Il Giubileo con… annessi e connessi

L’EDITORIALE
di don Giorgio

Il Giubileo con… annessi e connessi

Parlare del Giubileo non è tanto semplice, visto che ognuno dice la sua, e che la Chiesa stessa dice… la sua. Poi, ogni prete a ruota libera organizza qualcosa e anche più di qualcosa pur di far qualcosa, perché è l’anno giubilare.
Convegni, conferenze, ritiri spirituali, e i soliti concerti tappabuchi. E la gente prende ciò che le interessa, qualcosa di buono dovrà pur fare, magari una vendita di pasta o riso per il tal missionario.
Nel Giubileo entra di tutto, tranne il vero significato che aveva il Giubileo ebraico, con le sue rivoluzionarie leggi sociali, tanto rivoluzionarie che il popolo eletto mai le aveva applicate sul serio.
E ci sono preti con il chiodo fisso delle confessioni (la conversione richiede sì o no la confessione dei peccati?), e così trasformano le cappelle in penitenzierie, con il rischio, assai concreto, che rimangano vuote. E la gente si lamenta perché il parroco ha fatto sparire madonne e santi, il tutto per creare un clima decisamente adatto al pentimento e alla confessione dei peccati, tornando ai vecchi tempi, quando tutto era peccato, anche pulirsi il naso, per la disperazione dei confessori, giovani o anziani parroci, che non sapevano più cosa fare per individuare quel peccato a cui era annessa una particolare “penitenza”, oggi diventata una semplice recita di un’Ave Maria o di un Padre nostro. E così nacquero veri manuali, di cento e più pagine, con l’elenco di tutti i peccati da quelli più veniali a quelli più mortali, da tenere in ogni confessionale per essere consultato all’occorrenza. A proposito dei confessionali, forse c’è ancora qualche prete magari giovane che crede che siano stati inventati da Gesù (suo padre Giuseppe non faceva il falegname?), mentre si dovrebbe sapere che il confessionale risale ai tempi di San Carlo Borromeo; o meglio il nipote di Pio IV aveva inteso, diffondendo i confessionali in tutte le chiese della Diocesi milanese, applicare le disposizioni del Concilio di Trento, che aveva ribadito l’importanza del sacramento della Riconciliazione, contro le idee protestanti. In realtà gli storici sostengono che l’idea della confessione auricolare, col prete seduto a simboleggiare il suo ruolo di giudice, in quel momento, e il penitente in ginocchio, già risaliva al Medioevo. Ma non dimentichiamo che la storia del Sacramento della Riconciliazione, come oggi si usa chiamare, è assai complessa, perché nei primi cinque o sei secoli del Cristianesimo esisteva solo la Confessione pubblica. Ma sulle Confessioni sacramentarie ci sarebbero tante cose da chiarire. Forse non tutti sanno che l’assoluzione è legata solo ai peccati cosiddetti mortali, per dire che i peccati cosiddetti veniali non si dovrebbero confessare, perciò sarebbe da vietare la confessione sacramentaria dei bambini. Ma… non dobbiamo dimenticare che all’inizio della Messa c’è un rito che si chiama Atto penitenziale, assai antico, con il quale si rimettono tutti i peccati cosiddetti veniali. Non capiamo la mania, che sta tornando, di riprendere le confessioni sacramentarie, attrezzando le cappelle in Penitenzierie. Forse c’è della morbosità fuori posto.
Mi sono forse dilungato troppo sulla Confessione sacramentaria e suoi confessionali, ma questo fa capire quanto siamo lontani da quel Giubileo che richiama le parole di Cristo, quando parlava di Anno di Grazia, anche con quell’imperativo: “Metanoèite”, ovvero “cambiate il vostro modo di pensare”. Probabilmente a non cambiare mente o mentalità è proprio una gerarchia ecclesiastica, nei suoi gradi più o meno alti, di tradizionalisti che fanno i rivoluzionari, o di rivoluzionari che fanno i tradizionalisti.
E che dire dei pellegrinaggi a Roma? Già la Porta santa da attraversare… ma per entrare dove? Diciamo di più. Anche la Diocesi milanese ha organizzato giorni fa un pellegrinaggio, con tremila aderenti. Ho sentito qualcuno lamentarsi per il viaggio, per l’organizzazione, per vitto e il pernottamento, per il tempo meteorologico, e allora mi decido anche qui a dire ciò che penso. Una volta i pellegrini, si chiamavo romei (dalla parola “Roma”), poveri e ricchi, colti e analfabeti, erano tutti accomunati da scelte ben precise: si partiva senza nulla, si chiedeva elemosina e ospitalità presso qualche convento o si dormiva all’aperto, si arrivava stanchi ma felici, si visitavano le chiese, e si tornava “migliori”. Perché oggi non si dovrebbe fare ancora così? Due o tre giorni di digiuno, di silenzio: visitare le chiese stabilite, umiliarsi, e tornare senza dire nulla. La Gioia, ovvero la Grazia, non è questione di emotività che passano in un giorno.
Il vescovo di Milano, Mario Delpini, avrebbe detto ai tremila pellegrini milanesi: «Torniamo alla nostra vita ordinaria dicendo che abbiamo incontrato Gesù». Semplicemente ridicolo!
Si incontra ogni giorno il Signore, ma dentro di noi, senza andare sui tetti a proclamarlo.
Un Giubileo sempre più mediatico, un fare per un fare, o per evadere dal solito tran tran quotidiano, è solo un apparato demenziale. La Grazia è altrove, ovvero dentro, e nessuno si accorge quando ci stimola a crescere nella nostra realtà interiore. Nelle piccole cose, là dove nessuno scommetterebbe una lira.
22 marzo 2025
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