Omelie 2023 di don Giorgio: TERZA DOPO L’EPIFANIA

22 gennaio 2023: TERZA DOPO L’EPIFANIA
Es 16,2-7a;13b-18; 2Cor 8,7-15; Lc 9,10b-17
Per non ripetermi, soffermandomi sulla manna nel deserto e sullo stesso miracolo della moltiplicazione dei pani, come simbolo anticipatore (la manna venuta dal cielo) o segno eucaristico (il pane moltiplicato da Gesù), e anche per evitare di ripetere le solite cose parlando della fame nel mondo e del nostro dovere di occidentali di essere altruisti, dividendo i nostri beni ai più poveri, vorrei, anche se l’ho già detto tempo fa, soffermarmi su un aspetto caratteristico e da evidenziare, che troviamo nel primo brano a proposito delle disposizioni ben precise sulla manna venuta dal cielo.
Certo, sarebbe anche interessante parlare della provvidenza divina, che si muove anche stimolata dalle nostre critiche e mormorazioni, che in fondo fanno piacere al Signore.
Ma ciò che vorrei subito evidenziare sono alcune disposizioni relativamente alla manna. Fanno capire come intendere la Provvidenza divina, la quale non si limita a rispondere alle esigenze nostre, e tanto meno ad accontentarle, come solitamente fanno i populisti di casa nostra. Dio interviene, ma sempre a modo suo, imponendo delle prescrizioni, ma in vista del nostro bene. Questo è il punto fondamentale: talora le nostre richieste o esigenze sono giuste, ma sono le nostre pretese ad essere sbagliate. Intendo dire: le pretese vanno sempre oltre le cose giuste in sé, perché queste vengono strumentalizzate ai fini del nostro ego personale o collettivo. Una cosa giusta in sé, ma se vien strumentalizzata per uno scopo poco nobile non è più giusta. E Dio naturalmente non si lascia ingannare, concedendo facilmente le cose giuste, ma inserite in un contesto sbagliato.
E non si dimentichi una cosa importante, se consideriamo un popolo, come quello ebraico, che aveva subìto una schiavitù secolare. Quando si rimane schiavi di un tiranno per tantissimi anni, si perde la cognizione della stessa libertà. E succede anche che nel frattempo ci si rassegni, trovando una situazione accomodante (bisogna pur sopravvivere o no?, si dice) e succede, in certi casi, come nel campo politico dei nostri tempi, che il tiranno sotto le vesti di un populista messianico, buonista dal facile sorriso, possa inquinare la testa di milioni di cittadini.
Devo fare dei nomi? Pensate al ventennio fascista e al ventennio berlusconiano. I cittadini sono stati azzerati nel cervello, e il virus rimane a lungo, altro che il Covid 19, che magari durerà ancora qualche anno, ma poi sparirà. In ogni caso è un Virus fisico, mentre certi virus ideologici (usiamo questa parola per intenderci) durano magari secoli.
Sì, certi regimi, più o meno istituzionali, sotto le apparenze democratiche, solo perché c’è il consenso popolare, fanno perdere il concetto di libertà, propugnando altri concetti, come quello che è dominato dal proprio ego.
Quello che ha tentato di fare Mosè con gli ebrei, appena usciti dall’Egitto, è stato proprio questo: ricostruire un popolo, educandolo al concetto vero di libertà. Che cosa abbiamo sentito nel primo brano? Gli ebrei si sono messi a contestare Mosè e il fratello Aronne, perché era venuto meno il cibo. E pensate che cosa dicono: “Fossimo morti per mano del Signore nella terra d’Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine”.
Ogni regime assicura a tutti un pezzo di pane, non importa se poi devono mangiarlo da schiavi”. Che cos’è allora la libertà? Riempirsi solo la pancia? È il difetto di ogni popolo che esce da una schiavitù di regime: vivere nella libertà col proprio lavoro.
Ma succede che, quando si apre al povero un mondo di benessere materiale, allora si scatena in lui l’istinto dell’avere, diventandone una ossessione, una malattia, anche facendosi prendere da atti di violenza.
Mosè ha tentato di fare degli ebrei, in cammino verso la terra promessa, un popolo di persone libere, nel vero senso della parola.
Il brano di oggi, come ho detto all’inizio, parla di una prescrizione sulla manna che vorrei evidenziare. Ecco cosa scrive l’autore sacro: «Ogni israelita, la mattina, ne raccoglieva la misura necessaria per nutrirsi nel corso della giornata. Se qualcuno ne raccoglieva di più essa marciva. Solo il venerdì era consentito una doppia misura perché doveva servire per il sabato, giorno di riposo dalle fatiche e di lode al Signore».
Qui troviamo qualcosa per me di rivoluzionario nel campo sociale. E vorrei subito aprire una parentesi. Gli ebrei avevano, dico avevano, delle leggi d’avanguardia nel campo sociale: basti pensare al giubileo a proposito delle terre che, dopo un certo numero di anni, 25 o 50, venivano restituite al primo proprietario, che, per diversi motivi, tra cui per questioni finanziarie, era stato costretto a venderle. E così si deve degli schiavi a cui veniva concesso la libertà. E così si evitava l’accumulo di terre nella mani di un solo latifondista. E, nel libro dell’Esodo, c’è scritto: «Se prendi in pegno il mantello del tuo prossimo, glielo renderai al tramonto del sole, perché è la sua sola coperta, è il mantello per la sua pelle; come potrebbe coprirsi dormendo? Altrimenti, quando invocherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido, perché io sono pietoso». Ancora, vedi il caso di Zaccheo, il capo dei dazieri di Gerico, che dice a Gesù: «Se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Non è stato generoso per conto proprio, ma la legge obbligava ogni ladro a restituire “quattro volte tanto” ciò che aveva rubato.
Qualcuno potrebbe dire: “Come si fa a vivere alla giornata?”. Vorrei rispondere: D’accordo! Ma non è che la massa sia condizionata dall’avere troppo, o meglio dal rincorrere l’eccessivo, oltre il puro necessario, tanto più che si finisce per perdere di vista l’essenziale?
È interessante ciò che scrive l’autore sacro: «Se qualcuno ne raccoglieva di più, la manna marciva». Non è che vi è una allusione alle varie crisi economiche che fanno marcire in un solo colpo depositi di un avere eccessivo?
Ma il problema è che non si impara mai la lezione. Appena cessa la crisi economica, si parte alla rincorsa di ciò che si è perduto. Tutto come prima.
Almeno la lezione servisse per ripartire in modo più saggio e intelligente, oltre che previdente. No, siamo imbecilli… Perché non riconoscerlo? Andiamo avanti sbagliando, ostinandoci negli errori, e così ci rendiamo la vita assai complicata.
Gli stessi antichi filosofi greci e latini quante massime di saggezza ci hanno lasciato, parlando di limite, di giusta misura, di equilibrio, di sobrietà.
Sì, anche noi cristiani abbiamo perso la giusta misura delle cose: Dio vuole che tutti indistintamente, senza privilegi, possano godere del Creato. Ogni squilibrio produce violenza.

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