Omelie 2018 di don Giorgio: QUARTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE

23 settembre 2018: QUARTA DOPO IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
1Re 19,4-8; 1Cor 11,23-26; Gv 6,41-51
Il primo brano parla ancora del profeta Elia, uno dei profeti biblici più popolari. Di lui parlano solo i fatti: Elia non ci ha lasciato degli scritti, come ad esempio Isaia, Geremia, Ezechiele, ecc. Lo conosciamo tramite i due libri dei Re.
Elia, profeta tutto d’un pezzo, ma…
Diversi sono gli aspetti di Elia, in particolare due: da una parte, notiamo la sua incrollabile fede nel Dio assoluto degli ebrei (il suo nome è già emblematico: Elia vuol dire “il mio Dio è Jahve”), e dall’altra la sua umanità tanto determinata nell’opporsi all’idolatria, quanto fragile al punto di chiedere di morire (ce lo rivela il primo brano della Messa di oggi).
Elia ebbe a che fare con una regina, Gezabele, moglie del re Acab, tanto perfida quanto scaltra, che fece di tutto per introdurre nel regno di Israele le divinità della sua patria d’origine: era figlia del re di Tiro. Indusse il marito ebreo Acab ad adottarle. Pertanto Baal e Astarte ebbero in Samaria i loro templi. È la stessa regina che ha fatto ammazzare Nabot, al solo scopo di accontentare un capriccio di suo marito, che si era innamorato della vigna, unica proprietà del suo vicino. La regina fece sì che tutti gli anziani di quella città diventassero complici dell’uccisione di un innocente.
Due osservazioni
A proposito di questo omicidio, vorrei fare due osservazioni. Anzitutto, forse non ci rendiamo neppure oggi conto di quanto siano perversi i giochi di potere. Si accontenta una parte politica pur di ottenere, in compenso, un’altra cosa, magari perversa. E tutto sul piano di una rivendicazione di favori o di interessi che non vanno certamente a beneficio della comunità.
Certo, i compromessi fanno parte del mondo politico di sempre. Essi vengono diplomaticamente chiamati mediazioni. Sembra che senza compromessi (o mediazioni) non si possa governare un paese. Ma mi chiedo che cosa s’intenda per bene comune. Non è forse quel bene migliore che dovrebbe costituire l’ansia, la preoccupazione e gli intenti di ogni governante? Direi di più. Per bene comune non s’intende solo un qualcosa di puramente materiale: pensate anche solo ai nostri piccoli paesi, amministrati, nel migliore dei casi, da gente a cui preme un certo sviluppo, ma poi se vi chiedete se vi sia nella testa dei nostri amministratori un’idea dell’insieme del bene del paese, credo che rimarreste delusi. È vero: siamo umani, ammetto anche i compromessi, ma, per gestire un paese in vista del suo vero sviluppo, umano e sociale, non si può mai perdere di vista il bene comune, che comprende ogni aspetto dell’essere umano, a partire dalla sua realtà interiore, ma in relazione a quell’Uno che armonizza il ben essere di ogni singolo.
Sempre a proposito della vigna sottratta a Nabot mediante un omicidio, come non ricordare il commento del nostro grande patrono Sant’Ambrogio? Ha utilizzato questo testo biblico per denunciare i soprusi e le violenze dei più ricchi del suo tempo sui poveri, e dei potenti sui deboli. Cito alcune espressioni: «Non nacque un solo Acab, ma ogni giorno Acab nasce e in questo mondo giammai muore». «Non un solo Nabot fu ucciso. Ogni giorno Nabot è umiliato. Ogni giorno è calpestato».
Elia decide di lasciarsi morire
Dopo che Elia aveva sfidato i profeti di Baal (450, dice l’autore sacro) e li aveva fatti uccidere, Gezabele montò in furore e cercò di porre a morte il profeta Elia, ma questi fuggì nel regno di Giuda, cioè nella parte meridionale, quindi in una zona fuori del regno della regina.
Il profeta si fa prendere da un grande scoraggiamento: è solo, si sente abbandonato dal suo stesso Dio. Ma c’è un aspetto interessante, che non andrebbe dimenticato. Solitamente diciamo: Dio mi ha abbandonato. Lo ha detto anche Gesù sulla croce. Ma forse bisognerebbe rivedere la solitudine del profeta, solitudine che ha provato lo stesso Cristo. E partendo proprio da Cristo, direi che la sua solitudine l’ha sofferta man mano che si avvicinava alla sua morte, nel toccare con mano l’abbandono della folla e dei suoi stessi discepoli. Aveva forse speso tre anni nella inutilità di un messaggio che nessuno voleva capire?
Ecco: la sofferenza del profeta è quella di chi si sente solo, tra una folla che lo ignora o lo combatte. Forse la cosa che ferisce di più è l’indifferenza: “parla pure, tanto non ti ascoltiamo, sei solo, sei nessuno, non conti nulla!”.
Elia piace di più nei suoi aspetti umani, dove la fragilità sembra prevalere sul personaggio, sull’interprete di un Dio potente e vendicativo. Chissà quante volte Elia si sarà chiesto: “il mio Dio è Jahve”, ma quale Jahve?
E decide di lasciarsi morire. Ma un angelo gli offre acqua e cibo, perché continui il suo cammino verso il monte di Dio, l’Oreb. Si sarà anche chiesto: perché incamminarsi verso un monte, e a quale vantaggio? Perché poi fuggire dalla realtà, per la quale Jahve lo aveva costituito profeta? Aveva sfidato 450 profeti di Baal, e ora temeva le ire di una donna?
Pane e acqua
Nel pane che l’angelo del Signore offre al profeta scoraggiato e deciso a lasciarsi morire la Chiesa ha sempre visto un riferimento simbolico dell’eucaristia. E ci sta: tutto è simbologia, e non vedo perché non possiamo vedere in quel pane dell’angelo anche un riferimento all’Eucaristia, ovvero al pane vivo disceso dal cielo.
Più che di un cibo materiale che poteva nutrire il suo ventre, Elia aveva bisogno di qualcosa di ben più essenziale: ritrovare il suo essere interiore, là dove il Divino si fa uno con il proprio spirito. Forse la sua lotta contro i falsi profeti della perfida regina gli aveva fatto perdere l’essenza del suo lottare: l’idolatria è sempre stata vista dagli antichi profeti come il tradimento dell’alleanza di quel Dio che si era definito: “Io sono colui che sono”.
Oggi per idolatria che cosa intendiamo? Non è tutto ciò che è contro l’essere in quanto tale? Idolatria deriva da “idolo” che significa immagine: un’immagine visibile di un manufatto umano. Siamo nel campo esteriore alla realtà del nostro essere.
La politica di oggi è idolatrica, la religione è idolatrica. E dove sono i profeti che siano la voce del Dio dell’essere?

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