Una pace senza giustizia non è pace: andate a dirlo al papa, ai vescovi, ai pacifisti di ogni risma…
Una pace senza giustizia non è pace:
andate a dirlo al papa, ai vescovi,
ai pacifisti di ogni risma…
di don Giorgio De Capitani
A parte la Marcia per la Pace, organizzata nella notte tra il 23 e il 24 febbraio, da Perugia ad Assisi, a un anno dall’inizio del conflitto in Ucraina – avrei tanto ma tanto da dire, tra l’altro per far notare l’ipocrisia dei manifestanti, spinti da organizzazioni per la pace che provvidenzialmente risorgono ogniqualvolta si scatena una guerra –, vorrei pormi di nuovo alcune domande, senza allargare al solito discorso che in tutto il mondo ci sono una trentina e più di guerre in corso, dimenticate dall’opinione pubblica e dai mass media: le domande le pongo in riferimento alla guerra in Ucraina, perché è questa che in fondo brucia il culo dei pacifisti di oggi.
Non vorrei più sentire i soliti vaghi assurdi diplomatici opportunisti discorsi sulla pace, e in questo sono bravi, bravissimi i gerarchi della Chiesa che, non sapendo che cosa dire, dicono stronzate, appunto vaghe assurde diplomatiche opportuniste.
Quando sento il papa parlare di pace sto male, così mi arrabbio quando sento parlare di pace Matteo Zuppi o il nostro “piccoletto” di Milano, il quale riesce sempre a trovare in ogni occasione quelle parole che si adattano bene alle circostanze: sa dire nulla cavandosela come al solito, trovando a fare da spalla giornaliste della Curia, che fanno letteralmente pena tanto sono leccaculo del capo del momento (cambia il capo cambiano registro!).
Capisco il papa, che deve per forza fare il diplomatico soprattutto in certe complesse situazioni che toccano colossi di potere, capisco Matteo Zuppi che, prima di aprire bocca, va al fiume Po per purificare ogni parola così da renderla accettabile per ogni contendente, ma non capisco quel vescovo che, avendo a che fare con la gente della propria diocesi, la prende a pesci in faccia, eppure anche gli ambrosiani avrebbero bisogno di parole che fendono la nebbia, parole vere, parole come quelle di Cristo, quando inveiva contro scribi e farisei e i capi religiosi (vedi Matteo 23: leggete una buona volta questo capitolo!) o contro i propri simpatizzanti (vedi Giovanni 8,30-59).
Porre la domanda: “Che cos’è la pace?”, servirebbe a ben poco, se non capissimo almeno che la pace si fonda sulla giustizia. Fare poesia, scrivere libri o romanzi, tenere conferenze o incontri sulla pace è solo buttare fumo o gettare mucchi di sabbia per coprire quella giustizia che regge le sorti del mondo.
Arriviamo anche a parlare dei diritti umani, ma poi dimentichiamo i doveri: parliamo in astratto o in modo cattedratico dei diritti della pace, e non parliamo mai dei doveri insiti in quella giustizia che pone le basi per una pace duratura.
Gli antichi Romani avevano inventato il diritto, come scrive Simone Weil, ma per usarlo in funzione del loro potere fondato sulla forza. E Simone Weil continua: i greci non avevano una sola parola per indicare il diritto, ma avevano più parole per indicare la giustizia.
Simone Weil così scrive in “La persona e il sacro”:
«La nozione di diritto ci viene da Roma, e come tutto ciò che proviene dall’antica Roma – che è la donna piena dei nomi della blasfemia di cui parla l’Apocalisse – è pagana e non battezzabile. Avendo capito, al pari di Hitler, che la forza ha piena efficacia solo se ammantata di qualche idea, i Romani adoperavano la nozione di diritto appunto a questo scopo. Del resto vi si presta benissimo. Si imputa alla moderna Germania di disprezzarla. Invece questa se ne è avvalsa a sazietà nelle sue rivendicazioni di nazione proletaria. È vero che non riconosce a coloro che tiene soggiogati altro diritto se non quello di obbedire. Ma anche l’antica Roma. Lodare l’antica Roma per averci trasmesso la nozione di diritto è decisamente scandaloso. Se vogliamo infatti esaminare la natura di questa nozione alle sue origini, in modo da individuarne la specie, si constata che la proprietà era definita dal diritto d’uso e di abuso. E di fatto la maggior parte delle cose su cui ogni proprietario poteva esercitare il diritto d’uso e di abuso erano esseri umani. I Greci non possedevano la nozione di diritto. Non avevano vocaboli per esprimerla. Si accontentavano del nome della giustizia».
Dovrei anche citare i numerosi salmi in cui si dice che pace e giustizia vanno a braccetto, per cui senza giustizia non c’è pace?
Pensiamo allora a ciò che sta succedendo in Ucraina, ed ecco la domanda: chi ha calpestato la giustizia in Ucraina, senza alcun motivo, se non per conquistarla al proprio dominio? Facciamo esplicitamente, Vladimir Putin, zar della Russia imperialista, oppure preferiamo ipocritamente parlare di un eventuale aggressore?
Questi pacifisti di merda non sanno che cosa dire e neppure che cosa volere, se non tenersi buoni buoni russi e ucraini per fare a casa loro (dei pacifisti) i cazzi che vogliono.
Questo è lo scopo dei pacifisti di ogni risma, cattolici compresi: vivere in pace, la loro, perché così ognuno possa liberamente e in infinita abbondanza i propri affari.
Non voglio citare le parole di Cristo sulla pace e sulla guerra, anche perché ci porterebbero fuori tema, e anche perché scomoderei teologi e esegeti di ogni religione. Mi accontento di ciò che diceva don Lorenzo Milani: ha tolto alla sua gente la pace, per scuoterla nella coscienza, che si era assopita nella più insopportabile apatia, una forma di pace che piace a tutti, anche ai credenti di oggi.
Così scrive il prete fiorentino in “Esperienze pastorali”:
«Io al mio popolo gli ho tolto la pace: Non ho seminato che contrasti, discussioni, contrapposti schieramenti di pensiero. Ho sempre affrontato le anime e le situazioni con la durezza che si addice al maestro. Non ho avuto né educazione né riguardo né tatto. Mi sono attirato addosso un mucchio di odio, ma non si può negare che tutto questo ha elevato il livello degli argomenti e di conversazione del mio popolo».
Adesso vi offro un articolo e due video. Ognuno si ponga per sé qualche interrogativo, dopo aver letto le risposte di Mario Delpini all’intervistatore, il quale è stato ben attento a non porre domande spinose o imbarazzanti, che richiedessero risposte ben precise e magari compromettenti.
E così succede che tutto finisca in una preghiera (senz’altro più sbrigativa e magari più efficace di migliaia di marce per la pace), a quel Dio che viene invocato anche duramente per colpevolizzarlo come assente o del tutto indifferente, addirittura come ignaro di quanto succede sulla terra. Mi chiedo che significhi supplicare Dio perché intervenga. Forse Dio si aspetta da noi un’altra fede, quella Fede già da tempo sparita, prima che Egli scenda ancora sulla terra.
«Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà,
troverà la fede sulla terra?» (Luca 18,8)
da AVVENIRE
19 febbraio 2023
Il testimone.
Delpini: la pace è una guarigione.
Ora tregua, basta morti, basta bombe
Francesco Ognibene
L’arcivescovo di Milano chiama a una Quaresima di preghiera e digiuno per far cessare il conflitto in Ucraina. «Questo possono fare i credenti e tutti i cittadini: una rivoluzione spirituale»
Tutta presa a riprendere la sua corsa, bruscamente interrotta dalla pandemia, Milano sembra pensare ad altro, immagine ingigantita dell’Italia. Sembra. Perché l’orrore della guerra è un’ombra che incombe, un’angoscia inconfessata. Un pungolo doloroso nel cuore. A offrire le parole che cerca è chi questo cuore lo conosce bene, perché l’ambrosianità solidale e aperta al mondo è un suo copyright. Per questo la Chiesa di Milano sente il dovere, attraverso il suo arcivescovo, di chiamare tutti a dar voce al bisogno di pace. C’è una Quaresima che tra una settimana – secondo il calendario di Ambrogio – apre il “tempo opportuno” e necessario a tutti i milanesi per invocare la cessazione di violenze inumane. Appena rientrato da un viaggio in Marocco insieme ai preti diocesani con dieci anni di Messa, monsignor Mario Delpini condivide il suo pensiero sul tempo che abbiamo vissuto – un anno di guerra – e quello che ci attende. Nel Maghreb ha trovato la traccia profonda lasciata da Charles de Foucauld e dai monaci di Tibhirine, voci di pace, di dialogo, di accoglienza.
Lei sta chiedendo alla comunità diocesana di vivere la Quaresima come un tempo specialmente dedicato alla pace, invocata nella preghiera e col digiuno, cercata attraverso la conversione personale, condivisa come impegno con l’appello al quale invita ad aderire sul portale diocesano. «Noi vogliamo la pace», scrive: la desideriamo tutti, ma come possiamo costruirla?
Non possiamo rassegnarci alla depressione dell’impotenza perché crediamo in Dio. Non possiamo rassegnarci all’indifferenza perché crediamo nella democrazia. Come sia possibile che persone intelligenti decidano di fare la guerra è un enigma incomprensibile in cui opera lo spirito di Caino. Come sia possibile che si costruisca pazientemente e sapientemente la pace è la speranza di tutti coloro che ritengono che valga la pena di essere uomini e donne. La pace è frutto dello Spirito buono che rende sapienti e forti, capaci di discernimento e intraprendenza. Questo possono fare tutti i credenti e tutti i cittadini: una rivoluzione spirituale. Noi la chiamiamo conversione, la nostra conversione, la conversione di tutti: perciò preghiamo, digiuniamo, pensiamo, parliamo.
Siamo nei giorni che ci riportano all’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, un anno fa. Stentavamo a crederci, invece abbiamo già alle spalle dodici mesi di atrocità innominabili. Ci stiamo assuefacendo al peggio? Come restare sensibili al dolore della gente inerme?
Non conosco nessuno che finisca per assuefarsi se si trova davanti a un bambino che piange. Tuttavia, se i media raccontano ogni giorno di migliaia di persone che piangono e muoiono, la gente presto si abitua. Presumo che significhi che siamo fatti per le relazioni personali e non per la comunicazione di massa, che pure ovviamente ha la sua importanza. Le notizie su un popolo, su un insieme di persone indistinte, finiscono per lasciare indifferenti. Se però c’è un mio amico in Congo o in Yemen o in Ucraina, ogni notizia è motivo di trepidazione, di preghiera, di paura. Restiamo sensibili alle persone che amiamo, alle terre che conosciamo.
Il Papa si è speso con decine di appelli accorati, tutti siamo con lui. Ma è come se la sua voce fosse sovrastata dalla retorica bellicista. Come non scoraggiarsi davanti all’apparente inefficacia della sua parola?
Pensiamo a un bambino che ha subìto un trauma e che per fortuna si risveglia: magari non riesce più a parlare o a camminare, deve ricominciare da capo… Quante lacrime, quante preoccupazioni, quali nuvole minacciose incombono sul futuro. Ma il papà e la mamma se ne prendono cura. Deve fare ogni giorno esercizi di logopedia o di fisioterapia. Dei progressi i vicini di casa quasi non si accorgono, ma il papà e la mamma esultano di gioia per ogni sillaba pronunciata correttamente, per ogni minimo movimento recuperato. Progressi minimi, esercizi faticosi, ricadute esasperanti, e riprendere, riprendere ancora. Si scoraggiano forse il papà e la mamma per l’apparente inefficacia delle mille attenzioni e dei faticosi esercizi? Così il Papa, così i credenti: ogni giorno progressi minimi e ricadute clamorose. Eppure, quale gioia per ogni parola nuova di pace che l’umanità traumatizzata impara a dire! E quale gioia per ogni piccolo passo compiuto sulla via della pace! I capi di Stato e i vertici degli organismi internazionali sembrano spesso insensibili alle parole del Papa. Dispiace. Ma forse è necessario pregare che lo Spirito di Dio e le parole del Papa facciano sorgere, come capita ogni tanto nella storia, qualche personalità eminente, saggia, santa, autorevole, all’altezza del suo compito, che la gente possa riconoscere come operatore di pace. Chi sa?
Come si costruisce una “pace giusta”, come ha chiesto più volte Francesco, in uno scenario globale tanto complesso?
La pace è una guarigione, non una nostalgia di una favolosa età dell’oro. La pace è una situazione guarita, non un nuovo inizio, senza memoria e senza ferite. Ogni vicenda trascina un peso tremendo di risentimenti, di rivendicazioni, di diritti da far valere, di prepotenze irragionevoli e indiscutibili imposte dal più forte, subite dal più debole. Come è possibile una “pace giusta”? Più modestamente, se ci sono organismi che ne abbiano le intenzioni e le possibilità, dovrebbero sentirsi spinti a cercare una pace accettabile, una tregua tra le parti in guerra che consenta il tempo e i mezzi per riabilitare i popoli e le autorità, segnati profondamente dal trauma delle guerre. La ragionevolezza deve convincere a decidere: prima di tutto, basta morti! Basta bombe! Basta soldati all’attacco per uccidere e per morire! Una tregua! Poi si può e si deve discutere e trattare e celebrare tutte le sceneggiate immaginabili di veti e di pugni sul tavolo, di dichiarazioni di intenti e di proclami feroci. Però, anzitutto basta morti, basta bombe! Non so come, quando e in che senso si possa arrivare a una pace giusta. Prima di tutto però basta morti, basta bombe!
Appena rialzata dal terribile colpo della pandemia, Milano – come il resto del Paese – si è trovata dentro la tempesta della guerra in Europa, con sentimenti contrastanti: recuperare il terreno perduto, ma con una tragedia sulla porta di casa, e la tentazione di rimuoverla per guardare avanti. Come si possono comporre queste percezioni contrastanti?
La gente di Milano, per quello che io ne posso dire, non è mai indifferente. Preferisce però fare quello che può, invece che sostare nello sconcerto, lasciarsi paralizzare dalle paure, intristirsi nel lamento. Parlo della gente di Milano come se fosse una massa uniforme. In realtà ritrovo tante anime diverse. Forse i bambini sono quelli che rimangono più spaventati. Forse ci si aspetta che i giovani abbiano qualche idea in più e uno sguardo più audace sul presente e sul futuro. Forse gli anziani sono quelli che accumulano troppa desolazione.
La porta di molte comunità e famiglie si è aperta per accogliere i profughi ucraini, mentre tanta gente si è prodigata per portare aiuto, o anche solo contribuire come poteva. Cosa ci ha insegnato questo anno di guerra?
Ci ha mostrato ancora una volta che il mondo sta in piedi e l’umanità continua a vivere sulla Terra perché le donne e gli uomini buoni sono sempre più numerosi, più forti, più coscienziosi di quelli che si lasciano possedere dal male. Io so come sono gli operatori di pace: uomini e donne che amano la vita, gente che si alza ogni mattina come gente che ha una missione da compiere. Hanno fiducia, sono onesti, fanno quel poco che possono con la persuasione che nulla va perduto e tutto serve, si domandano sempre se si possa fare qualche cosa di più. Molti pregano. Non hanno paura per sé stessi, ma vorrebbero lasciare per gli altri un mondo migliore di come l’hanno trovato. Sono operatori di pace, figli di Dio.
Possiamo chiederle la sua preghiera per la pace? Ci aiuti con qualche parola da fare nostra tutti i giorni…
Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
Padre nostro,
noi ti preghiamo per confidarti lo strazio della nostra impotenza:
vorremmo la pace e assistiamo a tragedie di guerre interminabili!
Vieni in aiuto alla nostra debolezza,
manda il tuo Spirito di pace
in noi, nei potenti della terra, in tutti.
Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
Padre nostro,
noi ti preghiamo per invocare l’ostinazione nella fiducia:
donaci il tuo Spirito di fortezza,
perché non vogliamo rassegnarci,
non possiamo permettere che il fratello uccida il fratello,
che le armi distruggano la terra.
Padre del Signore nostro Gesù Cristo,
Padre nostro,
noi ti preghiamo per dichiararci disponibili
per ogni percorso e azione e penitenza
e parola e sacrificio per la pace.
Dona a tutti il tuo Spirito,
perché converta i cuori, susciti i santi
e convinca uomini e donne a farsi avanti
per essere costruttori di pace,
figli tuoi.
Ascoltate i due video
Dopo le profonde parole di don Giorgio che citano don Milani e Weil, oltre alla saggia risposta di Martina, non aggiungo altro, se non evidenziare alcuni passo della preghiera a fine articolo:
[…noi ti preghiamo per confidarti lo strazio della nostra impotenza: vorremmo la pace e assistiamo a tragedie di guerre interminabili! Vieni in aiuto alla nostra debolezza,
manda il tuo Spirito di pace
in noi, nei potenti della terra, in tutti…]
“Nostra impotenza, debolezza” però Tu, o Dio, “manda in noi il tuo Spirito di pace”. Ma cosa significa veramente? Che Dio è immobile?
Forse, questa frase esprime, senza rendersene conto, il concetto di intelletto passivo. Sempre qui ad attendere la manna dal Cielo!
Dove sta l’intelletto attivo?
Già lo avevo scritto tempo fa… “e pace in terra agli uomini amati dal Signore”… Finchè non c’è “buona volontà”, non ci sarà neppure volontà di pace, perchè non si sente arsura di Giustizia
Grazie don Giorgio per questo articolo molto chiaro e sincero.
Bellissimo notare come il tuo pensiero, quello di Simone Weil e di don Lorenzo Milani, portino a un unico punto: non c’è pace senza giustizia.
Purtroppo è una minoranza a capire queste cose perché richiedono una spogliazione di tante cose, di tanti averi.
I più preferiscono mescolarsi in queste manifestazioni, così da sentirsi meno soli nella loro individualità.
Come mi hai sempre detto: tanti io, io, io…
L’acutezza di Simone Weil è impressionante e seppur amò il Cristianesimo non volle entrare nella religione cattolica.