Omelie 2023 di don Giorgio: DOPO L’ASCENSIONE

21 maggio 2023: DOPO L’ASCENSIONE
At 1,9a.12-14; 2Cor 4,1-6; Lc 24,13-35
Se fate caso, le celebrazioni civili, pensate al 25 aprile, sono la ripetizione anche noiosa talora irritante delle solite cose: i soliti discorsi, i soliti comizi, i soliti gesti, magari con qualche cenno all’attualità, ma sempre per qualcosa di già morto. È vero che il ricordo è un dovere per non dimenticare. Ma che significa ricordare? Ricordare che cosa? Come ricordare? Per quale motivo ricordare? Basta dire: per non dimenticare?
Le celebrazioni liturgiche invece non sono mai qualcosa di morto: non è solo un semplice ricordare, ma rivivere nella Fede quel Mistero che è sempre vivo, proprio perché è il Divino Eterno.
Anche qui, il rischio c’è che tutto diventi una celebrazione di riti anche solenni, ma che non suscitino alcuna Fede ulteriore. Purtroppo, anche noi cristiani possiamo cadere in un ritualismo, che è morto.
Ridire le stesse cose per noi preti che siamo quasi costretti a dire qualcosa, quando ogni domenica c’è un Mistero da far rivivere, è veramente qualcosa di deprimente.
Il Cristianesimo è un cammino, “odòs”, così è stato definito dai primi credenti, “i seguaci della Via”. E se è un cammino anche la Fede è un cammino. Se si cammina, si va avanti, si lascia il passato alle spalle.
Sono sempre attuali le parole di Cristo. Scrive Luca (9,57-62): «Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: “Ti seguirò dovunque tu vada”. E Gesù gli rispose: “Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo”. A un altro disse: “Seguimi”. E costui rispose: “Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre”. Gli replicò: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio”. Un altro disse: “Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia”. Ma Gesù gli rispose: “Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio”».
Non dico ogni domenica, quando veniamo in chiesa per la Messa, ma ogni giorno, ogni istante è un cammino. La Fede è un cammino, che significa procedere, proseguire.
Questo l’ho detto per far capire che anche i brani di oggi vanno letti pensando al nostro cammino sempre creativo di Fede.
Leggiamo i versetti che precedono il primo brano della Messa. Luca, nel libro “Atti degli apostoli”, scrive: “Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo, mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: “Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l’avete visto andare in cielo”».
“Perché state a guardare il cielo?”, un rimprovero per chi vive di nostalgie e di ricordi. E così gli Apostoli tornarono a Gerusalemme, salirono nella stanza superiore, probabilmente il cenacolo, dove erano soliti trovarsi, in attesa dello Spirito santo.
È vero che Gesù, mentre moriva, ci aveva donato lo Spirito, ed è vero che già la stessa sera della Pasqua Gesù aveva effuso lo Spirito sugli apostoli.
Ma è sempre Pasqua, è sempre Pentecoste. Se c’è unione profonda tra il Natale e la Pasqua, a maggior ragione c’è un forte legame tra la Pasqua e la Pentecoste.
Anche qui, attenzione a rompere il Mistero divino come se si trattasse di diversi aspetti. Unico è il Mistero, unica è la Fede. È vero che la liturgia cambia anche i colori liturgici. Ma anche qui ci può essere il rischio di separare l’Unico Mistero. Pensate al colore del lutto (morello o nero) per le celebrazioni funebri. Che tristezza! Si parla del ritorno “alla Casa del Padre”, e poi si va in lutto.
Pensate alle parole di San Paolo nel secondo brano, tutto da meditare. Si parla di resistenza, di non perdersi d’animo, non in forza di ideali astratti, campati per aria (che tra l’altro fanno comodo a tutti), ma della Grazia divina. E poi scrive: «Abbiamo rifiutato le dissimulazioni vergognose, senza comportarci con astuzia né falsificando la parola di Dio, ma annunciando apertamente la verità e presentandoci davanti a ogni coscienza umana, al cospetto di Dio». E dichiara: «Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore». E poi l’apostolo parla di un Vangelo che è glorioso, pieno di splendore, di luce, immagine di Dio. Se qualcuno lo rifiuta è per colpa sua, perché ama le tenebre. Infine: «E Dio, che disse: “Rifulga la luce dalle tenebre”, rifulse nei nostri cuori, per far risplendere la conoscenza della gloria di Dio sul volto di Cristo».
Anche il terzo brano, tratto dal Vangelo secondo Luca, presenta la Fede come un cammino, talora a ritroso. I due discepoli tonavano a casa, delusi, ma quel misterioso Pellegrino, che si accosta loro, li rimprovera anche duramente e, dopo quella cena, in cui Gesù spezza il pane, capiscono la lezione, e tornano di nuovo a Gerusalemme, e per ripartire sulla strada giusta. La loro Fede parte da una delusione, e dalla delusione i due rientrano in sé, da cui erano usciti, delusi.
La Fede è un cammino che conosce diverse strade, che alla fine portano a quel rientrare in sé, come era capitato al figliol prodigo, altra parabola dello stesso Luca.
Non basta una sola conversione, un solo gesto di conversione. La conversione è continua, anche essa è un cammino: richiede continui passaggi, da intendere nel senso pasquale: dalla morte alla vita, dal distacco alla radicalità interiore.
Se già Platone aveva capito che la filosofia è “un esercizio di morte”, nel senso che aiuta a togliere tutto ciò che copre l’anima col rischio di soffocarla, Cristo aveva fin dall’inizio della sua pubblica predicazione invitato a cambiare mentalità, il modo di pensare, “Metanoèite”, e per fare questo non si può restare fuori di noi, ma rientrare in noi, dove l’intelletto puro illumina il nostro spirito.
Ogni cammino comporta anche crisi, sconfitte, delusioni, ma la Grazia dà la forza per superare ostacolo. Ogni crisi è occasione di crescita.
Non pensiamo che gli apostoli e i primi cristiani fossero esenti da difficoltà, da litigi, da crisi. Ma la loro forza stava nella costanza di credere nella Parola di Dio. In quella Parola che purifica, che risana, che fortifica. Ogni crisi serve a purificare, se ne esce migliori.
Non si crede una sola volta: si crede sempre. La Fede è un cammino.
La Fede non è un diploma da esibire, quando ci viene richiesto. La Fede è un continuo esame. Magari si è tentati di tornare ancora a casa, come i due discepoli di Emmaus, ma c’è sempre uno misterioso Pellegrino, che si accosta a noi, e ci rimprovera, ci stimola a tornare a Gerusalemme. E da lì ripartire per una nuova avventura.

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