da AVVENIRE
24 agosto 2020
Lutto.
Addio ad Arrigo Levi.
«Il privilegio di lavorare con un maestro»
Paola Severini Melograni
Ebreo, giornalista, uomo di 4 Paesi. Un solo mestiere: raccontare. Il ‘900 non solo lo ha descritto ma lo ha anche vissuto, e in maniera rocambolesca
Zikhronah livrakha: il suo ricordo sia una benedizione.
È il saluto dei defunti in Ebraico ed è davvero adatto ad una personalità come Arrigo Levi che è stato una benedizione per tutti coloro che lo hanno conosciuto e che hanno potuto apprezzare il suo lavoro. Se ne è andato questa notte a 94 anni nella sua città, a Modena, dove era nato e dalla quale era dovuto fuggire a causa delle leggi razziali a soli 16 anni. Ci lascia un modello di giornalismo (come dovrebbe essere) insieme a 26 libri, 4 lingue, 4 paesi, 4 talenti diversi, un solo mestiere: raccontare. Essere sua amica, poter lavorare insieme a un Maestro così, dagli anni 90 fino al nostro ultimo colloquio (che potete ascoltare scaricandolo dal podcast di Radio Raigr Parlamento del 9 luglio 2016 ) è stato un privilegio.
Levi il ‘900 non solo lo ha descritto ma lo ha anche vissuto, e in maniera rocambolesca: in Argentina da ragazzo e poi nella guerra dei 6 giorni in Israele, come soldatino (era lui a definirsi “soldatino”con tenerezza), subito dopo il programma “radio londra” della BBC, poi, negli anni 60, a Mosca, vivendo la crisi di Cuba, e nuovamente in Italia, stavolta in tv, dal 66 fino al 68 alla Rai (primo giornalista in “conduzione”, rivoluzionando perché fu il primo giornalista a sostituire gli “annunciatori”) per tornare alla carta stampata, e diventare nel 73 direttore della Stampa, e dal 98 al 2013 consigliere per la comunicazione del Quirinale con i presidenti Ciampi e Napolitano.
Un “Paese non basta” (dal titolo del suo libro del 2009 che è il mio preferito), ma una vita non basterebbe per descriverlo e lui di vite ne ha avute molte. Ricordo con nostalgia i suoi caffè al Quirinale quando mi invitava per confrontarsi con una giovane collega sulla situazione in Italia, sul cambiamento del mondo della comunicazione e della politica. Lavorare sul Colle più alto è motivo di orgoglio per ogni giornalista ma a volte può creare un distacco con la vita reale: e lui voleva invece essere sempre informato di quello che accadeva nel mondo e soprattutto in uno dei “suoi Paesi,” quello chiamato Italia, perché la prima dote di un bravo cronista è la curiosità. Era un grande onore per me ma in realtà ero io ad ascoltare lui che faceva finta di interpellarmi!
I Paesi di Levi: Argentina, Gran Bretagna, Israele “il nostro (Italia, ndr) è un paese piuttosto speciale. Io ho girato tanto il mondo, in diversi periodi mi sono sentito inglese, israeliano, in altri argentino ma il mio Paese è l’Italia come il mio essere Ebreo è stato parte della mia vita! in vari momenti mi pesava ma, in fondo, non ha mai cambiato il mio modo di vedere il mondo” e ancora “un giornalista è protagonista perché se tu racconti quello che succede sei tu in prima persona e devi sapere raccontare e devi avere una storia alle spalle che ti permette di capire e di cercare di spiegare il mondo come è”.
Ho conosciuto tanti colleghi importanti, tanti direttori, tante firme eccellenti e succedeva che alcuni giovani chiedessero a queste persone, protagoniste del mondo dell’informazione, un incoraggiamento per affrontare il mestiere di giornalista e ricevessero sempre la stessa risposta “ma come ti viene in mente, chi te lo fa fare, ormai non c’è più motivo né interesse nel fare giornalismo, con internet (che Levi non usava…) tutti sono giornalisti”. Invece lui no, anche nell’ultima nostra chiacchierata dichiarava: “È il più bel mestiere, lo raccomando”.
E ancora: “Io ho fatto il direttore, ma il direttore non è un essere sovrumano, è un giornalista, uno che racconta. Almeno io così l’ho vissuto, non come una storia speciale”.
Essere ebreo, per quanto laico, rappresenta un’eredità impegnativa che richiede un lavoro continuo di testimonianza. Arrigo nel suo percorso umano e professionale ha sempre cercato quello che possiamo definire l’anelito di giustizia, per gli ebrei infatti, assistere gli altri, occuparsi dei destini degli altri è un dovere, non una possibilità (hiddur mitzwà); la parola carità in ebraico non esiste ma esiste zedaqà che potremmo tradurre con giustezza, bontà e rettitudine, che potremmo tradurre con: Arrigo Levi.
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