La scuola non può essere un’azienda

Iva Zanicchi, che io chiamo la cantante “bovara”, ovvero volgarotta, a tutti gli effetti, che di grazioso ha forse solo qualche capello in testa, anni fa aveva dichiarato pubblicamente all’annuncio della discesa in campo dell’amico Silvio Berlusconi: “Arriva un imprenditore di successo, risolverà tutti i problemi dell’Italia”, ritenendo lo Stato italiano come fosse una azienda e di conseguenza aziende erano da considerarsi anche le scuole, gli enti assistenziali, ecc.
Ho sempre lottato contro questa idea di uno Stato come una azienda. Mi ha fatto piacere leggere l’articolo di Dacia Maraini, scritto in questi giorni.
Era il 26 gennaio 1994 quando, con un messaggio in televisione, Silvio Berlusconi comunicava la sua decisione di scendere in campo nella politica. Quanti anni fa? Quasi trent’anni! E in trent’anni voi pensate che non abbia contaminato il concetto di Stato come un’azienda? Adesso, se ci riuscite, tirate fuori questa idea aziendale dalla testa dei politici di oggi e dalla massa di gente che quando va a votare sceglie quel tizio o quel tale che potrebbe risolvere tutti i problemi economici.
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dal Corriere della Sera

La scuola

non può essere un’azienda

di Dacia Maraini| 20 febbraio 2023
La scuola non produce ma forma e quindi gli investimenti avranno una finalità a lungo termine. E ciò vuol dire che se una scuola riduce il numero dei suoi allievi, non va chiusa, ma mantenuta per la salvezza di quel territorio. Non si può risparmiare sulla scuola
Dispiace dovere sempre tornare sulla scuola ma se non si abbandona l’idea perversa che la scuola debba essere una azienda, non se ne esce. La scuola è un luogo di formazione. L’idea scellerata di trasformare un luogo etico in un luogo di produzione industriale non può che creare equivoci e ingiustizie. Ma l’aria che tira è quella. Non è un caso che il preside che si occupava di libri e di novità didattiche sia stato trasformato in un dirigente che si deve occupare di faccende amministrative. Ma mentre l’azienda deve investire per ottenere dei prodotti che metterà sul mercato recuperando i soldi spesi, la scuola non deve produrre nulla, ma creare il futuro cittadino, niente di più lontano da una industria che, quando non produce oggetti cari al mercato, è costretta a chiudere. La scuola non produce ma forma e quindi gli investimenti avranno una finalità a lungo termine. E ciò vuol dire che se una scuola riduce il numero dei suoi allievi, non va chiusa, ma mantenuta per la salvezza di quel territorio. Non si può risparmiare sulla scuola. Ci vogliono più insegnanti, e pagati meglio, ci vogliono aule decenti, e soprattutto classi con pochi allievi, al massimo quindici.
La scuola deve tornare alla sua funzione etica. E deve anche rendersi conto che i metodi di insegnamento sono cambiati. Mentre nella vecchia scuola si praticava un insegnamento verticale: da chi sa a chi non sa. Ora che l’accesso alle informazioni è a portata di tutti, l’insegnante deve creare un nuovo rapporto basato su una dialettica creativa. Io che vado spesso nelle scuole, mi accorgo che ovunque gli insegnanti si mettono in un rapporto complesso e conoscitivo con gli studenti, ovunque sollecitino creatività, ingegno, intelligenza, i ragazzi rispondono con entusiasmo. È la routine burocratica che ammazza gli ingegni e crea svogliatezza. Fra l’altro, mentre in famiglia si vive lontani da un concetto di democrazia per le troppe dinamiche emotive e psicologiche, la scuola è un magnifico luogo di pratica della democrazia, ovvero di un apprendimento fra pari. Certamente ci sono e ci saranno sempre i bulli e i nullafacenti, i maleducati per carenze familiari, ma posso garantire, perché lo vivo tutti i giorni, che la scuola è molto meglio di quello che si racconta, per merito soprattutto di insegnanti intelligenti, preparati e generosi, che mettono in gioco se stessi e riescono a creare un vero e proficuo rapporto con i loro studenti.

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