Mina Welby: “I miei 10 anni senza Piergiorgio”
da Repubblica
Mina Welby:
“I miei 10 anni senza Piergiorgio”
La vedova di Piergiorgio continua a battersi per una legge sull’eutanasia: “E’ stato lui a chiedermi di continuare la sua battaglia”
di VALERIA PINI
SONO passati 10 anni da quando Mina Welby aiutò suo marito Piergiorgio, gravemente malato, a morire, con l’aiuto di un anestesista. Da allora ha viaggiato lungo l’Italia per battersi affinché anche in Italia venga fatta una legge per una morte dignitosa. A 79 anni, ora co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni e prima firmataria di una proposta di legge di iniziativa popolare sul fine vita, Mina Welby appare serena, anche se alle spalle ha una storia piena di ostacoli e sofferenza: perché, dice, ha proseguito il cammino iniziato tanto tempo fa con il suo compagno.
Come ha vissuto questi 10 anni senza suo marito?
“All’inizio ho accudito sua madre, perché Piergiorgio me l’aveva chiesto. Abbiamo avuto un rapporto simile a quello tra una madre e una figlia. Penso che le relazioni personali siano le cose più importanti della vita. L’ho seguita, aiutata da sua figlia, fino al suo ultimo giorno. Il caso ha voluto che sia morta il 20 dicembre, nello stesso giorno del figlio, ma due anni dopo di lui. Contemporaneamente ho deciso di proseguire la lotta di Piergiorgio sul fine vita”.
È stato sempre lui a chiederle di scendere in campo per un’eutanasia legale?
“Negli ultimi giorni stava malissimo. Respirava a fatica, aveva dolori nel petto, non dormiva. Non ce la faceva più. Mi sentivo divisa: una parte di me voleva assecondare la sua richiesta di morire, l’altra mi chiedeva di resistere a tale richiesta. In quei giorni dolorosi, Piergiorgio mi disse che, anche dopo la sua morte, il Calibano, il blog in cui combatteva la sua lotta sull’eutanasia, sarebbe dovuto andare avanti”.
Quando ha capito che doveva assecondare Piergiorgio nella sua volontà?
“Mio marito è morto il 20 dicembre 2006, il 17 venne a casa Ignazio Marino. Gli chiese di resistere, ma lui rispose che non ce la faceva più. Il giorno dopo venne a visitarlo il dottor Mario Riccio, l’anestesista che lo avrebbe aiutato. Ho capito che dovevo aiutare Piergiorgio a morire”.
Dopo il decesso di suo marito, lei avrebbe voluto ritirarsi a vita privata e lasciare Roma. Ma non lo ha fatto. Perché?
“Prima di tutto mi aveva chiesto “pensa tu a mamma”. Due giorni dopo la morte di Piergiorgio partecipai a una conferenza stampa, organizzata dai Radicali. Non so come potei trovare tanto coraggio e tanta forza. Più tardi, quando rimasi sola, piansi. Era da molto che non lo facevo”.
Da quel momento l’hanno chiamata in tutt’Italia ed è iniziata la sua battaglia per l’eutanasia.
“In effetti ebbi molte richieste dalle associazioni, scuole e università. In questi anni ho fatto molti chilometri in treno. Continuo a farli, e vorrei accontentare tutti ancora oggi. Io e Piergiorgio abbiamo fatto una lotta comune. Abbiamo comunicato il nostro pensiero su una morte dignitosa a tante persone. Lo sento vicino a me e sono felice”.
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Tanti chilometri, ma per ora la legge sul fine vita non c’è ancora. Si aspettava tante difficoltà?
“Sembra una cosa semplice. E’ la politica che è paurosa. Tra l’altro oltre 100.000 italiani hanno firmato la proposta di legge. Grazie alle nostre iniziative insieme all’Associazione Luca Coscioni oggi ci sono anche 160 comuni italiani che hanno istituito un registro dove depositare il testamento biologico (ndr.dichiarazioni scritte spontanee in cui siano esplicitate le proprie volontà per quel che riguarda l’accettazione o meno di terapie per i malati terminali)”.
Lei continuerà comunque a combattere per la legge sull’eutanasia?
“La legge deve tutelare un diritto umano universale della libertà all’autodeterminazione secondo gli articoli 13 e 32 della nostra Costituzione. Non parlo solo di eutanasia. La politica non deve entrare nella camera da letto di nessuno, non si deve frapporre tra medico e paziente. Ricordiamoci, che nessuno vuole morire. Gli individui non vogliono soffrire. Penso quanto si sia allungato il percorso di fine vita, pieno di angosce, dubbi, ansie, disperazione. Penso ai mezzi della medicina che potrebbero essere utilizzati per vivere anche quell’ultimo tratto in serenità insieme a chi si ama. Con le sentenze per Eluana, Welby e Piludu la politica si dovrebbe sentire rinforzata a fare una buona legge sul termine della vita, che comprenda tutte le scelte che possa avanzare un paziente sia capace che incapace con un testamento biologico.”
INTERATTIVO – L’eutanasia nel mondo
Alcuni paesi, come la Francia hanno reso legale una forma ‘passiva di eutanasia’. Cosa ne pensa?
“Sarei già contenta se si riuscisse comunque ad avere in Italia una legge simile a quella francese che prevede la sedazione terminale. In questo caso il medico non pratica l’eutanasia, perché non interviene per provocare la morte. Il corpo si lascia andare lentamente verso la fine, assistito da professionisti delle cure palliative. Certamente per casi particolari vorrei si lasci aperta la possibilità di una morte liberamente scelta dal paziente”.
Cosa chiederebbe alle istituzioni, oggi?
“Chiederei al ministro della Salute e ai presidenti delle Regioni di cercare di capire che cos’è il fine vita. E di destinare fondi adeguati alle cure palliative sul territorio. Basta pensare che il nostro paese stanzia 2,1 milioni di euro a queste cure, mentre la Germania 240 milioni. Chiederei la formazione obbligatoria di tutti i medici specificamente sulle cure palliative”.
È giusto estendere l’eutanasia ai bambini, come è avvenuto in Belgio?
“Bisogna valutare caso per caso. Le malattie molto gravi rendono i ragazzi molto maturi. Ma se un ragazzo di 13 o 16 anni dovesse stare molto male e la chiedesse, non la escludo. La questione dovrebbe essere valutata tra il giovane, la sua famiglia e il suo medico”.
che donna in gamba capire i bisogni!è stare accanto all altro che vivi!
Il testo di legge, anzi disegno di legge, per l’esattezza, già c’è, approvato dalla commissione affari sociali.
Ora, per approvarla, occorre l’intervento del voto delle camere.
Lo si può leggere al seguente link:
http://www.repubblica.it/salute/2016/12/08/news/testamento_biologico_della_commissione_affari_sociali-153719203/
In questo disegno di legge trovano piena cittadinanza alcune riflessioni, che in precedenti commenti avevo sottolineato.
Riflessioni, che a taluni potevano sembrare poco più che astruse divagazioni filosofiche, ma che, evidentemente, tali non sono per il legislatore.
Mi riferivo al fatto che in dichiarazioni anticipate di volontà, il soggetto interessato poteva non considerare progressi scientifici, che al momento in cui era ancora capace di intendere e di volere, non erano prevedibili.
In tal caso, il disegno di legge prevede che possa non tenersi conto delle dichiarazioni anticipate di volontà, o meglio definite come DAT, dichiarazioni anticipate di trattamento.
Infatti, così recita l’art. 3:
Fermo restando quanto previsto dal comma 7, dell’articolo 1, il medico è tenuto al pieno rispetto delle DAT le quali possono essere DISATTESE, in tutto o in parte, dal medico, in
accordo con il fiduciario, qualora sussistano motivate e documentabili possibilità, non prevedibili all’atto della sottoscrizione, di poter altrimenti conseguire concrete possibilità di miglioramento delle condizioni di vita.
Evidentemente, i redattori del testo, hanno ritenuto importanti certi aspetti, che altri non consideravano rilevanti.
Segno che una buona legge non basta che certifichi un diritto, ma deve sopratutto prevedere tutta una serie di situazioni, compresa appunto quella per cui, come io sostenevo in tutti i miei interventi in materia, il soggetto non più in grado di esprimere una propria volontà, avrebbe deciso diversamente, se avesse conosciuto certi possibili progressi, che in futuro avrebbero potuto verificarsi.
Il legislatore (o meglio: i tecnici che hanno redatto il disegno di legge, poi approvato in commissione) hanno ritenuto tale principio talmente rilevante, da imperniare tutto il testo sulle dat, dichiarazioni anticipate, ma per poi affermare che in quel caso esse siano disattese.
E qui emerge, ancora una volta, il conflitto tra dichiarazioni di ultima volontà e presumibile volontà del soggetto, alla stregua del progresso scientifico.
Non era questo, ovviamente, l’unico testo di legge possibile in materia, ma rappresenta, comunque, un buon contemperamento tra visioni opposte, in particolare senza accogliere l’opinione di chi intende assolutizzare le DAT, nel senso che mai dovrebbero essere disattese.
Che amarezza! Evidentemente per i membri del parlamento ci sono cose molto più importanti a cui pensare…