«Le chiese svuotate dal Covid? Ripartiamo dall’essenziale»

Mi è sempre difficile leggere questo tipo di interviste, che so già quanto dicano nulla, o quasi. Parole buttate al vento!
Si parla di essenzialità, e già metto in conto un elenco di cose da fare o da tralasciare, senza mai arrivare al nocciolo del vero problema.
Essenzialità!
Un parola tornata di moda, per riempirsi la bocca e per riempire la bocca dei soliti allocchi con qualcosa di effervescente.
Ma questi vescovi, vuoti dentro, che cosa vorrebbero proporre alle comunità cristiane di oggi?
Parole, parole, parole…
Non aggiungo altro.
Sarebbero parole inutili!
***
da AVVENIRE
23 agosto 2021
Settimana liturgica.

«Le chiese svuotate dal Covid?

Ripartiamo dall’essenziale»

Giacomo Gambassi
Da oggi a giovedì a Cremona. Parla il vescovo di Castellaneta, Claudio Maniago, presidente del Centro di azione liturgica
La pandemia ha svuotato le chiese in Italia? La domanda tiene banco da qualche mese. Ed è entrata nella discussione sul “gregge smarrito” a causa del Covid. «La vitalità di una comunità cristiana non si misura solo con i numeri. Ma è oggettivo l’effetto sulle nostre parrocchie dell’emergenza sanitaria che è stata segnata, e in parte lo è ancora, dal lockdown, dal distanziamento fisico, dalla limitazione degli spostamenti, dalla paura», spiega il vescovo di Castellaneta, Claudio Maniago. E subito aggiunge: «Quando la celebrazione eucaristica diventa un’esperienza marginale, deve suonare il campanello d’allarme. Ecco perché la ripartenza ecclesiale non può che avere al centro ciò che è essenziale, a cominciare dal celebrare insieme il giorno del Signore».
Maniago è il presidente del Centro di azione liturgica (Cal) che quest’anno torna a organizzare la Settimana liturgica nazionale dopo lo stop imposto dal coronavirus nel 2020. Mai dal 1949, ossia da quando l’organismo si è costituto in modo formale, l’appuntamento annuale di approfondimento si era fermato. Da oggi a giovedì si terrà l’edizione numero 71 che avrà come cornice la Cattedrale di Cremona. A fare da filo conduttore il tema «“Dove sono due o tre riuniti nel mio nome”. Comunità, liturgie e territori».
«Un titolo scelto ben prima del dilagare della pandemia, che abbiamo voluto riproporre a Cremona, una delle città epicentro della prima ondata – afferma il vescovo –. Letto con gli occhi di oggi, il tema è un invito a riflettere sulla ripresa del cammino nelle comunità e nell’intera Chiesa italiana. La citazione del Vangelo di Matteo, “Dove due o tre sono riuniti…”, va considerata uno stimolo a ritrovarsi insieme con il Signore dopo un tempo di distanziamento forzato che è stato prima di tutto fisico ma anche esistenziale. Sentirsi una sola cosa grazie all’Eucaristia è fonte di consolazione, ma è anche impegno a un vita nuova che deve avere una sua dimensione sociale e civile».
La Settimana 2021 è caratterizzata da una novità: oltre agli incontri in presenza, sarà possibile seguire online le liturgie e le relazioni. «Vogliamo sfruttare le possibilità offerte dalla tecnologia che abbiamo utilizzato anche durante la pandemia con creatività pastorale – sottolinea Maniago –. Così intendiamo essere di supporto alle parrocchie allargando la “platea” e cercando di raggiungere più persone del solito».
Eccellenza, la crisi Covid ha assottigliato la partecipazione alle Messe, soprattutto della domenica. Che cosa fare?
Non possiamo soffermarsi unicamente sull’aspetto contabile. Per precise indicazioni di carattere sanitario, le presenze si sono diradate. Addirittura la parte più fragile della nostra gente è stata esortata a non uscire di casa per evitare pericoli: mi riferisco in particolare agli anziani. Quando le celebrazioni pubbliche sono riprese, dopo la sospensione dello scorso anno durata alcuni mesi, diverse persone non sono tornate: vuoi perché erano soggetti a rischio; vuoi per i timori del contagio; vuoi perché qualcuno, vivendo una relazione più labile con il momento celebrativo, ha ritenuto di astenersene o di seguirlo con i mezzi di comunicazione. Tutto questo deve interrogarci e tradursi in una domanda: davvero le comunità hanno consapevolezza di quanto sia fondamentale la domenica vissuta intorno alla mensa eucaristica? Poi occorre anche ragionare su un salto di qualità necessario in ordine all’annuncio della Parola e alla catechesi.
Si avvertono ancora i riflessi del blocco delle Messe a porte aperte?
È stato un momento scioccante, di dolore. Anche le soluzioni escogitate non potevano rispondere a quello stile celebrativo che ci ha consegnato il Concilio e che implica una partecipazione attiva. Ogni volta che siamo privati di beni essenziali, ne dovremmo riscoprire l’importanza. Ecco, ora che si è tornati a celebrare in presenza, siamo chiamati a vivere le Messe con una modalità nuova, più coinvolgente e attenta, per farne davvero il cuore della vita personale e comunitaria.
Il nuovo Messale può aiutare?
La terza traduzione in italiano del libro liturgico è arrivata sugli altari mentre stavamo attraversando un frangente complesso, marcato da limitazioni e misure di contenimento. Ma come non ritenere tutto questo un segno? Il Messale rinnovato è un richiamo a riappropriaci della bellezza della celebrazione dopo che abbiamo sofferto per la sua mancanza.
Chi va a Messa oggi? C’è uno sbilanciamento fra presenze o assenze di bambini, giovani, adulti e anziani?
Le nostre assemblee diventano significative quando si manifestano nella loro variopinta ricchezza che è prima di tutto intergenerazionale. Le liturgie devono incontrare tutte le fasce d’età. Non possono mancare gli anziani che sono un tesoro per la società e per la Chiesa, come ci ha ricordato papa Francesco con la Giornata mondiale dei nonni. Non possono mancare i ragazzi che durante la pandemia sono stati tenuti in famiglia per ragioni di sicurezza. Non possono mancare gli adulti: e la loro assenza deve incalzare la parrocchia a offrire una visione e una testimonianza più comprensibile della proposta cristiana. Se qualcuno non c’è, l’assemblea domenicale diventa “zoppa” e non è più il segno eloquente del popolo di Dio.
Si stanno affermando nuove forme di comunità. Basta con la parrocchia di appartenenza: ognuno si sceglie la propria?
Non siamo al supermercato dove ciascuno opta per il prodotto preferito… Il magistero dei Papi e i documenti dell’episcopato italiano riconoscono la centralità della parrocchia che è casa di tutti e riferimento sul territorio. Ma ci sono ambiti non toccati dal nostro agire, che hanno bisogno di essere evangelizzati. Inoltre le assemblee domenicali stanno cambiando fisionomia. Sono espressione di nuove aggregazioni sul territorio e accolgono anche nuove presenze: penso ai migranti che con le loro tradizioni ci arricchiscono. Di fronte a queste mutazioni, non servono invenzioni strane ma una cura pastorale che mostri con semplicità e dignità come la liturgia sia espressione della Pasqua del Signore.
Si diffondono le unità pastorali. Funzionano anche a livello liturgico?
Siamo di fronte ad approcci nuovi che si palesano in diverse parti del Paese. Si tratta di forme di collaborazione fra parrocchie limitrofe dovute a molteplici fattori: non ultimo la mancanza della possibilità di avere un sacerdote per ogni campanile. Le comunità pastorali sono un cantiere ed è urgente studiare come assicurare l’indispensabile fonte eucaristica anche nelle realtà più piccole facendo crescere lo spirito di corresponsabilità di ogni battezzato.
Meno Messe, più Messa: il motto vale ancora?
Ciò che conta è che le celebrazioni siano ben curate in modo che l’assemblea si senta partecipe. Perché stiamo parlando della fonte e del culmine della vita cristiana.

2 Commenti

  1. Luigi Egidio ha detto:

    La fede in Dio o in Cristo nasce da una relazione che può portare all’Unione mistica ben descritta da Angelus Silesius nel Viandante Cherubico: “Seppure Cristo nasca mille volte a Betlemme ma non in te, tu resti perduto per l’eternità”. Quello che capisco io è: “Sarai un uomo del tempo, un carnale come dice don Giorgio, ma non un uomo spirituale”. C’è il corpo con la sua biologia, la sua zoologia e la sua psicologia che sono legati al tempo, ma manca la spiritualità che è legata all’eterno. Per i greci l’eterno è l’immortale. Per altri popoli hanno altri nomi come per gli indiani d’America è il Grande Spirito o Grande Mistero o Manitou, Wakan Tanka, Orenda. Don Giorgio calca molto sulla carnalità nemica dello Spirito. Nelle Chiese è lo Spirito che manca. Per questo è bastato il Covid per farle svuotare ancor di più. Parlare di essenzialità senza sapere cosa sia è come parlare di astronomia senza conoscere la fisica degli astri. Ripeto il motto di Socrate che può valere anche per i vescovi con una mia aggiunta: “Siate umili e ammettete che anche voi sapete di non sapere”. Solo così può nascere in voi quella fede in Dio e in Cristo che avete perso.

  2. simone ha detto:

    Di solito contesto i vescovi per la loro tiepidezza stavolta era certamente meglio starsene zitto.
    Il problema è quanti vanno a Messa e dove vanno a Messa?
    Fà veramente ridere questo discutere.
    E si pensa che il nuovo messale, che altro non ha fatto che cambiare qualche parolina per generare un pò di confusione (vedi la rugiada dello Spirito), possa risolvere il problema di Fede della gente?
    Qui non siamo in TV che basta inventare un format attraente e la gente torna, qui si parla di vita, di anima di ciò che dovrebbe essere essenziale per una persona. O ci credi o è inutile che partecipi. Cosa vai a fare a vedere un bello spettacolo?
    Purtroppo la gente non crede più e ancor peggio pensa, con i soldi, l’intelligenza e la superbia di potersi sostituire a Dio in tutto.
    La domanda è quanti ancora sentono il bisogno di una relazione con Dio?
    Questa è la vera domanda e non la risolvi con una bella liturgia.

    Vera l’espressione di don Giorgio: vuoti dentro!
    Lo dimostrano costantemente; vogliono risolvere i problemi di Fede con qualche modifica rituale: segno che c’è un vuoto spaventoso dentro.
    Tutti i credenti e ripeto tutti, sono chiamati all’annuncio del regno di Dio. Questa è la missione che non passa da modifiche di forma ma da una testimonianza autentica.
    Ecco perchè le liturgie, che rimangono questione di pochi eletti, servono a poco. Avete bisogno di un pubblico numeroso per sentirvi appagati, allora non avete capito niente. Il Vescovo, il prete dovrebbe osservare il popolo che loda, che prega il proprio Dio nella liturgia della Messa. Non usarla come palcoscenico personale per sentirsi appagati. Il pastore dovrebbe appagarsi nel vedere la Fede autentica del popolo, non dalle sontuose incensazioni.
    E poi la chiarezza nel pensiero e nell’obiettivo. Non le solite prediche spettacolari o ingegnose per stappare qualche elogio post celebrazione ma che non servono a niente. Il prete deve condividere ciò in cui crede con franchezza e mettere in faccia a tutti la sua Fede che possa essere sostegno per molti.
    Quando vado ai funerali rimango sempre scandalizzato. Son diventati l’occasione per elogiare il defunto per il poco o tanto bene compiuto. In realtà dovrebbero essere l’occasione per affermare tutti insieme che noi crediamo nella vita eterna, che noi crediamo che il corpo deperisce ma l’anima rimane ed è unita al Padre. Quel defunto vive col Padre e intercede e accompagna ciascuno di noi.
    Chi le dice più ste cose? Ti spiegano i segni rituali ma non ti comunicano l’essenza e ti vien da pensare che forse non ci credono nemmeno più loro.

    Ripeto il problema non è il numero dei fedeli ma l’impegno nell’annuncio ai fratelli. Questo tempo freddo è il risultato di un annuncio tiepido. Confusione, vuoto, eccessivi moralismi. Manca il fuoco, la libertà e la franchezza nel testimoniare ciò in cui si crede.
    I convegni liturgici servono giusto per pochi fanatici che hanno tempo da perdere….ma nessuno riscopre Dio da una bella celebrazione; forse da una bella predica; più probabilmente da una coerente testimonianza.

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