Lo studio si chiama «I danni climatici causati dalla guerra della Russia in Ucraina». È la prima stima ufficiale presentata il 7 giugno scorso alla conferenza delle Nazioni Unite sul clima a Bonn dal gruppo di ricercatori guidato dall’olandese Lennard de Klerk. I dati raccolti si riferiscono ai primi dodici mesi di guerra: 119 milioni di tonnellate di CO2. Tanto quanto il totale delle emissioni di un Paese come il Belgio. Oggi però di mesi ne sono passati 15, e gli incendi provocati dai bombardamenti non sono mai cessati. Mantenendo la stessa proporzione si può dire che a fine maggio la stima delle emissioni totali di CO2 sia salita a 155 milioni di ton. A fine aprile, quando ancora non era saltata la diga di Nova Kakhovka, i danni totali all’ambiente sono valutati da Kiev intorno ai 52 miliardi di euro. Vediamoli.
Emissioni di CO2
Che l’invasione russa dell’Ucraina non sarebbe stata soltanto una questione militare, geopolitica e drammaticamente umanitaria, ma anche una catastrofe ambientale per l’intero pianeta è evidente già dai primi giorni: le bombe colpiscono raffinerie (60 solo dopo 4 mesi di guerra), depositi di carburante, capannoni, circa 900 impianti industriali, bruciano intere foreste. Distrutti molti centri di depurazione delle acque, dighe. Gli stessi comandi ucraini fanno saltare gli sbarramenti idrici a nord della capitale allagando vaste aree per impantanare nel fango le colonne corazzate russe. In totale nel primo anno di guerra ci sono stati 6.288 incendi, con 670 mila tonnellate di gasolio e benzina andati in fumo. A questo si somma la CO2 non assorbita da 280 mila ettari di foreste: in parte bruciate (57mila ettari solo nei primi 6 mesi), in parte completamente danneggiate. In media ogni ettaro di foresta è in grado di assorbire 4,8 tonnellate di CO2.
Poi ci sono le conseguenze degli attacchi alla rete elettrica: per fronteggiare la mancanza di elettricità, i responsabili del Ministero dell’Energia hanno stimato siano stati importati 120 mila generatori diesel di ogni tipo e dimensione, dai mini-portatili per negozi e abitazioni ad impianti giganteschi per interi quartieri urbani. Inoltre, spiegano a Kiev, i bombardamenti hanno messo fuori uso anche il 90% delle pale eoliche e il 50% dei pannelli solari. In pratica il neonato settore delle energie rinnovabili, che produce l’11% dell’elettricità nazionale, è quasi totalmente fuori uso.
Lo studio presentato a Bonn dettaglia le stime del primo anno di guerra: la maggior parte delle emissioni di CO2 (50,2 milioni di tonnellate) sono legate dall’attività di ricostruzione delle infrastrutture e edifici, seguite dalle azioni militari (21,9 milioni di ton), dagli incendi (17,7 milioni di ton) e dall’esplosione dei gasdotti Nord Stream (14,6 milioni). Dalla fine di febbraio ad oggi, dicevamo, le esplosioni sugli impianti sono stata ancora più furiose. Un esempio: il 29 aprile i droni ucraini hanno centrato in pieno i depositi di carburante a Sebastopoli, il maggior porto in Crimea della Flotta russa. Si parla di oltre 40 mila tonnellate di gasolio bruciate in pochi giorni, che tradotte in CO2 equivalgono a 104.400 tonnellate.
Acqua: le sostanze tossiche nel Mar Nero
Colpiti gli impianti elettrici, saltano i depuratori e i liquami non filtrati vanno nei fiumi, soprattutto nel Dnipro, che tocca il delta del Danubio e le sue immense oasi tutelate. Il tema dei danni alle fonti idriche è stato evidente sin dalle primissime fasi del conflitto. In alcuni momenti, dopo i bombardamenti contro le infrastrutture tra novembre e dicembre 2022, quasi 16 milioni di cittadini non hanno avuto accesso all’acqua potabile o difficoltà a reperirla. Il 14 marzo 2022 la Russia ha bombardato gli impianti di trattamento delle acque reflue a Vasylkivka vicino a Zaporizhzhya. Una stazione di pompaggio è stata distrutta e le acque reflue non filtrate sono confluite direttamente del Dnipro, sfociando infine nel Mar Nero. Ancora da valutare le conseguenze delle bombe russe contro la diga di Nova Kakhovka, sempre sul corso del basso Dnipro, ma appare ovvio che saranno gravi su tutto l’ecosistema della regione che sfocia nel Mar Nero. Nell’acqua finiscono i residui dei bombardamenti di 900 impianti industriali, chimici, e quelli delle acciaierie Azovstal a Mariupol: parliamo di piombo, bauxite, mercurio, uranio impoverito, soda caustica, zinco, nichel. Dunque liquami e sostanze altamente tossiche entrano nel Mare d’Azov e nel fiume Dnipro, che sfociano entrambi nel Mar Nero, che a sua volta confluisce nel Bosforo, e alla fine quell’acqua arriva nel Mediterraneo. I ricercatori sostengono che la fauna ittica è stata quasi completamente uccisa fino alle coste della Crimea.
Terreno: contaminato e minato
Gli attacchi sugli edifici e impianti stanno lasciando il terreno contaminato da metalli pesanti e altre sostanze tossiche. Di alcuni siamo stati testimoni diretti: il 5 aprile 2022 i russi colpiscono nella cittadina di Rubizhne un serbatoio di acido nitrico che rilascia una enorme nube di fumo rosso. Ancora acido nitrico più recentemente nel distretto di Severodonetsk. L’acido poi ricade sul terreno ed entra nella catena alimentare. Poi ci sono le mine. Gli artificieri ucraini accusano i russi di averne piantate tra 6 e 10 milioni, dalle leggerissime antiuomo lanciate dai piccoli droni commerciali a quelle anti-tank pesanti ben oltre 50 chilogrammi, individuate presso Donetsk e Kherson. Sono disseminate su un’area lunga oltre 2 mila chilometri che prosegue a tratti dalla Bielorussia al Mar Nero e incontra zone di fortificazioni profonde sino a 6 chilometri, sia nel Donbass che di fronte a Melitopol, Zaporizhzhia e sino alla vicina zona della omonima centrale atomica affacciata al Dnipro. Lo scorso 4 aprile i funzionari dello United Nations Development Program (Undp) hanno lanciato un allarme: nelle zone minate ad alto rischio vivono oltre 14 milioni di civili. A quella data le mine «bonificate» erano state quasi 350 mila. Ma ci sono intere regioni liberate negli ultimi mesi dagli ucraini, come il Kherson occidentale e le zone a sud-est di Kharkiv, dove i campi minati sono stati semplicemente marcati con nastri e cartelli segnalatori senza alcun altro intervento. Basandosi sugli effetti lasciati sul territorio dai combattimenti delle due guerre mondiali, gli esperti ricordano che occorrono tra i cento e duecento anni affinché le bombe inesplose cessino di costituire un pericolo. Francia, Belgio e Germania sono ancora oggi colpiti dalla contaminazione del suolo provocata dalle bombe del secolo scorso con «zone rosse» e terreni ancora non utilizzati per scopi agricoli.
Campi agricoli non coltivabili
Già oggi un terzo dei campi agricoli ucraini non è lavorabile, circa il 25% delle aziende agricole ha chiuso. L’accordo con la Russia mediato da Turchia e Nazioni Unite per l’export del grano ucraino ha salvato soltanto parzialmente una situazione gravemente compromessa dalla guerra. A novembre scorso il Ministero delle politiche agrarie denunciava perdite per circa 6 miliardi di euro, di cui il 44% a causa di macchinari danneggiati, il 28% per raccolti distrutti nei silos e 5% per danni ai campi coltivati. Oltre 12 mila chilometri quadrati di riserve naturali sono andati distrutti o si trovano nelle zone di guerra contese tra i due eserciti, mettendo a rischio 600 specie di animali e 750 di piante: un vero «ecocidio».
Aria: si respira amianto
Il 21 marzo 2022, un attacco a un’industria di fertilizzanti vicino a Sumy rilascia ammoniaca nell’aria. A giugno 2023 c’è stata un’esplosione nella più grande condotta al mondo di ammoniaca che collega la città russa di Togliatti al porto di Odessa. In aprile l’aria di Kramatorsk, Chasiv Yar e Kostantinivka nel Donbass centrale era ammorbata dall’esito del braccio di ferro all’ultimo sangue per il controllo della vicina cittadina assediata di Bakhmut. Ma nell’aria si respirano anche le polveri di amianto. Il 24 gennaio scorso la School of Economics di Kiev contava la distruzione totale o parziale di 149.300 edifici nel Paese, di cui 131.400 case private, 17.500 palazzi residenziali e 280 «dormitori». Oggi il numero totale potrebbe essere di almeno 200 mila.
La totalità degli edifici risalenti all’epoca sovietica è tappezzata di amianto, dai tetti ai muri, e questi dominano in particolare nei centri urbani del Donbass investito più a lungo dai combattimenti sin dal tempo della crisi del 2014
Ma in tutto il Paese, sottolineano le autorità locali, il minerale killer è stato utilizzato nelle costruzioni fino al 2020. Secondo Ezio Bonanni, presidente dell’Osservatorio Nazionale Amianto, le fibre polverizzate nell’aria produrranno decine di migliaia di morti nei prossimi anni.
Il rischio nucleare
Nonostante i continui allarmi sul pericolo nucleare, specie riguardo alla centrale atomica di Zaporizhzhia, che potrebbe essere investita a breve dalla controffensiva ucraina, almeno per il momento i rilevatori non hanno mai segnalato radiazioni irregolari. I commissari della missione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica lanciano continui appelli affinché i due eserciti accettino di demilitarizzare la zona, e comunque confermano che ad oggi non ci sono state fughe di materiale radioattivo. Va detto che non esistono studi completi e approfonditi. Per gli scienziati e le agenzie governative sia locali che le organizzazioni internazionali resta impossibile condurre indagini serie sul posto con una guerra in corso. Alla fine, le drammatiche statistiche elencate sono solo una stima dei danni ambientali, e calcolate al ribasso, perché da parte russa le informazioni non ci sono, e gli ucraini non dicono tutto per non confermare ai russi la gravità dei loro bombardamenti.
E ciononostante si continua a combattere, mi chiedo di questo passo cosa resterà dell’Ucraina e quanto tempo ci vorrà per rigenerare l’ecosistema. Grazie Vladimir, se questo non è l’inferno poco ci manca…
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