Omelie 2025 di don Giorgio: DOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE

20 aprile 2025: DOMENICA DI PASQUA NELLA RISURREZIONE DEL SIGNORE
At, 1-1-8a; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Quando durante il ciclo liturgico arrivano importanti festività che riguardano i Misteri della nostra fede, ci si sente quasi riluttanti, restii a dire qualcosa di nostro. Sembra di banalizzare un Mistero, su cui, come dicevano i Mistici medievali, non si dovrebbe dire nulla, ovvero bisognerebbe tacere e anche evitare di pensare in proprio: meno se ne parla, più ci si accosta, perché il Mistero, nella sua nudità più essenziale, è nell’essere più profondo di ciascuno, e allora, per immergersi nel Pozzo divino, occorre distaccarsi da ogni carnalità anche solo puramente verbale.
Anche noi credenti, costretti per forza di cose a vivere, o addirittura a sopravvivere vegetando, in una società dove predominano i cosiddetti “talk show” (espressione inglese che significa “spettacolo di parole”, ovvero quando la conversazione si fa rissosa per dare più spettacolo in vista dell’audience), abbiamo preso la malattia o manìa ossessiva di parlare e di straparlare su Dio come fosse un argomento agonistico, perdendo così di vista il cuore del Mistero, che è pura essenzialità, che chiede solo passiva contemplazione. E sappiamo che anche qui la Chiesa istituzionale è intervenuta duramente condannando la Mistica medievale, anche nelle sue forme più estreme o radicali, come è stato il Quietismo, che in sintesi significa metterci davanti a Dio senza frapporre tra noi e lui neppure una parola, neppure un gesto, rimanendo del tutto passivi.
Se mi chiedete il motivo per cui la Chiesa ha condannato prima la Mistica di Eckhart e poi il Quietismo, la risposta è molto semplice: per quel suo voler imporre la sua mediazione, per cui il credente non può unirsi a Dio, se non attraverso la religione. Ogni tentativo di sminuire tale mediazione religiosa viene censurato, e condannato.
Ma che cosa è successo? A pagarla non sono stati gli spiriti liberi, che tali rimangono, proprio perché sono spiriti (si può bruciare il corpo, ma non lo spirito, che è immortale e perciò eterno), quanto la Chiesa stessa che, sopprimendo la Mistica, si è suicidata.
E siamo qui a parlare anche quest’anno di Pasqua, o di quel Mistero che è proprio passione, morte e risurrezione. E se ci è lecito parlare di passione e di morte, è doveroso parlare di risurrezione. Eleviamoci al di sopra di un guado che potrebbe mettere a rischio non tanto il corpo, quanto lo spirito. La parola Pasqua in ebraico significa “passaggio”. Dunque, andare oltre, senza annegare.
Carlo Maria Martini tenta un confronto tra il Natale e la Pasqua, così scrive: «Mentre il Natale èvoca istintivamente l’immagine di chi si slancia con gioia (e anche pieno di salute) nella vita, la Pasqua è collegata con rappresentazioni più complesse. È una vita passata attraverso la sofferenza e la morte, una esistenza ridonata a chi l’aveva perduta. Perciò, se il Natale suscita, un po’ in tutte le latitudini, anche presso i non cristiani e i non credenti, un’atmosfera di letizia e quasi di spensierata gaiezza, la Pasqua rimane un mistero più nascosto e difficile. Ma la nostra esistenza, al di là di una facile retorica, si gioca prevalentemente sul terreno dell’oscuro e del difficile».
Istintivamente sarei tentato di aggiungere che, proprio qui, sta il bello del Mistero pasquale. Quando una festività, come quella natalizia, porta a uscire da se stessi, per immergersi in un mondo di emozioni, pur lecite se composte, ma tali da coprire la realtà essenziale del Mistero divino, allora ben venga una festa, come quella pasquale, che, come dice Martini, rimane un mistero più nascosto e difficile, proprio perché, come conferma il cardinale, “la nostra esistenza, al di là di una facile retorica, si gioca prevalentemente sul terreno dell’oscuro e del difficile”.
Certo, chi non è tentato di semplificare il tutto, illudendosi di trovare la felicità, eliminando dispiaceri e problemi buttandosi in una specie di ipnosi drogante, tanto più che a dare una mano, una forte mano, è quel consumismo che ha tutto l’interesse di aumentare fruitori passivamente dipendenti?
Ma la cosa veramente paradossale è che sono stati gli stessi credenti a cedere, o addirittura a consegnare la festività natalizia nelle mani del consumismo più becero, inventando loro stessi iniziative d’ogni genere, non certo frutto dello Spirito divino.
Ma ecco che la Pasqua ci mette in crisi, al di là di qualche emozione, che dura poco, di campane a festa o di canti con potenti alleluia da strappare applausi da stadio.
Alla fine, dobbiamo fare i conti con la realtà, e la realtà è quella quotidiana, che torna dunque ad ogni alba di un nuovo giorno. Una realtà che chiede un confronto sincero con noi stessi, e con quel bisogno di qualcosa che va al di là di una emozione o di una soddisfazione puramente fisica o psichica.
Quando penso alla Grazia, dono dello Spirito purissimo, così puro da non esserci un perché, per questo è Gratuità allo stato puro, mi pongo una domanda: la Grazia ha più difficoltà a convertire gli imbecilli o a convertire i peccatori? Se penso alla storia di convertiti famosi (ad esempio, Sant’Agostino, o Giovanni Papini), la Grazia è riuscita a illuminare persone intelligenti, diciamo dotte, che si erano sì disperse “in regio dis-similitudinis”, espressione latina dello stesso Sant’Agostino, a indicare il fatto del suo essersi smarrito sui sentieri della lontananza dalla somiglianza divina. Già nella parabola del padre misericordioso, Luca parla del figlio minore che, uscendo di casa sbattendo la porta, si è recato “in regionem longinquam”, lontano dalla dimora del padre. Già secondo il pensiero degli antichi filosofi greci, ed erano pagani, più gli esseri sono lontani dal Bene Assoluto, cioè da Dio, l’Unico Bene Necessario, e quindi si avvicinano alla materia o al male, più essi sono dis-simili.
E allora, per rispondere alla domanda sulla Grazia, possiamo dire che, essendo Luce infinita, la Grazia riesce a riattivare il nostro intelletto, se lo vogliamo, e sarà più facile che un peccatore si converta quando torni in se stesso, usando almeno la ragione umana. Difficilmente gli imbecilli o gli ottusi di mente potranno convertirsi. Neppure la Grazia potrebbe compiere il miracolo: del resto, Cristo stesso, prima di compiere un miracolo, non chiedeva una fede sincera in Lui, e la fede che cos’è se non aprire gli occhi dello spirito, ovvero farsi illuminare dalla Grazia? Ma gli stessi miracoli, secondo il quarto Vangelo, non sono dei “segni”, e i “segni” come possono essere letti in profondità, senza la luce dell’intelletto?
Qualcuno parla della Risurrezione di Cristo come il più grande miracolo della storia, forse sarebbe più evangelico parlare della Risurrezione come il più grande “segno” della presenza di Dio nella storia. “Segno” come un seme. Basterebbe già questo: un inizio, come del resto ogni alba è l’inizio di un Giorno nuovo.

 

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