Omelie 2015 di don Giorgio: Domenica che precede il Martirio di S. Giovanni il Precursore
23 agosto 2015: Domenica che precede il Martirio di S. Giovanni il Precursore
2Mac 7,1-2.20-41; 2Cor 4,7-14; Mt 10,28-42
Il martirio dei sette fratelli e della loro madre
Il primo brano della Messa è il racconto del martirio dei sette fratelli e della loro madre, come esempio di fedeltà alla Legge di Dio, intesa però come Alleanza. Non dimentichiamo: la Legge di Dio va sempre inserita nel contesto dell’Alleanza. Staccare le Leggi religiose dall’Alleanza è stato uno dei più gravi pericoli in cui è caduto il popolo eletto. Basterebbe ricordare la netta e dura presa di posizione di Cristo contro la Legge ebraica così frantumata in mille ordinamenti da mettere in secondo piano la dignità dell’essere umano. Cristo proclamerà: prima l’uomo, poi il sabato!
Un episodio che anticipa il martirio cristiano
Il genere del racconto adottato dall’autore del Libro dei Maccabei è quello dei cosiddetti “Atti dei martiri”, che avrà un grande successo al tempo dei primi martiri cristiani. Possiamo allora capire perché il primo cristianesimo avesse ripreso e riproposto il martirio dei sette fratelli e della loro madre come esempio di fedeltà al Signore, invocandoli come santi martiri della fede, con lo scopo di incitare i cristiani a non cedere alle persecuzioni.
La fede nella risurrezione
Il racconto biblico dell’autore del libro dei Maccabei offre diversi spunti di riflessione, uno in particolare è quello della risurrezione.
Nell’Antico Testamento l’idea di una risurrezione dopo la morte non era molto chiara: si pensava che le anime, dopo la morte fisica, andassero tutte, indistintamente, nello Sheol, tradotto con “soggiorno dei morti”. Lo Sheol era creduto essere presente sottoterra, un posto molto profondo, che segnava il punto di maggiore distanza dal cielo. Era descritto come una landa: qui i morti si radunavano, senza distinzione di rango, condizione sociale o morale: il ricco e il povero, il pio e l’empio, il vecchio e il giovane, il padrone e lo schiavo. Erano considerati come semplici ombre. I morti conducevano un’esistenza senza conoscenza o sentimento. Nello Sheol l’oblio era dato automaticamente a coloro che entravano in esso: era anche conosciuto come la dimora del silenzio dove nemmeno Dio veniva lodato. Lo Sheol era ritenuto un orribile, triste, buio e disordinato luogo. Il ritorno dagli inferi generalmente non era previsto.
Dunque, per la Bibbia tutto finisce nel nulla? Non c’è un aldilà? Dopo la morte non c’è distinzione tra giusti e corrotti? Tutto si svolge in questa vita? Ecco perché troviamo l’idea di fondo, per cui Dio già in questa vita premia i buoni e castiga i cattivi. E allora il dolore degli innocenti? Come si può accettare anche la sola idea che i giusti vivano più a lungo, e che abbiano già in questa vita terrena la loro ricompensa, quando in realtà non è così? Ecco la ribellione di Giobbe. A poco a poco si è fatta strada nel popolo eletto la speranza in un’altra vita nell’aldilà.
Solo nel secondo secolo a.C. troviamo riferimenti alla risurrezione. Il capitolo 7 del secondo libro dei Maccabei contiene elementi molto importanti per lo sviluppo della dottrina religiosa ebraica e cristiana. Infatti, è uno dei pochi testi dell’Antico Testamento, dove si presenta esplicitamente la fede nella risurrezione.
L’episodio del martirio dei sette fratelli e della madre è importante in questo senso, proprio perché, come commenta Bruno Maggioni, «il motivo della risurrezione scandisce il racconto dall’inizio alla fine, trasformando in rivelazione un episodio che, altrimenti, sarebbe rimasto un semplice racconto edificante… Il narratore definisce la morte come un “passaggio ad altra vita”. Narrando quella dell’ultimo fratello scrive che “passò all’altra vita, confidando totalmente nel Signore”. E uno dopo l’altro, i sette fratelli sopportano i tormenti, proclamando la loro speranza in una vita nuova con Dio. “Tu… ci elimini dalla vita presente, ma il re del mondo farà risorgere ad una risurrezione eterna di vita noi che moriamo per le sue leggi… È meglio essere messi a morte dagli uomini, quandoi in Dio si ha la speranza di essere da lui risuscitati”».
Ma l’interrogativo: “i martiri per la fede potranno partecipare alla salvezza futura, promessa da Dio?”, si porrà anche per i caduti in battaglia. In questo senso, acquista un significato particolare il gesto di Giuda Maccabeo che offre un sacrifio di riparazione per tutti coloro che erano morti sul campo per difendere la Legge di Dio.
Ecco il testo (2Mac 12,43-44): «Fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dracme d’argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio per il peccato, compiendo così un’azione molto buona e nobile, suggerita dal pensiero della risurrezione. Perché, se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti».
Vorrei aggiungere che questo passo sarà poi interpretato nella Chiesa cattolica quale affermazione esplicita dell’utilità dei suffragi per i defunti.
Anche un episodio esemplare ed edificante
Se è vero che, come ha detto don Bruno Maggioni, l’episodio dei sette fratelli e della madre che offrono la loro vita per non tradire l’Alleanza con il Signore non va soltanto considerato come un racconto edificante, tuttavia è innegabile che il coraggio della madre e dei suoi figli può esserci di grande insegnamento.
Il coraggio di una madre
Anzitutto, mi hanno sempre colpito il coraggio e la fede di questa madre, che invita i figli a non cedere davanti alle pressioni di un potere, che vorrebbe imporre l’omologazione culturale e religiosa. E ciò mi fa pensare a quelle madri di oggi che, di fronte a certe scelte radicali dei figli, trovano sempre un “buon” motivo per opporvisi.
Nel mio ministero sacerdotale ho trovato diverse madri che hanno fatto di tutto per reprimere nei figli aspirazioni nobili, ma ritenute troppo fuori moda. Alcune magari remissive, ma ben poche entusiaste. Ho detto “madri”, perché i padri sono solo ombre nel campo educativo: loro hanno ben altro a cui pensare.
E poi ci lamentiamo perché questa società moderna è una paurosa deriva di ragazzi che si sballano senza porsi un minimo “perché” esistenziale. In realtà, chi si lamenta non è tanto il genitore, che, anche di fronte all’evidenza, trova sempre un alibi per giustificare il figlio sballato.
La vita per un pezzo di carne
Anch’io mi pongo diverse domande, tra cui: la vita non è più importante di un pezzo di carne o di una bandiera? Non dimentichiamo anche i soldati che, per salvare la bandiera della patria, andavano incontro alla morte. Qualche dubbio mi rimane sempre, tuttavia una cosa è certa: dietro ad una bandiera o a un pezzo di carne, c’è una nobile causa, un ideale, un qualcosa per cui vale la pena di fare scelte radicali. Moriamo per troppo avere, per troppo carrierismo, per troppo eccesso di superfluo, e poi mettiamo in dubbio l’eroismo di chi si sacrifica per nobili ideali?
La testimonianza trascina
Da ultimo, certi gesti eroici sono di grande esempio, fanno riflettere, trascinano, sono un pugno nello stomaco di chi fa della vita una noia mortale. L’eroismo è segno che qualcosa non va nella società. Dobbiamo perciò prenderlo come un esame di coscienza, e non tirare diritto per la nostra strada, borbottando: è gente matta! In questo modo, non ci accorgiamo di essere complici di quel potere che fa di tutto per toglierci l’essere.
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