da New York Times
Come l’odio no vax e gli attacchi sessisti
hanno contribuito a «svuotare» Jacinda Ardern
di GIANLUCA MERCURI
Le dimissioni di Jacinda Ardern hanno sorpreso il mondo. In pochi anni, la premier neozelandese è diventata un’icona planetaria per il carisma gentile, il decisionismo ragionevole, il femminismo tautologico, naturalmente impresso in ogni suo passo, a spiegare al mondo che l’anomalia è quella millenaria che ha escluso le donne. E poi, la fermezza di fronte alle catastrofi che hanno segnato i suoi sei anni al potere e che alla fine, come ha detto nello spiegare la sua scelta clamorosa, le hanno «svuotato il serbatoio». Non se n’è fatta mancare una, «SuperJacinda»: la pandemia, una strage terroristica islamofoba che avrebbe potuto spaccare il Paese, perfino un’eruzione vulcanica epocale. In mezzo, sempre lei a reggere i «semplici» valori del rispetto e della solidarietà tra esseri umani, di qualsiasi identità, in anni in cui i Paesi che per la Nuova Zelanda sono riferimenti imprescindibili — l’Australia, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti — hanno vissuto momenti di inquietante chiusura.
Alla fine, nell’analisi delle ragioni che hanno portato al burnout di una leader davvero sublime, la pandemia sembra quella dominante. Sembra strano, ripensando alle sue dirette social della prima fase, a tranquillizzare tutti, anche lei chiusa in casa nella sua apparente normalità domestica che alla lunga si è rivelata più claustrofobica e frustrante della nostra, di noi persone ordinarie che le decisioni dovevamo solo aspettarle, non prenderle, in un momento in cui nessuno poteva avere certezze.
Su questo aspetto si sofferma, in particolare, il New York Times: «La pandemia sembrava giocare a favore dei suoi punti di forza come comunicatrice chiara e unificante, fino a quando le chiusure prolungate e l’obbligo di vaccino non hanno danneggiato l’economia, alimentato teorie cospirative e scatenato una reazione. In una parte del mondo in cui le restrizioni del Covid sono rimaste, Ardern ha faticato ad andare oltre la sua associazione con la politica imposta sulla pandemia».
All’inizio, spiega il politologo neozelandese Richard Shaw, «la gente ha investito personalmente su di lei, e questo è sempre stato parte del suo fascino». Così «è diventata un totem, la personificazione di una particolare risposta alla pandemia, che le persone ai margini lontani di Internet, ma anche quelle ai margini non così lontani, hanno usato contro di lei».
Il punto è che Ardern ha applicato una strategia pensata con gli epidemiologi, che puntava a eliminare il virus per poi tenerlo definitivamente lontano dalla Nuova Zelanda. Frontiere sigillate all’esterno ma anche all’interno, al punto da rendere impossibile perfino «recuperare una palla da cricket smarrita nel giardino di un vicino». Nella fase iniziale, nel 2020, solo la sua forza persuasiva poteva convincere «la nostra squadra di cinque milioni di persone», come si rivolgeva ai neozelandesi, ad accettare restrizioni del genere. Ma quando le nuove varianti hanno reso impossibile lo sradicamento del virus, sono arrivate le difficoltà. L’obbligo di vaccinazione — un obbligo di fatto per chi volesse continuare a lavorare e ad avere una vita fuori da casa — ha spezzato la luna di miele con una parte della popolazione. Lo spiega Simon Thornley, un epidemiologo che non ha condiviso le scelte della premier, e che infatti la accusa di aver messo i vaccinati contro i non vaccinati: «La creazione di una società a due classi e il fatto che le previsioni non si siano avverate del tutto, in termini di eliminazione del virus, hanno rappresentato un punto di svolta».
Un quadro non troppo dissimile da quello delle altre democrazie in cui governi responsabili hanno scelto le chiusure e la vaccinazione di massa. In Nuova Zelanda, però, è successo qualcosa di particolare. La premier gentile, scrive il Nyt, «è diventata un bersaglio, all’interno e all’estero, per coloro che vedono l’obbligo dei vaccini come una violazione dei diritti individuali. In rete sono fiorite teorie cospirative, disinformazione e attacchi personali: le minacce contro Ardern sono aumentate notevolmente negli ultimi anni, soprattutto da parte di gruppi anti-vaccinazione». Il clima si è fatto particolarmente teso nel febbraio dell’anno scorso, quando estremisti no vax si sono accampati per tre settimane fuori dal Parlamento. È finita in scontri con la polizia senza precedenti, scene che «hanno scioccato una nazione non abituata a tanta violenza. Alcuni hanno incolpato i manifestanti, altri la polizia e il governo».
Secondo il giornalista Dylan Reeve, a quel punto la proiezione planetaria di Ardern le si è ritorta contro: «Il fatto che improvvisamente abbia avuto un profilo internazionale così vasto e che sia stata ampiamente acclamata per la sua reazione al virus sembra aver dato una spinta ai teorici della cospirazione locali. Hanno trovato sostegno per le idee anti-Ardern da parte di individui che la pensano allo stesso modo a livello globale, a un livello probabilmente fuori scala rispetto al tipico rilievo internazionale della Nuova Zelanda».
La premier, nel suo discorso d’addio, non ha citato questi eventi tra le ragioni dell’esaurimento del suo «serbatoio», e ha preferito spiegarlo come l’inevitabile logorio che accompagna ogni leadership intensa: «So che all’indomani di questa decisione si discuterà molto su quale sia la cosiddetta vera ragione. L’unico aspetto interessante che troverete è che dopo sei anni di grandi sfide, sono umana. I politici sono umani. Diamo tutto quello che possiamo, finché possiamo, e poi arriva il momento. E per me è arrivato il momento». Ma è inevitabile chiedersi — chiedersi, senza aspirare a una spiegazione definitiva — se la sua scelta sia legata anche all’essere donna, se l’essere donna porti cioè a un rapporto diverso col potere, un rapporto che sfugge con più consapevolezza ai suoi aspetti tossici, quelli che nei politici maschi generano più dipendenza.
Di certo, qualcosa di tipicamente femminile in ciò che ha vissuto Ardern c’è, ed è «il livello disgustoso di abusi sessisti e misogini a cui è stata sottoposta» e che, secondo la studiosa di leadership Suze Wilson, ha molto contribuito allo «svuotamento» della premier. Dobbiamo interrogarci sul perché, tra tanti leader mondiali che fortunatamente hanno scelto la strada del rigore antivirus, proprio lei — donna, giovane, bella, gentile, decisa — abbia catalizzato l’odio dei no vax, e tutte le idiosincrasie reazionarie che in genere si sono intrecciate all’odio no vax. L’augurio migliore che possiamo fare a noi è che torni, un giorno, da leader planetaria: sarebbe una splendida — e incisiva — segretaria generale dell’Onu, per esempio. L’augurio migliore che possiamo fare a lei, però, è di starsene in pace, lontana dall’infamia degli hater, e fare finalmente quel che le pare.
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dal Corriere della Sera
Perché ricorderemo per sempre
Jacinda Ardern
di PAOLO LEPRI
Se la democrazia vince oggi un punto nello scontro con i suoi troppi nemici lo si deve ad una donna come Jacinda Ardern che se ne va, abbandonando questa lotta-simbolo della nostra disgraziata epoca. Spieghiamo meglio un apparente paradosso. Lasciando il suo incarico, la premier neozelandese mette in evidenza, della democrazia, la grande umanità. Avvicina la democrazia a tutti. Parlando della sua fragilità personale che la spinge a dimettersi per aver finito le energie, la mamma della piccola Neve — una leader politica che è stata capace di affrontare con determinazione tante emergenze, come l’attentato islamofobo di Christchurch (51 vittime) dopo il quale ha limitato significativamente l’uso delle armi da fuoco — ci offre una testimonianza decisiva.
Non è stata la prima, Jacinda Ardern, a mettere in guardia contro la debolezza della democrazia. Lo ha fatto l’anno scorso nel discorso inaugurale dell’università di Harvard, affermando che «questo imperfetto ma prezioso modo con cui organizziamo noi stessi è stato creato per dare una voce uguale a chi è debole e a chi è forte». Ma lei è stata l’unica a farci capire, anche con il suo esempio, la verità profonda di parole come queste.
L’altra ragione per cui l’addio di Ardern rafforza i valori «buoni» è che un vero leader, dice, «sa quando è il momento di andarsene». Tutto questo è ancora più giusto in un mondo dove rimanere attaccati al potere, anche se il proprio tempo è passato o sta per passare, sembra essere una regola. Ecco perché ricorderemo sempre la premier neozelandese. Non solo, come ha detto di sperare, per essere stata «una persona che ha tentato di essere gentile».
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