possibile perché il protagonista è lo Spirito santo. A Babele un’unità fondata su falsi presupposti si infrange. A Pentecoste, una frantumazione si ricompone. E questo per due motivi: perché si tratta di una ricomposizione nella libertà e nel consenso, non nella violenza; e perché si tratta di un incontro attorno alla Parola di Dio, alla verità, non ai propri interessi e alle proprie opinioni. Lo Spirito di Pentecoste non parla una sola lingua, ma si comprende nella lingua di ciascuno. Questo significa che il dialogo è autentico se universale. Non c’è vero dialogo là dove si esclude qualcuno. Questo sulla base del principio che l’uomo è amato da Dio, è sua immagine, e dunque è degno di ascolto, perché portatore di diritti e di verità. Il diritto al dialogo, alla parola e all’ascolto, è racchiuso nella radice stessa dell’uomo, nel suo essere immagine di Dio. Dio non esclude nessuno dal suo dialogo, e così deve fare l’uomo. In questo modo deve ragionare ogni credente. Lo stesso ragionamento può essere fatto anche da un non credente: ogni uomo, semplicemente perché tale, è portatore di diritti e di verità, e dunque ha il diritto di esprimersi e di essere ascoltato».
Dovrei aggiungere un altro riferimento: al capitolo 37 del profeta Ezechiele, con la visione della vallata con le ossa aride che al soffio dello Spirito si ricompongono per tornare a rivivere. Lascio a voi immaginare la scena: una scena che ci dà speranza in una società, come questa, in cui tutto sembra violenza e morte. Smettiamola di andare in giro a gridare “pace”: ogni giorno, di primo mattino, perché non invocare lo Spirito santo perché di nuovo faccia rivivere le ossa aride di una società in frantumi?

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