Omelie 2023 di don Giorgio: PRIMA DI QUARESIMA

26 febbraio 2023: PRIMA DI QUARESIMA
Is 58,4b-12b; 2Cor 5,18-6,2; Mt 4,1-11
Arriva l’Avvento, e magari si fanno mille propositi per viverlo intensamente in attesa del Mistero di quel Figlio di Dio, o Logos (usando un termine caratteristico, ripreso dal mondo antico greco, che anche Giovanni usa nel Prologo del quarto Vangelo), che si è incarnato, senza magari aver mai doverosamente approfondito il vero motivo per cui è venuto a “porre la sua tenda in mezzo a noi” (è questa la traduzione letterale del verbo greco “eskenosen”, “piantò la tenda”: richiama il tabernacolo nel deserto, in cui Dio abitava: nella versione CEI si legge “venne ad abitare”), ma da chiarire è quel “in mezzo a voi”, come se fosse sempre qualcosa di esteriore, così come è stata intesa l’espressione di Gesù: “Il regno di Dio è in mezzo a voi”. Non sarebbe ora di specificare che “in mezzo a voi” andrebbe tradotto con “in voi”, nel vostro essere più profondo?
Arriva la Quaresima, e per una seconda volta, dopo i bollori o i fumi del carnevale, noi credenti facciamo magari altri mille propositi per viverla intensamente, anche se tutto riduciamo a qualche pratica rituale (via crucis) o a qualche fioretto o rinuncia al superfluo, da riprendere subito dopo il tempo quaresimale.
Eppure, la Liturgia con saggezza pedagogica parla di due momenti o periodi “forti”, ovvero da vivere intensamente nella Fede, al di là di qualche rito o di qualche pratica religiosa.
L’etimologia della parola “quaresima” è da ricondursi al latino “quadragesima”, forma femminile di “quadragesimus dies”, quarantesimo giorno.
Che significa? Richiama il quarantesimo giorno dopo l’inizio dei 40 giorni o lo stesso periodo che dura appunto quaranta giorni o sei settimane? Non è la stessa cosa: se noi non teniamo ben fisso lo scopo, ovvero il quarantesimo giorno, che è l’inizio del Triduo pasquale, con cui si celebrano i grandi Misteri pasquali (passione, morte e risurrezione di Cristo), a che serve vivere quaranta giorni anche con digiuni e preghiere intense?
Come l’Avvento dovrebbe preparare lo spirito dei cristiani a vivere il Mistero natalizio, così la Quaresima dovrebbe prepararli a vivere intensamente il Mistero pasquale.
Tutto sta dunque nelle parole: “forte”, “intenso”, e soprattutto “fede”.
Tutto è in funzione di una “conversione interiore”, il che significa: purificare lo spirito. In che senso? Ogni rinuncia corporale o carnale non è fine a se stessa, ma in funzione di una purificazione spirituale, che comporta una spogliazione tale che il nostro essere interiore si possa unire allo Spirito divino.
E lo ripeto fino alla noia: il distacco, come l’intendevano i grandi Mistici medievali, a partire da Meister Eckhart, tenendo anche conto di ciò che aveva già scritto Plotino, un pagano neoplatonico del II sec. d.C.: “Spogliati di tutto”, con questo preciso chiarimento: se vuoi scoprire la tua vera immagine interiore, come fa lo scultore che toglie dal marmo tutto ciò che non serve per arrivare alla statua che ha in mente di realizzare, ebbene, ripeto, il distacco è in vista, unicamente in vista della Generazione divina in noi: ovvero, Dio nasce e rinasce nel nostro essere, quando però il nostro spirito si purifica, togliendo ogni peso o quel di più che non permette allo Spirito divino di occupare quel vuoto che noi facciamo con il distacco.
Già gli antichi profeti parlavano chiaramente a proposito anche dei digiuni o delle pratiche religiose. Abbiamo sentito il primo brano: basterebbe questo per rifletterci sopra per la prossima intera settimana, e oltre.
«Non digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso. È forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica? Piegare come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo vorresti chiamare digiuno e giorno gradito al Signore? Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?». Fermiamoci qui.
Che significa: “sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?”.
Certo, pensando a quei tempi e anche al tempo di Gesù, e oltre, per altri secoli e forse millenni, la schiavitù era una cosa indegna di un popolo civile. Pensate al popolo romano, la cui struttura sociale e politica era fondata proprio sugli schiavi, e ci penserà il Cristianesimo a far saltare quella mastodontica struttura in nome di quei principi di uguaglianza e di fratellanza, che erano il cuore della Buona Novella. Perché l’Impero romano ha perseguitato anche duramente i cristiani? Forse avevano inventato una nuova setta? Forse perché partecipavano alla Messa o facevano le opere pie? Nemmeno per sogno! Il vero motivo era che essi predicavano l’uguaglianza e la fratellanza di tutti.
Ma attenzione: non fermiamoci come al solito all’aspetto solo sociale e politico, che ha una sua innegabile importanza, ma nel messaggio di Cristo c’era, c’è, qualcosa di più.
Cristo, rifacendosi anche agli antichi profeti, è venuto a dirci che le vere catene sono quelle che ci legano dentro di noi, catene da sciogliere se vogliamo sentirci veramente liberi. Spesso mi chiedo: a che servirebbe da schiavo diventare libero, se poi rimanessi ancora schiavo di dentro? A che servirebbe dare un pezzo di pane a un affamato o un posto di lavoro o una casa, se poi lo lasciassi in balìa di quell’avere che, se non è ben governato, porterà quel disgraziato a una rovina peggiore?
Non guardatemi male, se dico queste cose! Allora non avete capito il brano delle tentazioni di Cristo, che la liturgia ci ripresenta proprio oggi, all’inizio della Quaresima!
Scrive Matteo: «Il tentatore gli si avvicinò e gli disse: “Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane”. Ma egli rispose: “Sta scritto: “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”».
Cristo moltiplicherà i pani per sfamare più di cinquemila persone. Ma perché l’ha fatto? Certo, era un caso di necessità: quella folla si trovava da giorni in un luogo isolato, venuta da luoghi diversi per ascoltarlo. Ma il vero intento di Gesù era di arrivare a parlare di un altro pane: “Io sono il Pane della Vita!”. E che cosa succede? Le folle non capiscono, gli stessi discepoli lo abbandonano, giustificandosi: “Questo linguaggio è duro!”.
E allora, che significano le parole con cui Gesù risponde alla provocazione del diavolo: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio»?
Certamente, la parola di Dio non nutre il corpo, che ha bisogno di un pane fisico, ma forse che siamo solo corpo?
E allora che cos’è la Quaresima: non è forse dare spazio allo spirito perché si nutra della Parola che dà la vita?

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