da la Repubblica
21 marzo 2017
“Io, ex sacerdote malato di Sla,
rivendico la scelta di finire la mia vita”
Oggi riprende alla Camera il dibattito per la legge sul testamento biologico. E il 29 marzo al Senato la proiezione del film La natura delle cose, in cui Angelo Santagostino, filosofo ed ex prete costretto dalla malattia a comunicare soltanto grazie a un lettore ottico, ribadisce il valore sacro dell’ascolto e del libero arbitrio
di CATERINA PASOLINI
“Escono le lacrime e mi scendono sulla faccia. Si muovono. Ecco, loro non sono malate di Sla Le emozioni non si ammaleranno mai. È bello ma mi fa paura. Se i miei occhi si bloccassero prima delle mie emozioni, prima che muoia. Come farò?” È quella l’angoscia di Angelo Santagostino, 70 anni, ex sacerdote, filosofo, malato terminale di sindrome laterale amiotrofica che lo ha reso completamente paralizzato: perdere il suo sguardo, unico contatto e ponte col mondo, grazie al lettore ottico che gli regala la voce che non ha più. E da cristiano e credente chiede la libertà di scelta sulla sua fine.
Una libertà che ancora in Italia non è sancita per legge. Oggi infatti alla Camera si ricomincia a discutere di testamento biologico, del diritto di ognuno di scegliere riguardo al finire della vita. E mercoledì prossimo – 29 marzo – la storia di Angelo Santagostino, sacerdote che ha buttato la tonaca per amore, marito innamorato, padre affettuoso, amante della montagna e delle passeggiate, dal 2008 inchiodato dalla Sla, sarà nelle sale cinematografiche e in Senato. Lui che il suo testamento biologico lo ha gia scritto. Ai figli, al medico: nessuna cura per allungare una vita già durissima, solo antidolorifici e se viene un’infezione nessun antibiotico.
Santagostino nei cinema e in Senato. È infatti il protagonista di un interessante film documentario, La natura delle cose di Laura Viezzoli, presentato a Locarno, vincitore del Trieste film festival. Sessanta minuti di racconto, ragionamento, sensibilità ed emozione, tra immagini di astronauti e filmini super otto, sulla malattia e libertà di scelta del proprio destino, che verranno proiettati nel pomeriggio a palazzo Madama su iniziativa del senatore Luigi Manconi, presidente della commissione sui diritti umani, con la partecipazione di Marco Cappato dell’associazione Coscioni e della figlia di Angelo, Sara. Per un dibattito sul tema: la fatica di vivere, la fatica di morire.
Il film è la storia di un’amicizia lunga un anno di riprese e discussioni tra una regista di 35 anni e un filosofo di 70. L’immobilità del corpo di Angelo è solo un punto di partenza per esplorare le mille possibilità della mente, un viaggio tra luci e le ombre dell’animo umano per prendere coscienza dei propri limiti e ribadire il valore sacro dell’ascolto e del libero arbitrio. Discutendo di tempo e speranza, tra filosofia e bisogni, tra silenzio e sogni mentre “il ventilatore polmonare non si ferma e continua a pompare aria nei polmoni”.
La malattia di Angelo è mostrata senza sconti, senza pietismi. Semplicemente com’è, nella sua durezza, e solitudine, tra la necessità di un badante che lo accudisca a tempo pieno, lo lavi, sbarbi, sposti come una bambola, di un cibo che è “tre ore di infusione totalmente insapore” un puntatore ottico per parlare con i figli, il fisioterapista, il badante che lo accudisce con affetto. Parla del “dolore che arriva sempre di notte ed è tremendo. Gli antidolorifici sempre più potenti non bastano. E così quando non ce la faccio più sogno che prendo e con le mie mani stacco il tubo del respiratore e mi lascio morire”. Dolore ma anche racconti pieni di vita, di passione per l’esistenza, per moglie e figli, passeggiate in montagna e remate al mare e sul lago, mentre tra voli di astronauti liberi nello spazio quanto lui è inchiodato sulla terra, scorrono le immagini dei super otto familiari colorati, in bianco e nero.
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