Omelie 2015 di don Giorgio: Festa Sacra Famiglia

25 gennaio 2015: S. Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe
Is 45,14-17; Eb 2,11-17; Lc 2,41-52
Anche la Festa in onore della Sacra Famiglia di Nazaret ha subìto diversi cambiamenti di data. Era celebrata sin dal XVII secolo, ma solo localmente. Leone XIII nel 1895 fissò la data di celebrazione alla terza domenica dopo l’Epifania. Nel 1921 Benedetto XV la estese a tutta la Chiesa, stabilendola alla domenica compresa nell’ottava dell’Epifania; Giovanni XXIII la spostò alla prima domenica dopo l’Epifania. La riforma liturgica del Concilio Vaticano II l’ha spostata alla prima domenica dopo il Natale. Nel nostro Rito Ambrosiano, viene celebrata l’ultima domenica di gennaio.
Come è difficile trovare una motivazione teologica per la data celebrativa della Sacra Famiglia, così non è del tutto immediato cercare un collegamento tra i tre brani della Messa.
Il primo è tolto dal libro di un anonimo profeta vissuto negli anni successivi al 538 a.C, quando il re persiano Ciro, vinti i babilonesi, aveva permesso agli ebrei esuli di tornare nella terra dei padri, abbandonata nel 586 a.C., al momento della distruzione di Gerusalemme. Infatti, qualche versetto precedente al brano di oggi, il profeta parla di Ciro come di un salvatore che, a sua insaputa, era stato incaricato da Dio per ricostruire la città santa, Gerusalemme, e riportare Israele nella sua patria.
Il brano di oggi si apre con una esplicita dichiarazione anti-idolatrica: il Dio d’Israele è l’unico signore assoluto. Non vuole altre divinità. Subito dopo, c’è una affermazione fortemente suggestiva. Diversamente da una concezione di Dio, che agisce come protagonista indiscusso della storia, che interviene sempre in modo decisivo e clamoroso, ecco invece un Dio che si nasconde dietro gli eventi, operando in modo segreto e misterioso. Per scoprire le sue orme, occorrono non i sensi sviluppati, ma una profonda fede interiore, quella che sa vedere al di là delle apparenze. Qui mi è facile agganciarmi anche alla vita nascosta della fanciullezza e della giovinezza di Gesù. Conosciamo solo un episodio, in cui Gesù parla e si confronta con i suoi genitori. È il brano della Messa. Gesù aveva dodici anni.
Prima di commentare il brano di Luca, vorrei aprire una breve parentesi sugli anni di silenzio di Gesù a Nazaret. Non so se qualche volta vi sarete chiesti: diciamo che il Figlio di Dio si è come scomodato incarnandosi in questo nostro povero mondo, e perché per la maggior parte della sua vita (circa trent’anni) è rimasto senza far nulla di particolare? Potremmo porci anche un’altra domanda: non poteva poi rimanere più a lungo, invece che morire a trentacinque o trentasei anni? È un mistero: difficile comprendere i disegni di Dio.
In ogni caso, ci sono stati santi, che hanno attinto la loro spiritualità proprio agli anni di vita nascosta di Gesù a Nazaret. Uno tra tutti, Padre Charles de Foucauld (Fratel Carlo di Gesù), ed è su questa spiritualità del silenzio che, dopo la sua tragica morte nel deserto del Sahara, sono sorte diverse congregazioni religiose, tra cui “I Piccoli Fratelli” e “Le Piccole Sorelle di Gesù”.
Passando ora a commentare il Vangelo della Messa, mi sembra di poter dire che, proprio perché rompe il silenzio degli anni passati a Nazaret, il brano acquisti un significato ancora più grande.
Un episodio, che proietta una luce del tutto particolare sulla futura missione pubblica di Cristo. È come se Gesù avesse messo le mani in avanti, facendo capire ai suoi genitori che era venuto sulla terra per obbedire anzitutto al disegno del Padre Celeste. Ha preso subito le distanze da Maria e da Giuseppe. Gesù dodicenne si è come svincolato dalla loro protezione, compiendo un vero atto di disobbedienza, per rivendicare la propria autonomia. È vero che, alla fine del brano, sembra che Luca voglia rimettere tutte le cose a posto. Quando tornò a Nazaret, Gesù “stava loro sottomesso”. Ma Maria e Giuseppe non avranno dimenticato tanto facilmente la lezione che il figlio dodicenne aveva impartito a loro nel Tempio di Gerusalemme.
Oggi la liturgia della Chiesa celebra la Sacra Famiglia di Nazaret, ma forse dimentica di dirci che era una famiglia del tutto eccezionale, non certo un modello per le normali famiglie, composte di padre, madre e figli. Gesù era figlio di Maria e dello Spirito santo, e non aveva un padre naturale. Giuseppe era solo padre putativo. Gesù poi era figlio unico. Già questo dice tante cose, e non certo è di sostegno alla Chiesa che benedice le famiglie numerose. Ci vuole un bel coraggio a predicare che la famiglia di Nazaret va imitata. Essa è fuori di ogni regola.
Sì, è vero, la Chiesa parla delle virtù della Famiglia di Nazaret, indipendentemente dalla sua eccezionalità di fondo. Ma, guarda caso, la Chiesa privilegia la virtù dell’obbedienza dei figli ai loro genitori. Anzitutto, obbedienza al “pater familias”. Ma ecco la vera domanda: come intendere l’obbedienza?
L’episodio del Vangelo ci aiuta a capire come intendere l’obbedienza, in famiglia e anche fuori famiglia, nei riguardi ad esempio dei superiori, dei governanti, delle leggi, ecc. L’obbedienza è sempre stata la forza del potere. Senza obbedienza, il potere non dura. Chi disobbedisce, viene punito. Questo succede non solo nel campo civile, ma anche nel campo ecclesiale. Prima virtù per la Chiesa è l’obbedienza. Ed è l’osservanza dell’obbedienza il primo criterio per canonizzare i santi.
Ci rendiamo conto che l’episodio di oggi ha come protagonista un ragazzino, di dodici anni, che già rivendica la propria autonomia, appellandosi al volere del Padre Celeste e contestando così il volere dei genitori terreni? «Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio»? “Non sapevate”: è un preciso rimprovero. Dovevano saperlo! Ma, scrive Luca, Maria e Giuseppe «non compresero ciò che aveva detto loro».
Pensate al dramma: obbedienza-coscienza! A chi obbedire anzitutto: alla legge, al potere oppure alla propria coscienza? E per privilegiare la legge, la Chiesa tirava sempre in ballo la volontà di Dio, come se Dio mettesse da parte quella coscienza, che non è altro che la voce della sua presenza interiore. Ancora oggi, si sente parlare di volontà di Dio, con cui si vuole consacrare ogni volere umano, reprimendo così la voce interiore della coscienza.
Ma come si può, nelle parole di Gesù dodicenne che rivendica la propria autonomia dai genitori terreni, non cogliere quel dovere-diritto, insito nell’essere di ciascuno di noi, che si chiama libertà di coscienza? Ma che cos’è la coscienza? È il riflesso misterioso di Dio, che è in noi. Questo riflesso non è proprietà di nessun altro, all’infuori di Dio. Ho parlato di “dovere-diritto”, facendo precedere la parola “dovere” al “diritto”. Siamo così, creati così. Il diritto viene da qui: dal nostro “essere” a immagine e a somiglianza divina.
Qui non c’entra neppure la religione: la religione, casomai, dovrà aiutarmi a cogliere il meglio di ciò che siamo, senza imporre nessuna legge dall’esterno.
I diritti, così tanto sbandierati oggi, in ogni campo, pretesi dagli stessi bambini appena iniziano a parlare, non hanno senso, se non sono fondati sui doveri. Ma i doveri non sono a loro volta imposti dall’esterno. Il dovere risiede nel nostro essere più profondo. Il dovere è lo stesso essere umano.
Cari genitori, state attenti quando educate i figli: educare (deriva dal latino “e-ducere”, condurre fuori) non significa imporre dal di fuori. In ogni essere umano c’è quell’autonomia che va rispettata. Ognuno di noi è un qualcosa di irripetibile. Non si devono educare i figli imponendo loro le nostre idee o i nostri desideri o i nostri sogni. Il che non significa lasciarli andare dove vogliono. Vanno aiutati a crescere, rispettando però ciò che ciascuno “è”. Educare perciò è un compito difficilissimo. Sarebbe molto più facile imporre.
Se Gesù avesse rivendicato la propria autonomia da grande, ciò sarebbe stato scontato. Nessuno ne avrebbe parlato. Averlo fatto a dodici anni, non può che farci riflettere. Il problema grave è che, da adulti, forse non abbiamo ancora intuito il valore dell’autonomia interiore, di quel nostro essere profondo, dove solo Dio può dire la sua parola.

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