19 agosto 2018: TREDICESIMA DOPO PENTECOSTE
2Cr 36,17c-23; Rm 10,16-20; Lc 7,1b-10
Anzitutto, un commento di don Angelo Casati
Siccome non vorrei nuovamente farmi insultare (anche se gli insulti non mi toccano per nulla, soprattutto se provengono da gentaglia razzista!), da parte di qualche cristianello che poi leggerà o ascolterà l’omelia sul mio sito, premetto subito le parole di don Angelo Casati, che così inizia il suo commento ai brani della Messa.
«C’è un legame estrinseco, che forse non è poi così in superficie, tra la prima lettura del libro delle Cronache e il brano del vangelo di Luca. Nel libro delle Cronache si racconta di Ciro, re di Persia, che manda un proclama per tutto il suo regno in cui dice che Dio gli ha ordinato di costruirgli un tempio a Gerusalemme: un pagano chiamato a costruire un tempio a Dio! Nel Vangelo alcuni degli anziani dei Giudei sostengono la causa di un centurione che invoca la guarigione per il suo servo malato, ricordando a Gesù che è stato proprio lui, il centurione, a costruire loro la sinagoga: un pagano che costruisce una sinagoga».
Fermiamoci per un attimo: riuscireste oggi a immaginare un cristiano che facesse costruire una sinagoga o una moschea, o, viceversa, un ebreo o un musulmano che facessero costruire una chiesa cristiana? Ciò susciterebbe scandalo, per non dire altro!
Ma c’è di più. Nel brano del vangelo di Luca troviamo scritto che Gesù stesso dice nei riguardi di quel centurione pagano: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande».
Commenta ancora don Angelo Casati: «Forse abbiamo fatto l’orecchio alle parole del Vangelo, e non misuriamo più la loro portata. Mi è capitato di pensare e dire che sarebbe pari forse allo sconcerto che prenderebbe tutti noi se, un giorno qualsiasi, si aprisse la finestra su piazza S. Pietro e un papa alla folla convenuta dicesse: “Vi devo dire: da me ieri è venuto un musulmano o, che so io, una donna di una religione afroasiatica. Ebbene, vi devo confessare che in tutto il mondo cattolico uno, una, con una fede così grande non l’ho proprio mai vista!”. «Sconcerto nella piazza! Titoli sui giornali!».
Credo che abbia proprio ragione don Angelo a dire: sconcerto nella piazza! Titoloni sui giornali!
Il motivo non è tanto il fatto che realmente esistano credenti di altre religioni che superano la nostra credenza: tutti lo sappiamo. Ma ciò che può sconcertare è il fatto di confessarlo pubblicamente da parte della maggiore autorità della Chiesa!
Il padrone e lo schiavo
Tornando all’episodio evangelico, sempre a proposito del centurione romano, due cose appaiono evidenti, anche nella loro provocazione.
Leggendolo, chi non ha notato il profondo legame di amicizia tra un padrone e il suo servo? Sappiamo quanto poco contassero a quei tempi gli schiavi, dal punto di vista sociale! Certo, non tutti i padroni erano talmente aguzzini da maltrattare gli schiavi, tuttavia in una gerarchia per cui chi stava a capo aveva il potere dalla sua parte e poteva disporre dei suoi sudditi come egli voleva, rimaneva sempre, anche nel padrone più bonario, quel senso di superiorità per cui l’altro era sempre un inferiore.
E sarà proprio il potere fondato sulla schiavitù il primo a pagarne le conseguenze all’annuncio del messaggio cristiano, secondo cui tutti siamo figli di Dio alla pari, in quella grande famiglia che si chiama Umanità.
E secondo voi, oggi, nonostante tutto il progresso umano e sociale, nonostante le grandi conquiste sul piano dei diritti civili, la schiavitù è forse scomparsa dalla faccia della terra? Secondo voi, anche nelle nostre democrazie occidentali, dove parlare di schiavitù sembrerebbe una bestemmia, non è rimasto ancora quel senso di superiorità della razza bianca (non fermiamoci solo alle atrocità compiute dal nazismo!) per cui proclamiamo, magari in nome del Vangelo, quel “prima” e quel “dopo”, secondo cui l’occidente deve difendere “anzitutto” i suoi diritti di possesso da una massa di migranti, costretti proprio da noi occidentali ad essere trattati da schiavi per le nostre espansioni colonialistiche di sfruttamento delle loro risorse naturali?
Non ditemi che è scomparso del tutto quel senso di sentirci superiori, come razza e anche come religione, come se il fatto di avere la pelle bianca o di credere in un certo dio fosse un diritto da proteggere e da far prevalere, chiudendoci in un bieco escludente egoismo criminoso e criminale.
Il padrone e il popolo schiavo
Ma c’è un altro aspetto, davvero interessante, del centurione romano. Gli anziani ebrei così dicono di lui: «Egli ama il nostro popolo».
Un padrone poteva anche voler bene ai suoi schiavi, ma col popolo era un’altra cosa: bisognava tenerlo sempre soggetto alle leggi romane, le quali potevano anche avere una certa tolleranza con le tradizioni religiose, ma esigevano dagli ebrei, come dagli altri popoli schiavi di Roma, l’oneroso dovere di pagare le tasse.
L’amore del centurione per il paese, dove aveva la sua giurisdizione, dovrebbe esserci di insegnamento, con qualche domanda provocatoria: noi preti e cristiani in genere in che misura amiamo la nostra comunità? noi amministratori locali in che misura amiamo il nostro comune? noi cittadini in che misura amiamo il nostro paese?
Amare il proprio paese significa donare per i suoi abitanti le migliori energie, spendere il tempo migliore, avere una visuale dell’insieme del bene comune, sia spirituale che materiale, che non si fermi a qualche sporadica iniziativa e tanto meno a un insieme di cose da fare, ma che punti al meglio dell’essere umano. Questo vale per i preti e i credenti, per gli amministratori locali e per i cittadini.
La cosa più problematica mi sembra questa: superare le diverse ideologie di fede politica e religiosa, non farsi ricattare dalle esigenze pancesche della gente, mirare a quell’essere che è indistintamente del cittadino e del credente.
Far crescere un paese o una comunità non è facile, quando manca quell’opera altamente culturale che si chiama stimolo dell’intelletto interiore, che è rivolto verso il Divino e verso l’Umano. Ma ciò sarà impossibile quando la politica e la religione sono nelle mani di fondamentalisti politici e religiosi che hanno perso ogni ben dell’intelletto.
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