Omelie 2023 di don Giorgio: PRIMA DOPO LA DEDICAZIONE

22 ottobre 2023: PRIMA DOPO LA DEDICAZIONE
At 10,34-48a; 1Cor 1,17b-24; Lc 24,44-49a
Anche questa volta possiamo dire che la liturgia festiva ci offre tre brani che possono (dipende da noi) stimolare la nostra pigrizia mentale (noi credenti siamo pigri per natura, ci accontentiamo nel campo della fede di poco, del minimo), per elevare il nostro sguardo interiore verso l’Alto da dove discende la Luce divina.
Anzitutto, vorrei evidenziare una cosa che ritengo importante, che dai tre brani traspare in modo talora evidente, ed è il rapporto tra l’annunciatore del Vangelo e il Vangelo stesso. E qui occorre chiarezza.
Un prete milanese ha scritto: «I discepoli sono missionari non perché siano esemplari per la loro vita, ma perché possono riferire la parola e gli incontri con Gesù a chi voglia cogliere, con cuore puro, la loro testimonianza». Sono parole da chiarire, altrimenti si finisce per intendere Roma per toma, ovvero confonderne il senso.
Anzitutto, diciamo che quel prete non intendeva dire che non è importante anche una vita virtuosa, ma ha inteso chiarire che la vita esemplare non è da prendere a se stante.
Quando sento dire che la Chiesa canonizza, ovvero pubblicamente proclama che un tizio o una tizia è stato/stata un esempio di santità, perché ha conformato la sua vita sul criterio di particolari virtù stabilite dalla stessa chiesa istituzionale, allora mi chiedo dove stia o in che cosa consista la testimonianza cristiana. Giustamente quel prete dice che i discepoli sono missionari perché annunciano la Buona Novella in tutta la sua radicalità.
Se io mi limito ad ammirare la santità in sé del missionario, perdo di vista la sua testimonianza che sta nel professare il Vangelo di Cristo. La santità conta ai fini della testimonianza del Vangelo di Cristo. È l’annuncio del Vangelo che conta, e non la santità in sé del missionario.
Ed è successo che la Chiesa istituzionale abbia preferito la santità in sé all’annuncio del Vangelo, ed è successo che santi canonizzati dalla Chiesa istituzionale abbiano predicato un Vangelo non sempre aderente al pensiero di Cristo.
Quanto sto dicendo è importantissimo, estendendolo anche ad altri campi. Pensate alla filosofia, alla politica, dove conta è il personaggio in sé, il quale addirittura è preso come garanzia di un pensiero o di un agire per nulla giusto, per nulla veritiero, per nulla nobile. Quante volte sentiamo dire: “l’ha detto il tal filosofo, l’ha detto il tal politico”, come se la sua notorietà contasse di più della verità o del suo comportamento, che anzi vengono giustificati proprio per la notorietà del personaggio.
Non sapete quanto sia allergico alle citazioni di pensatori, di poeti, di scienziati, anche se talora, ma molto raramente, anche io cito qualcuno. Ma se li cito è perché il loro pensiero è talmente profondo che potrebbe farmi riflettere, ovvero aiutarmi a cogliere maggiormente in profondità la Verità divina.
Una cosa è vera anche se chi la dice non è santo, oppure se chi la dice ha un brutto carattere, oppure non è famoso. Il papa talora dice cose che da anni i preti più semplici dicono, e succede che, quando parla il papa, i giornali ne parlano, come se fosse più autorevole di un povero cristo d’un prete di campagna.
Il vero problema non è dare più autorevolezza alla Parola di Dio con documenti solenni, con sinodi del tutto speciali. La Parola di Dio si impone da sola: basta annunciarla, restando però fedele alla sua essenzialità.
San Paolo nella sua prima lettera ai cristiani della comunità di Corinto dice esplicitamente: «Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo…». E aggiunge: «Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo? Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio, il mondo con tutta la sua sapienza non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione. E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio».
Dunque, per Paolo ciò che conta non è amministrare il battesimo, ma predicare il Vangelo. Senza il Vangelo a che servirebbe il battesimo, che è un rito di introduzione alla Chiesa istituzionale? Nel libro “Atti degli apostoli” si parla di un gruppo di credenti che avevano ricevuto lo Spirito santo, prima di essere stati battezzati.
Ma, ecco la domanda che San Paolo si pone: come predicare il Vangelo? Forse ingolosendo cristiani o non cristiani con suggestioni retoriche, con esemplificazioni filosofiche, con intuizioni religiose comuni a tutti gli uomini? Paolo risponde chiaramente: il Vangelo va annunciato nella sua radicalità senza tanti fronzoli persuasivi, allettanti, anche ingannevoli, senza segni miracolosi.
Ed ecco le parole di San Paolo: «Mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani».
San Parlo distingue la Fede purissima dalle credenze religiose, che si aggrappano anche a segni esteriori, miracoli e reliquie.
E l’apostolo distingue la sapienza divina dalla sapienza umana. La sapienza divina casomai richiede l’intelletto interiore per avvicinarsi al Mistero divino, mente la sapienza umana si aggrappa a ragionamenti che sono terreni. San Paolo non mette sotto accusa il grande nobile pensiero greco, ma tutto quel mondo che usa la ragione umana che è limitata, chiusa in un io spaventoso.
Ed ecco il cuore del Vangelo: «noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani».
Cristo crocifisso non è il Cristo che muore su una croce maledetta. È il Cristo che si è annullato nella sua carnalità fino a donarci il suo Spirito.
Don Primo Mazzolari diceva che per Gesù “il di più” non è stato il superfluo a cui rinunciare. “Il di più” è stata l’intera sua esistenza. Se ne è liberato sulla croce, per donarci il suo Spirito.
Giovanni l’evangelista ha messo la Croce in un alone di Luce. Predicare dunque il Cristo crocifisso non è annunciare la morte del Figlio di Dio, ma quel dono supremo della sua vita fisica, di cui si è spogliato radicalmente, per donarci la sua essenzialità divina.

Lascia un Commento

CAPTCHA
*