Omelie 2022 di don Giorgio: UNDICESIMA DOPO PENTECOSTE

21 agosto 2022: UNDICESIMA DOPO PENTECOSTE
1Re 21,1-19; Rm 12,9-18; Lc 16,19-31
Mai come in questa domenica i brani della Messa sono così provocatori da non permetterci di sottrarsi a questa domanda: qual è il rapporto tra i beni materiali e la fede di un credente?
In altre parole: che cosa dice il Vangelo, ovvero Gesù Cristo, sulle ricchezze?
Non c’è solo il passo delle Beatitudini, secondo il Vangelo di Luca, che dice: “Guai a voi, ricchi, perché avete già ricevuto la vostra ricompensa”. “Guai a voi”, ovvero maledetti!
Soprattutto Luca è durissimo contro i ricchi e le ricchezze, anche perché ha indirizzato il Vangelo a cristiani provenienti dal mondo pagano romano, i quali erano immersi in un sistema economico che creava differenze enormi, diciamo squilibri sociali, tra ricchi e poveri. Pensate alla schiavitù.
E non dimentichiamo l’episodio del giovane ricco, a cui Gesù rivolge l’invito: «Per essere perfetto, va’, vendi tutto quello che hai, e i soldi che ricavi dàlli ai poveri. Allora avrai un tesoro in cielo. Poi, vieni e seguimi». «Ma dopo aver ascoltato queste parole, il giovane se ne andò triste, perché era molto ricco».
Nel Vangelo secondo Matteo troviamo le famose parole di Gesù: «Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza (o mammona, che è il termine esatto nell’originale greco).
Gesù stesso ha dato l’esempio. Sempre Luca annota: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo».
I primi cristiani non potevano dimenticare l’insegnamento del Maestro sulla povertà, tentando di far nascere una specie di comunità (da qui la parola “comunismo”), in cui mettere in comune ogni bene personale. Tentativo subito fallito, forse perché è stato interpretato male, nel senso di doverlo imporre come ideale di ogni comunità cristiana, ma comunque, l’ideale della rinuncia totale ai propri beni verrà proposto tra gli eremiti e i cenobiti, con il voto di povertà.
A noi interessa rispondere alla domanda: qual è il rapporto tra ricchezza e fede cristiana?
Clemente di Alessandria (150-215) scrisse una omelia, dal titolo già provocatorio “Quale ricco si salverà?”. Analizzare bene il contenuto dell’omelia richiederebbe troppo tempo. Richiamo alcuni punti che ritengo essenziali, e molto concreti.
Clemente anzitutto sostiene che “ogni sostanza che ciascuno trattiene per sé come fosse un bene privato e non mette in comune con chi si trova nel bisogno, diventa qualcosa di iniquo”. Il ricco inoltre non deve aspettare che il bisognoso bussi alla sua porta per condividere con lui i suoi beni, ma lo deve “cercare”, “se è necessario percorri tutta la terra”. Il povero non è, per Clemente, oggetto di elemosina, ma soggetto di diritti lesi cui è urgente fare giustizia. L’impegno attivo di condivisione nasce infatti dal fatto che non è il povero “che ha ricevuto l’ordine di ricevere, bensì sei tu [il ricco] che hai avuto quello di dare”. Questa generosità inoltre non deve fare discriminazioni, ma a imitazione di quella di Dio va rivolta, distribuendo “senza lamentele, senza distinzioni, né reticenze” , a chiunque: “Non voler giudicare chi è degno e chi non lo è”.
Così, al contrario, chi si sente padrone dei propri beni e li gestisce in modo non solidale, non può considerarsi cristiano. Anzi, secondo Clemente, il ricco che, fattosi cristiano, continua “a trattenere per sé e a nascondere i beni di questo mondo” e li nega agli altri è “omicida: seme di Caino, discepolo del diavolo, non ha il cuore di Dio, non ha la speranza di cose più grandi; è sterile, è secco; non è un tralcio della vigna celeste che vive in eterno”.
I Padri che in seguito riprenderanno l’argomento (Origene, Basilio Magno, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, Cirillo di Alessandria fra i padri greci; Cipriano, Ilario di Poitiers, Ambrogio di Milano, Agostino fra i latini), pur nelle loro specificità, concorderanno con Clemente almeno su tre punti considerati irrinunciabili: la bontà dei beni in sé, l’uguaglianza degli uomini, il dovere di condividere fino a sollevare la condizione del povero.
Vorrei soffermarmi su Basilio Magno che puntualizza ancor meglio alcune delle coordinate di San Clemente. Anzitutto Basilio stigmatizza quello spiritualismo devoto che si coniuga facilmente con la mancanza di solidarietà: “So di molti, che digiunano, che recitano preghiere, che gemono e sospirano, che praticano ogni forma di pietà che non supponga spesa, ma che non sganciano un soldo per i bisognosi. A che servirà poi tutta questa pietà? Non per questo li si ammetterà nel regno dei cieli!”. Precisa poi che: “È in questo modo che si diviene ricchi: in virtù del solo fatto di essersi impadroniti per primi di ciò che è di tutti”. Basilio sottolinea perciò che i beni della terra provengono da Dio, sono sua proprietà e gli uomini ne sono solo “gli amministratori”, non i padroni che possono farne ciò che vogliono: “Devi pensare che ciò che tieni tra le mani è cosa altrui”. Perciò chi accumula ricchezze in forma egoistica e non solidale è un “ladro” e “manca di carità”, cioè dell’amore di Dio.
L’attuazione della condivisione infine, se non costringe necessariamente a diventare poveri, è evidente tuttavia che non permette neppure di restare ricchi: “Se ciascuno prendesse per sé solo ciò che basta per le sue necessità, lasciando ciò che resta a disposizione di quanti ne hanno bisogno, forse nessuno sarebbe ricco, ma neppure vi sarebbe qualcuno povero”. Il fatto è che spesso si crede di aver bisogno delle ricchezze per venire incontro alle proprie “necessità”, secondo quella mentalità tipica della società consumistica che Basilio aveva già smascherata nel IV secolo: “Quando possiedi una bella somma, già vai desiderandone un’altra uguale. Appena l’hai ottenuta, ecco che subito vai bramando di raddoppiarla. E così via: ogni volta, ciò che aggiungi non sazia il tuo desiderio di possesso, ma semplicemente accende di nuovo la tua avidità”.
Ciò che hanno detto sulle ricchezze i primi Padri della Chiesa dovrebbe farci riflettere. Ma dobbiamo anche cogliere il motivo per cui dobbiamo distaccarci dai beni materiali: non solo per condividere con gli altri ciò che abbiamo. C’è di più. Il distacco dalle cose riguarda tutti, ricchi e poveri: tutti abbiamo il dovere di cogliere ciò che siamo, al di là dei beni che possediamo o non possediamo. È vero che anche i beni materiali in sé non sono cattivi, ma attenzione: non basta dividerli o condividerli con gli altri. I beni non devono anzitutto coprire il nostro essere. Tanti ricchi di oggi erano i poveri di ieri, e che cosa hanno ottenuto diventando ricchi? Bisogna, dunque, aiutare i poveri a uscire dalla loro precarietà materiale, ma nello stesso tempo educarli a non tradire il loro essere interiore.

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