“Gioventù meloniana”: i troppi silenzi e le reazioni imbarazzanti all’inchiesta di Fanpage

da www.valigiablu.it

“Gioventù meloniana”:

i troppi silenzi e le reazioni imbarazzanti

all’inchiesta di Fanpage

18 Giugno 2024
di Matteo Pascoletti
Ci sono almeno tre motivi per cui è bene guardare e discutere dell’inchiesta Gioventù meloniana di Fanpage, che vede una giornalista sotto copertura nell’ala giovanile di Fratelli d’Italia, tra richiami al Duce, saluti gladiatori e “Sieg heil”. Dove per discutere intendo ovviamente il merito dell’inchiesta, le sue implicazioni, le opacità e le domande di interesse pubblico che solleva.
Il primo è che chiama direttamente in causa persone che hanno ruoli importanti nel partito guidato da Giorgia Meloni, e non quindi le classiche “mele marce” o i “quattro esagitati”. Tra questi, l’eurodeputato Nicola Procaccini, co-presidente dei Conservatori e dei Riformisti Europei, (ECR) e due parlamentari, Marco Perissa e Paolo Trancassini.
Il secondo, collegato al primo, è che nella cultura politica di Fratelli d’Italia e della sua ala giovanile i richiami espliciti al fascismo e al nazismo appaiono tutto fuorché episodi. Ciò implica che una persona sui diciotto anni che si avvicina a quell’area politica con quel misto di passione, entusiasmo e ingenuità che tutti abbiamo in quella fase della vita, a prescindere dalle motivazioni e dalle idee, è portata a radicalizzarsi. Difatti la giornalista sotto copertura si presenta inizialmente come volontaria che vorrebbe scrivere per Nazione Futura, rivista dell’omonimo think-thank, non certo come un’esagitata “patriota”. Gioventù Nazionale, ricorda Fanpage, solo l’anno scorso ha ricevuto 342mila euro da Fratelli d’Italia.
Ciò getta più di un’ombra sul posizionamento di Fratelli d’Italia come forza politica che da “destra sociale” vorrebbe rifondare l’area conservatrice moderna, in Italia come in Europa. Evidenzia come questa immagine sia usata come paravento, un gioco delle parti che ha bisogno di complicità, compari pronti a collaborare nel dibattito pubblico e persino nelle istituzioni, nazionali e sovranazionali. Una facciata di comodo per ammantarsi di rispettabilità, intanto che si lavora per l’egemonia illiberale.
Nella videoinchiesta ai militanti è espressamente detto di evitare certi codici con la stampa, o in presenza di occhi indiscreti. Insomma, si tratta di linguaggi e codici iniziatici, un lessico di appartenenza e di coesione simbolica. Qualcosa che va pronunciato con discrezione in attesa del giorno in cui si potrà uscire alla luce del sole. Ma la produzione e distribuzione di adesivi con motti fascisti è la più classica delle pistole fumanti. Si tratta di esplicita propaganda neofascista.
Il terzo riguarda la magistratura e possibili reati che potrebbero essere stati commessi. Su tutti, naturalmente, l’apologia del fascismo. Ma c’è anche il passaggio in cui si parla dei soldi che arriverebbero ai volontari del movimento attraverso il Servizio civile. Su questo aspetto il deputato Matteo Mauri (Partito Democratico) ha già annunciato un’interrogazione parlamentare.
A questi tre motivi, con poche eccezioni, si è risposto perlopiù con il silenzio da parte della grande stampa. Editorialisti di grosso calibro, commentatori prezzemolini, controcorrente di professione sono stati distratti da altri avvenimenti, o hanno scoperto la virtù del bel tacere. Le eccezioni sono state così poche che neanche arrivano a confermare la regola. Domani, Repubblica, il programma Rai Chesarà…, il Tg3, L’aria che tira e Tagadà su LA7, oltre a Piazzapulita che ha mostrato l’inchiesta. Rispetto alla copertura mediatica che si dà ai “casi” del giorno, la notizia è stata largamente ignorata, e questo la dice lunga sullo stato dell’informazione nel paese.
Un deserto attorno cui sono arrivate le poche risposte delle persone più o meno chiamate in causa. Rispondendo a Domani, Procaccini si è giustificato annunciando querela contro Iratxe García, capogruppo dei socialisti al Parlamento Europeo, e spiegando che era solo troppo vicino a una persona.
Ho denunciato la capogruppo socialista alle Procure di Roma e Latina perché non stavo facendo un saluto fascista, ero solo troppo vicino a una persona che mi ha preso il gomito.
García aveva infatti commentato su X/Twitter l’inchiesta:
Siamo sconvolti dal documentario realizzato dalla piattaforma online Fanpage che denuncia gli stretti legami tra il partito della Meloni e i nostalgici del fascismo. Tra le varie immagini scandalose, una mostra chiaramente il co-presidente dell’ECR Procaccini che fa il cosiddetto “saluto fascista.
Francesco Giubilei, presente alla puntata di Piazzapulita insieme a Italo Bocchino, direttore editoriale del Secolo d’Italia, si è barcamenato senza troppo successo in qualità di presidente di Nazione Futura; su X/Twitter ha poi replicato ulteriormente, annunciando querela verso la giornalista che ha lavorato sotto copertura (non quindi verso Fanpage, sembrerebbe). Sempre Giubilei a L’aria che tira ha invece parlato di un possibile esposto all’Ordine dei Giornalisti. Ma, di fatto, nessuno dei due ha negato il contenuto dell’inchiesta, o dato risposte credibili. Si sono semplicemente esercitati nell’antica arte dell’ammuina: buttarla in caciara per non rispondere nel merito, per deviare l’attenzione. Facile prevedere che sarà un leit-motiv di quella parte politica, secondo una rodata strategia (“inondare la zona di merda”, dicono in inglese). A L’aria che tira Gasparri ha ipotizzato che a inneggiare al Duce potrebbero essere stati tifosi della casertana infilati nel montaggio dell’inchiesta.
Nessuno poi ha pensato di fare domande alla presidente del Consiglio, impegnata nei giorni in cui usciva l’inchiesta a presiedere il G7. Nessuno, nel pur fornitissimo ufficio di comunicazione di Fratelli d’Italia, ha pensato bene di replicare a caldo, o di rilasciare comunicati, indire conferenza stampa. Evidentemente, la strategia dei vertici è quella del silenzio misto alle caciare dei fedelissimi, in attesa di capire il da farsi. Questo grazie anche a quei giornalisti che, di fronte al re nudo (o alla regina) d’istinto son portati a gettare asciugamani per coprire le regali pubenda, o a distogliere gli sguardi della pubblica opinione. Così per esempio Il Foglio ha rilanciato né più né meno alcune delle scuse abbozzate dal comporto intellettuale dell’estrema destra, sotto forma di risposta alla rubrica delle lettere.
Fuori dai confini italiani, a parte le reazioni di alcuni politici e intellettuali, se ne sta iniziando a parlare sulla stampa senza troppi giri di parole: il conservatore Telegraph titola per esempio “La ‘gioventù meloniana’ beccata a cantare ‘Sieg heil’ e fare il saluto nazista”. C’è poi lo spagnolo El Diario (“Saluti fascisti, elogi a Mussolini e ‘Sieg heil’: ecco i giovani di Fratelli d’Italia, che la Meloni considera “meravigliosi’). Facile prevedere che ingrossandosi oltre frontiera il caso, ci si accoderà stancamente anche in Italia, se non altro per evitare di perdere la faccia. Il portavoce della Commissione Europea ha intanto formalmente condannato l’uso di simbologie fasciste:
Il punto di vista della Commissione europea e della presidente” Ursula von der Leyen “sulla simbologia del fascismo è molto chiaro: non crediamo che sia appropriata, la condanniamo, pensiamo che sia moralmente sbagliata.
Il problema, però, è che proprio von der Leyen, a caccia dei voti della destra per la conferma a presidente della Commissione Europea, sembra abbastanza incline a voler salvare le apparenze, costi quel che costi. Proprio ieri, infatti, Politico rivelava che von der Leyen ha provato a far slittare un rapporto dell’Unione Europea in cui l’Italia viene criticata per la limitazione della libertà di espressione nei media da quando è al governo Giorgia Meloni. Qualcosa di cui abbiamo già parlato su Valigia Blu, ed evidenziato anche dall’annuale classifica di Reporter Senza Frontiere, che ci ha visto scendere al 46esimo posto rispetto al 2023. Von der Leyen, secondo le fonti ascoltate da Politico, avrebbe lavorato per rimandare la pubblicazione del rapporto a luglio, giusto dopo l’elezione del nuovo presidente della Commissione.
Tornando, quindi, al panorama politico e mediatico italiano, facciamo per un attimo finta che un certo tipo di argomentazioni nostrane sull’inchiesta di Fanpage nascano da buona fede. L’esercizio non è sterile, perché, a prescindere da cosa abbiate votato queste argomentazioni sono usate per negare ai cittadini il diritto di essere informati; per sottrarre la classe politica al dovere di rispondere del proprio operato. Sono la parte più rumorosa che accompagna silenzi, minacce di querela, formalismi senza sostanza, trollaggi davanti ai microfoni e probabili sfuriate nelle conversazioni ufficiose di palazzo. Naturalmente se per voi votare equivale a scegliere il padrone cui affidare il vostro guinzaglio e collare, potete passare oltre.

Il “girato”

A Piazzapulita, beccandosi le risate dei presenti, Bocchino ha ripetuto l’argomento del “girato”, per cui per esprimere un parere su un’inchiesta bisognerebbe acquisire tutto il materiale a disposizione. Scusa già usata da Fratelli d’Italia ai tempi di un’altra inchiesta di Fanpage, e già smontata a suo tempo dal direttore della testata: è casomai materiale per le procure, non per chi è oggetto di inchiesta giornalistica. Si tratta di una richiesta che va ben oltre il legittimo diritto di replica, e potenzialmente rappresenta una violazione della deontologia giornalistica. Immaginatevi un’inchiesta che chiama in causa un’azienda per reati gravi, come corruzione o associazione a delinquere: i giornalisti sarebbero obbligati a fornire tutto il materiale raccolto? Nel caso specifico, invece, c’è una domanda molto semplice che bisognerebbe porsi: partiti e organizzazioni politiche non hanno strumenti di indagine e verifica interna? Non hanno codici, organismi disciplinari? Se Fratelli d’Italia e Gioventù Nazionale non sono in grado di fare verifiche serie al proprio interno, vuol dire che vale la legge della giungla, e che quindi le loro parole non valgono nulla. Questa argomentazione serve a spostare le responsabilità: chi ha realizzato l’inchiesta ha qualcosa da nascondere, mentre chi nell’inchiesta è mostrato in atti di cui dovrebbe rispondere scivola via dal dibattito pubblico.

“Il buco della serratura”, “l’infiltrata”

Questo lessico accompagna l’accusa di agire fuori dalla deontologia giornalistica, di fare gossip o dossieraggio. Come si fa a prendere sul serio il giornalismo che “spia” dal buco della serratura? Se porre le questioni di metodo è fondamentale nel lavoro giornalistico, e in passato Fanpage è stata criticata, ad esempio per l’inchiesta Bloody money (incentrata sul rapporto tra politica e traffico dei rifiuti), non è normale che il dibattito si riduca al silenzio, o alle accuse di “spiare”.
Ci sono infatti precedenti autorevoli di inchieste analoghe sui partiti di estrema destra che non hanno avuto questo trattamento. In Svezia, una giornalista ha trascorso un anno sotto copertura nell’ufficio comunicazione nei Democratici Svedesi, partito di estrema destra attualmente al governo. L’inchiesta ha rivelato una vera e propria fabbrica di trolling e odio online, e il clima nel paese si è scaldato ulteriormente quando il leader dei Democratici Svedesi, invece di difendersi dall’inchiesta, ha aizzato la propria base contro “l’establishment dei media di sinistra”: vi ricorda qualcosa?
A gennaio, Correctiv grazie al lavoro sotto copertura ha rivelato gli incontri segreti tra il partito di estrema destra Alternative für Deutschland, movimenti neonazisti e imprenditori simpatizzanti. Sul piatto della trattiva era finito un piano per la deportazione di milioni di persone che vivono nel paese. Lo scoop di Correctiv ha generato forti movimenti di protesta, e già da allora sono iniziati in quell’area politica le prese di distanza da un alleato un po’ troppo radicale persino per gli standard alquanto flessibili dell’estrema destra.
C’è stata poi l’inchiesta sotto copertura di Al Jazeera, che nel 2018 in Francia ha indagato su Generazione Identitaria, movimento giovanile vicino al Raggruppamento Nazionale di Marine Le Pen. L’inchiesta sui “giovani patrioti” francesi ne rivelò il carattere suprematista e apertamente razzista, tanto che nel 2021 il gruppo venne dichiarato fuorilegge. Ci sono state infine le inchieste di Channel 4 e di The Ferret su Patriotic Alternative, tra i principali movimenti di estrema destra nel Regno Unito.
Queste inchieste hanno avuto un impatto, sono state discusse, in alcuni casi attaccate; a volte i giornalisti che ci hanno lavorato sono stati presi di mira. Il fatto che esistano precedenti così autorevoli e di impatto in diversi paesi europei mostra come il discorso di metodo non possa diventare una scusa per evitare il merito delle inchieste stesse. Non solo: è la natura stessa di questi movimenti, la doppiezza con cui si presentano alla luce dei riflettori mentre dissimulano la propria agenda, a creare i presupposti perché si debba lavorare sotto copertura. Negare ciò significa prima di tutto dimostrare di non aver capito cos’è oggi l’estrema destra (“ultradestra”, secondo la definizione estesa). O di aver scelto la strada del collaborazionismo, se non la militanza attiva.

E i centri sociali?

Il fatto che questo argomento venga usato da chi al contempo stigmatizza il metodo usato, dimostra l’inconsistenza di entrambi gli argomenti e la cattiva fede di chi li usa. Da una parte si critica lo “spiare” attraverso “il buco della serratura”, dall’altra si invita a usare quel metodo deprecato verso altre aree politiche, applicando prima di tutto una visione alquanto distorta di par condicio. Da notare che nessuno dirà mai “e i Giovani Democratici?”, ovvero l’ala giovanile del Partito Democratico, che sarebbe il vero contraltare di Gioventù Nazionale: se si scoprisse infatti che i Giovani Democratici sono una centrale di radicalizzazione dove si inneggia a Stalin o alla BR, i primi a esserne sorpresi sarebbero gli stessi Giovani Democratici.
Si evocano perciò i “centri sociali” come uno spauracchio, come una sorta di terreno politico collaterale agli attuali partiti di opposizione, secondo una contrapposizione puramente fittizia che vorrebbe l’attuale gioco di schieramenti in Parlamento a somma zero, tra destra e sinistra. Questo serve prima di tutto a nascondere la radicalizzazione politica in atto nello schieramento conservatore. Secondariamente, manifesta una visione del giornalismo come connivenza con la politica. Siccome lo sporco in casa ce l’hanno tutti, sollevare polvere presso alcune dimore è prima di tutto una scortesia.
“Perché non trovate lo sporco anche nei vostri amici?”: è questa, gratta gratta, l’essenza della domanda, la morale da ricatto incrociato, da “voi vi tenete il vostro sporco, noi il nostro”. Ma figurarsi se una testata seria, nel momento in cui pianifica un’inchiesta, si debba mettere in testa di indagare anche “sugli altri”, raddoppiando quindi risorse e andando alla cieca per non scontentare nessuno. Rappresenta giornalismo a tesi raddoppiato, altro che imparzialità. Non è così che si imposta un’inchiesta, e non è così che è divisa davvero la società: Azione, Italia Viva, +Europa dove li mettiamo in questo schema? Se si indaga sotto copertura sul Vaticano bisogna indagare anche su altre confessioni? E se si indaga su una grossa azienda bisogna infiltrarsi anche in un sindacato – e quale?
Detto ciò: se vi fossero organizzazioni politiche vicine alla sinistra parlamentare che manifestano condotte opache, o problematiche, o fuori dalla legalità, è ovvio che ciò costituirebbe materiale per inchieste serie e scrupolose. Il punto però è che se questa argomentazione proviene da altri giornalisti, viene lecito domandare “se lo ritieni così importante perché non indaghi tu?” Se resta nell’aria nei dibattiti televisi per affossare qualunque discussione, va da sé che è pretestuosa.

Agli italiani non interessa (e varianti “mica vorrete dire che il 30% degli italiani è fascista”, “il fascismo è morto con Mussolini”)

Certo, deve essere proprio per questo che l’inchiesta di Fanpage è passata sotto silenzio nei telegiornali e su molti quotidiani. Per non annoiare l’elettorato che ha ben altri interessi, ad esempio Meloni che balla la pizzica al G7: quello sì è un tema fondamentale. Deve essere per questo che in Rai si respira un clima tutt’altro che sereno, con tanto di sindacati filogovernativi la cui principale preoccupazione è contrastare gli scioperi dei colleghi.
Corollario di questa mentalità da demagoghi è l’usare la percentuale di elettori (che non è la percentuale di italiani, ricordiamocelo) per diluire le responsabilità dei singoli. Per trasformare i discorsi sul consenso in alibi effettivi. Dopo quanti voti un politico o il suo partito diventano immuni dalle conseguenze? Perché o fissiamo una quota oltre la quale in pratica non si eleggono rappresentanti, ma capetti e capi, oppure nei sistemi di pesi e contrappesi all’aumentare dei voti presi aumentano le responsabilità, non è che diminuiscono.
Anche buttarla sul “fascismo è morto con Mussolini” è un modo per deresponsabilizzare. Nessuno accusa Fratelli d’Italia di voler resuscitate i morti, o di aver finanziato con 342 mila euro l’ala giovanile dei negromanti del partito. Il partito spieghi pure perché troppe persone di quell galassia politica sono così affascinate dal culto dei morti illustri della prima metà del Novecento, dai loro codici e dai loro saluti. Spieghino perché periodicamente salta fuori nel ciclo della notizia qualche saluto romano, qualche post “shock” su Facebook, da parte di qualche consigliere comunale o dirigente di partito.
Non si fanno inchieste né si chiede che vengano viste e discusse perché si fa il conto sui voti che si perderanno. O perché si teme il passato come un fantasma che prenderà possesso del presente. Queste non sono dinamiche su cui si può ragionare in termini di causa/effetto, o facendo stime: è roba da taumaturghi, non da scienziati politici. Il punto focale è che l’opinione pubblica ha diritto di essere informata, e l’inchiesta di Fanpage sta avendo come principale risultato il mostrare quanto è compromesso il panorama mediatico italiano nei suoi rapporti con la politica. Non una compromissione irreversibile: ma è certamente qualcosa che va guardato in faccia e messo al centro del dibattito, se si vuole restituire al paese un livello accettabile di salute pubblica, mentre gli anticorpi democratici sono sempre più sotto attacco. Altrimenti, una prima conseguenza è di mettere a repentaglio la sicurezza e l’incolumità di chi realizza inchieste, poiché delegittimare a monte chi fa questo delicatissimo lavoro contribuisce anche a trasformarlo in un bersaglio.
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da Fanpage.it

Saluti romani, inni al Duce e “Sieg Heil”:

dentro Gioventù nazionale,

il movimento giovanile di Fratelli d’Italia

I militanti di Gioventù Nazionale, sono la futura classe dirigente di Fratelli d’Italia. Backstair, l’unità investigativa di Fanpage.it, si è infiltrata con una giornalista sotto copertura tra le fila del movimento giovanile del partito di Giorgia Meloni: nella video inchiesta Gioventù Meloniana vi mostriamo come si formano le nuove leve della destra, fra inni al fascismo, paura per la stampa, apologia del terrorismo nero e insulti a neri e omosessuali.
A cura di Backstair
Nei loro cori sono “la migliore gioventù”, agli eventi istituzionali i “ragazzi stupendi” di Giorgia Meloni, e per tutti “l’anima e il motore” necessari per far vincere Fratelli d’Italia. Ma quando scendono dai palchi della festa di Atreju o della campagna elettorale, asserragliati nelle sedi del partito, parlano di scritte che inneggiano al fascismo, partecipano a concerti di estrema destra col braccio teso, rimpiangono l’operato dei terroristi neri, urlano “Duce!” e “Sieg Heil!”, cantano “boia chi molla” identificandosi come “legionari”, “camicie nere” e “camerati, mica poveri coglioni”. Sono i militanti di Gioventù nazionale, il movimento giovanile di Fratelli d’Italia, il vanto dell’intera classe dirigente del partito.
In Gioventù Meloniana, la video inchiesta sotto copertura realizzata da Backstair, l’unità investigativa di Fanpage.it, vi mostriamo come i giovani militanti del partito della presidente del Consiglio danno sfogo all’anima nera del partito, mentre i responsabili del movimento partecipano o avallano questi comportamenti. Con una nostra giornalista, infatti, ci siamo infiltrati tra le fila di Gioventù nazionale e abbiamo documentato i racconti, le relazioni e le azioni di questo gruppo.

L’infiltrazione: da Nazione futura a Gioventù nazionale

Fingendosi una giovane con ideali di destra appena trasferitasi a Roma, la giornalista sotto copertura di Backstair si è inserita tra le fila di Gioventù nazionale. Per farlo ha iniziato a frequentare gli eventi di Nazione futura, il think thank dei conservatori fondato da Francesco Giubilei, editore ed ex consigliere del ministro della cultura Gennaro Sangiuliano. È infatti alle convention di Nazione futura che si ritrovano alcuni militanti di Gioventù nazionale: sono giovani universitari che si definiscono conservatori e pubblicamente presentano il loro profilo moderato. Nella loro cerchia, però, si vantano della loro appartenenza alla destra sociale, parlano di svastiche, di senatori “con le croci celtiche”, “camerati che sono andati in Ucraina” per combattere e dei “disertori che arrivavano in Polonia” che “massacravamo”.
È a uno di questi eventi che si crea l’occasione per entrare in contatto con Ferrante De Benedictis – vicepresidente di Nazione futura e consigliere comunale a Torino per Fdi – ed essere invitati a contribuire alla rivista legata al think tank. Iniziamo così a collaborare con loro, pubblicando i primi articoli e dei pezzi funzionali a delegittimare l’opposizione al governo Meloni. Grazie alle credenziali maturate attraverso Nazione Futura, ci si aprono le porte degli eventi più importanti di Fratelli d’Italia. A partire da Atreju, la manifestazione della destra giovanile nata con Giorgia Meloni e cresciuta assieme alla leader del partito. Se durante la giornata i militanti sono impegnati nel servizio d’ordine, è nei ritagli di tempo tra una conferenza e l’altra che si lasciano andare: “È da quando avevo 14 anni che faccio politica, con Fdi ho iniziato il primo anno di università, ma prima ero di CasaPound”, racconta un esponente del movimento giovanile. “Mio nonno era un fascistone – confessa una militante – quando sono nata mi ha regalato il corredo nero di seta, sono cresciuta così”.

“La migliore gioventù” pronta a diventare classe dirigente

È sabato 1 giugno e mentre gli elettori di Fratelli d’Italia si riuniscono in Piazza del Popolo, attendendo l’inizio del comizio che segna la fine della campagna elettorale per le europee di Giorgia Meloni, dal Pincio, tra cori e fumogeni tricolore, scendono i ragazzi di Gioventù nazionale: “Siamo la migliore gioventù d’Italia, siamo Gioventù nazionale e per sempre canteremo”, intonano mentre sventolano le bandiere.
Fondata nel 2014, la giovanile di Fratelli d’Italia conta, ad oggi, migliaia di tesserati, al punto da rivendicare di essere il più grande movimento giovanile di partito in Italia. L’emblema che li contraddistingue è una mano che stringe un tricolore mosso dal vento, un’evoluzione della mano che porta la fiamma, quella del Fronte della Gioventù, di cui è erede storico e spirituale.
La differenza sta nel ruolo che, oggi, l’organizzazione ricopre a fianco del partito di Governo. Lo scorso dicembre, dal palco di Atreju, Giorgia Meloni ringraziava i giovani del suo partito: “Questa è la cosa che ci invidia moltissima gente, che ci sono giovani che ancora credono nella politica, nella militanza, è raro, è prezioso”. E infatti, negli ultimi anni, il movimento giovanile è cresciuto in maniera esponenziale: “Oggi esprimiamo classe dirigente di qualità in ogni territorio”, afferma Fabio Roscani, presidente del movimento e deputato di Fdi, rivolgendosi all’assemblea dei militanti durante la convention di Pescara.
È presenziando a questi momenti nelle vesti del militante, che ci si rende conto del valore che Gioventù nazionale esprime per il partito. I ragazzi sono impegnati in prima linea in tutte le manifestazioni, lavorano a stretto contatto con i dirigenti, come Giovanni Donzelli, che proprio a Pescara si intrattiene con loro per ultimare i preparativi.

Andrea Piepoli e Flaminia Pace: chi sono i responsabili

Ad Atreju conosciamo Piermarco Silvestroni, figlio del senatore Marco Silvestroni, storico esponente del partito. È lui che ci propone un incontro con Andrea Piepoli, dirigente nazionale del movimento giovanile: “È vicino al presidente nazionale Fabio Roscani e in teoria sarà il prossimo presidente nazionale. Coordina molte dinamiche sia a livello nazionale che romano. Ti inserirebbe da subito in uno dei gruppi che rispondono a lui su Roma”.
È tramite Piepoli e Silvestroni che ci presentano Flaminia Pace, l’enfant prodige della politica romana e tenuta in grande considerazione per le prossime Amministrative della Capitale. Nel 2021, a diciotto anni, dopo la pubblicazione dell’inchiesta di Fanpage.it Lobby nera e l’assalto alla Cgil da parte di Forza nuova, aveva indirizzato al presidente Sergio Mattarella e all’allora presidente del Consiglio Mario Draghi una lettera in cui chiedeva loro di “limitare la gogna mediatica” su Fratelli d’Italia, perché il partito e i suoi militanti non avevano niente a che fare col fascismo: “Non posso accettare di essere additata, sbeffeggiata e umiliata continuamente da testate giornalistiche, programmi televisivi e intellettuali, di essere una pericolosa nostalgica del Fascismo, solo perché sono parte di un Partito politico, solo perché sono una Patriota e solo perché credo in valori diversi da quelli raccontati ogni giorno dal mainstream.”
Quando, però, parla con i membri della sua sezione, Pace dice di voler votare “tre volte Duce” alle elezioni europee, insulta i “ne*ri”, e autorizza i militanti di Gioventù nazionale a scrivere “boia chi molla” per coprire scritte antifasciste. Con i suoi militanti, racconta persino dei presunti rapporti del padre con Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, fondatori dei Nar, i Nuclei Armati Rivoluzionari, il gruppo terrorista d’ispirazione neofascista responsabile della strage di Bologna e di 33 omicidi.
Oltre all’attività politica condotta a Casa Italia, il circolo di Fratelli d’Italia da lei fondato, Pace è anche membro della Commissione affari europei e cooperazione al Consiglio nazionale giovani, l’organo consultivo a cui è demandata la rappresentanza dei giovani nella interlocuzione con le istituzioni, tra cui l’Ufficio per il servizio civile universale, quello che definisce le modalità di svolgimento del servizio civile. È proprio del servizio civile che Flaminia Pace parla, mentre pensa a come raccogliere offerte per il circolo che presiede: “Dal prossimo anno avremo un altro tipo di entrata che ci deriverà dal servizio civile, i soldi vengono dallo stato, a ogni ragazzo per fare questo volontariato vengono dati 500 euro al mese. Che dobbiamo fare però per fare servizio civile? Nulla. Dei 500 euro si gradisce una buona offerta”.
A uno degli eventi della sede di Gioventù nazionale Pinciano, interviene anche Arianna Meloni, sorella della premier e capo della segreteria politica di Fdi: “Grazie a tutti i nostri militanti, a tutti i nostri ragazzi. Noi siamo questo, questa sede è l’esempio di quello che è il nostro partito”. La presenza di Arianna Meloni all’interno del circolo non ha un valore solo simbolico, lo spiega proprio Flaminia Pace: “Arianna ci ha detto che noi qui possiamo costruire tanto, e se lo ha detto lei vuol dire che possiamo diventare un punto di riferimento”.

Il presente e la voglia di “caricare” gli avversari

Per settimane partecipiamo alla vita della comunità militante ed è sotto la guida della responsabile del circolo che iniziamo ad assistere alla formazione dei nuovi arrivati. I membri di questa sezione sono decine di ragazzi, che frequentano il liceo e l’università e quello che li accomuna sono delle forti idee politiche, spesso inconfessabili: insultano gli omosessuali (“il mio professore è gay e convive con un uomo” “che schifo, cambia classe”) e fanno commenti razzisti come “il nero va bene su tutto, ma non sulla pelle”. Poi, quando, a tarda notte si danno appuntamento per tappezzare la città di manifesti e adesivi estremisti, si muovono in squadra: devono esserci almeno due vedette che hanno il compito di sorvegliare la zona e lanciare l’allarme se vedono la polizia, mentre gli altri, con guanti e cappucci, attaccano gli striscioni.
Uno dei riti più importanti nella cultura di destra è quello del presente. Per restituire la solennità della memoria, Pace spiega ai militanti che bisogna osservare un comportamento militare: “Si tratta di un momento molto serio, saremo inquadrati in cinque file da cinque, si parte in posizione di riposo, quella militare, quando vedrete che io faccio questo movimento (portare la mano sul cuore, ndr), ci si pone sull’attenti, e si porta la mano sul cuore, con il pugno chiuso”.
È in questi momenti identitari che l’attenzione dei responsabili cresce, specie quando a immortalarli ci sono le telecamere, perché la preoccupazione è che ci si lasci andare con i saluti romani. Per questo in occasione del presente per Paolo Di Nella, il militante del Fronte della Gioventù vittima di un omicidio a sfondo politico avvenuto nel 1983, ai giovani di Fratelli d’Italia è fatto divieto di rispondere alle domande dei giornalisti e quando, durante la veglia, i cronisti si avvicinano per parlare ai ragazzi, vengono bloccati dal responsabile Andrea Piepoli.
Un partito al governo, insomma, chiede ai giovani di mostrare un volto più moderato, quando si è a eventi istituzionali. Queste direttive, però, non sono sempre sufficienti a frenarli, al punto che sono gli stessi responsabili ad assecondare e condividere queste esternazioni. Succede in Piazza del Popolo, a Roma, quando Andrea Piepoli saluta ripetutamente i suoi con la stretta gladiatoria, prima dell’arrivo di Giorgia Meloni per la chiusura della campagna elettorale delle europee.
Tra le raccomandazioni che i giovani militanti non accettano volentieri vi è quella di non rispondere con la violenza alle provocazioni. Quando la serranda della sede di Gioventù nazionale di Prenestino-Centocelle viene imbrattata, i dirigenti reagiscono organizzando una “Festa contro l’odio politico”, a cui partecipano diversi parlamentari. Fuori dalla sede, però, i ragazzi esprimono la loro insofferenza: “Qua ci vorrebbe un bel manganello”, dice un militante,”Il problema è che non li possiamo più caricare, una volta si poteva fare, ora è diventato un problema”, gli risponde un altro, “Nessuno che dice stronzi fascisti, guardano e basta”, conclude.

Saluti romani e musica identitaria a Colle Oppio

A margine dei comizi politici, durante le giornate di Atreju, i giovani di Fratelli d’Italia si organizzano per trovarsi a Colle Oppio, la sezione dove si è formata l’attuale classe dirigente del partito, oggi è l’ufficio di Fabio Rampelli, mentore di Giorgia Meloni e leader dei Gabbiani, la corrente interna a Fdi più identitaria. “Noi consideravamo Colle Oppio casa nostra, ci mobilitavamo per pulire il parco tutti gli anni, eravamo una luce accesa durante la sera”, scrive la premier nella sua autobiografia Io sono Giorgia.
Si tratta di un evento segreto, ma grazie all’invito di Patrizio Silvestroni, l’altro figlio del senatore Marco Silvestroni, la giornalista di Fanpage.it riesce a partecipare e ad assistere a quello che avviene all’interno. La portata dell’evento è chiara ancora prima di entrare: ”Dentro non si possono fare né foto né video – chiarisce uno degli organizzatori – perché suonano gli Aurora e non potrebbero suonare”.
Se non si può dire che gli Aurora suonano dentro Colle Oppio è perché la band, formata da ex militanti di Azione giovani, è uno dei gruppi di riferimento del rock identitario, la musica di estrema destra. I loro brani sono pieni di riferimenti alla sottocultura della destra post-fascista, come nella canzone Centuria alata, che menziona l’orgoglio di essere italiani grazie al “Maresciallo Balbo” che “ci guidava al Domani”. Conosciuti anche per aver dedicato nel 1998 una canzone all’attuale premier, “Piccolo coatto antico in un corpo da bambina”, vantano stretti rapporti col mondo di Fratelli d’Italia: il batterista, Federico Bonesi, è stato consigliere proprio di Meloni ai tempi del ministero della Gioventù oltre che animatore di alcuni eventi del partito, come Piazza Italia; mentre il cantante e chitarrista, Raffaele Persichetti, candidato nel 2018 col partito all’ottavo Municipio di Roma, ha gestito i canali social di Atreju, oltre a essere stato webmaster per le prime pagine web dell’attuale ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida e del presidente della regione Abruzzo Marco Marsilio. Sempre in quegli anni Persichetti ricopriva lo stesso ruolo anche per Meeting Point, l’azienda londinese creata da Roberto Fiore, fondatore del movimento eversivo di estrema destra Terza Posizione e poi di Forza nuova. Quello che i giornalisti non devono vedere al concerto di Colle Oppio è l’esaltazione di chi, indossando ancora la maglia dei volontari di Atreju, inneggia al passato con saluti romani e inni identitari.
La musica degli Aurora accompagna i militanti nelle occasioni più disparate: in auto, ai campi comunitari, ma anche nelle sedi di partito. Proprio all’interno di uno di questi luoghi, in occasione dell’inaugurazione di “Casa Italia”, la sede del circolo in cui la giornalista di Fanpage si è infiltrata, si svolge un altro concerto della band. È il 10 maggio e il presidente di Gioventù nazionale, Fabio Roscani, eletto alla Camera dei deputati nel 2022, ha concluso il suo discorso e dopo aver ringraziato i militanti di Pinciano si sistema all’esterno per continuare a parlare con dei referenti della provincia. Si defilano anche i deputati Marco Perissa e Paolo Trancassini, ma non prima di essersi congedati con il saluto gladiatorio. Chiuse le porte della sezione, con gli agenti di polizia in borghese ancora appostati per presidiare la zona, gli Aurora preparano gli strumenti e quando il concerto comincia i ragazzi, con il benestare degli esponenti di partito lì presenti, urlano “Duce!” e si esibiscono in saluti romani.

“Cabiria vive e in lei il suo fuoco”: il campo comunitario

Una delle esperienze fondamentali nella formazione dei militanti di Fratelli d’Italia è il campo comunitario, il momento in cui, lontani dalle direttive impartite dal partito nel suo ruolo di governo, i giovani possono consolidare lo spirito di appartenenza. Il compito che ci viene assegnato, durante i tre giorni di partecipazione al raduno di Rieti, è di fotografare i momenti più importanti. “Piepoli vorrebbe una foto con la fila di persone che salgono tipo la Compagnia dell’anello”, dice una militante che lavora nella segreteria di un deputato di Fdi. Il richiamo è all’esempio degli Hobbit, il popolo nato dalla penna di Tolkien, un immaginario di cui la destra negli anni si è appropriata.
Il campo comunitario si chiama “Cabiria”, nome coniato da Gabriele D’Annunzio che significa “nata dal fuoco”. Durante il campo i responsabili dei circoli spronano i militanti sottolineando l’importanza del ruolo che loro ricoprono per il futuro del partito: “Senza di noi molte cose non sarebbero possibili – ricorda Piepoli – noi siamo gli ingranaggi necessari per far funzionare la macchina e farla vincere”.
Quando però cala la notte, il gruppo di militanti con i suoi responsabili si stringe attorno a un falò, e cantano canzoni del Ventennio in cui si definiscono “fascisti”, “camicie nere”, “camerati di Mussolini” e gridano a pieni polmoni “Duce” e “Sieg Heil!”, senza paura di creare imbarazzi, perché tanto, una volta rientrati a Roma, continueranno a tenere a freno la loro natura.
a cura di Selena Frasson e Luigi Scarano

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