Quando muore un papa, succede di tutto…
L’EDITORIALE
di don Giorgio
Quando muore un papa,
succede di tutto…
Volentieri avrei fatto a meno di dire anche solo qualcosa della morte di papa Francesco, e tanto meno di parlare del “personaggio”.
Ma, costretto o tirato per i capelli dalla allucinante, anche se prevedibile, ondata mediatica che ne è seguita, appena alcuni attimi dopo la notizia della morte del Papa, non posso far finta di nulla, anche perché, con un linguaggio poco religiosamente corretto, mi hanno rotto le palle, sia per aver occupato ogni tv, sia per le ipocrite sperticate esaltazioni del “personaggio” Bergoglio, che non ha nulla a che vedere, anzi è una stridente oscena blasfema violazione di quel ”servus servorum Dei”, per cui il “personaggio” scompare, o dovrebbe liquefarsi nella umiltà più evangelica.
Già dire “sua santità” è una idolatria della persona, e, anche se le parole fossero riferite al ruolo, in quanto “vicario di Cristo in terra” (altra espressione da rivedere), credo che quelle parole sarebbero ora da eliminare, proprio per evitare quella specie di santificazione in terra che non penso fosse nel pensiero di Cristo.
Pensate già alla parola “protagonismo”, che significa etimologicamente “primo lottatore”, poi passato a indicare il “primo attore” sul palcoscenico di uno spettacolo teatrale. Cristo si è comportato diversamente, direi all’opposto, anche se, come sembrano dire gli Evangelisti, Lui, il Figlio di Dio, diede il più grande Spettacolo sul Calvario, appeso ad una Croce, da dove, mentre moriva in ogni suo ruolo terreno, effondeva il suo Spirito.
Eppure, da quando il Cristianesimo scivolò in una “setta” religiosa, dando ragione agli ebrei e ai pagani che tale, come “setta”, vedevano il nuovo fenomeno religioso, staccatosi dall’ebraismo, la tentazione del protagonismo contagiò ogni struttura gerarchica della Chiesa sempre più istituzionalizza, alla faccia del Pensiero originario di Cristo.
Il protagonismo, ovvero il sentirsi il primo attore, il capo supremo, un “deus” in terra, saltando la parola “vicario”, anche se lasciato sulle bolle pontificie per salvare la faccia, dietro quella maschera, appunto, che serviva al primo attore di rappresentare più parti, fece più danni alla Chiesa di Cristo di quanti essa ne fece con le guerre di religione o con l’Inquisizione.
Il protagonismo è un virus tipicamente religioso, perché nasce dall’idea che il gerarca incarni la stessa divinità. Eppure Cristo, come dice l’apostolo Paolo, si è svuotato del suo essere divino, per farsi uno di noi. Il che è del tutto impossibile, ma rende bene l’idea del fatto che Cristo non tanto si è fatto uno di noi, ma il “servo dei servi” di ciascuno di noi.
Quante volte Cristo ha condannato quel voler primeggiare dei suoi discepoli! Discutevano, così scrivono gli stessi Evangelisti, su chi fosse tra loro il primo, mentre, oscenità imperdonabile, il Maestro stava parlando della sua futura passione e della sua crocifissione.
«No!», mi sembra di sentire l’urlo di Cristo, «voi non dovete essere come i capi delle nazioni che comandano dall’alto del loro potere!».
Dal protagonismo è facile passare al peccato di idolatria, per quel sentirsi un personaggio che conta. E che la massa di devoti sia sempre tentata dall’idolatrare il proprio leader, tipico dei Movimenti ecclesiali, nessuno escluso, ciò non giustifica l’atteggiamento anche solo passivo di chi si lascia idolatrare o fa di tutto, anche indirettamente, per farsi idolatrare, e siamo nel campo ecclesiastico, capisco nel campo politico, anche se anche qui il protagonismo fa tremendamente male al bene comune.
La cosa assurda, oscena, blasfema è quando ci si sente protagonisti, anche in agonia poco prima della morte, o anche solo quando una malattia ci fa capire che, piccoli o grandi, ricchi o poveri, ignoti o famosi, poveri preti di campagna o sommi pontefici, siamo tutti precari come tutti i poveracci della terra.
Eppure, un papa dovrebbe sapere il giusto momento di farsi da parte, di ritirarsi, di proteggere con la privacy i suoi ultimi istanti, da non mettere in mostra per far sapere a tutti che lui, capo della Chiesa resiste fino in fondo, quasi un titano che sta combattendo con la morte, e vorrebbe sfidarla fino all’ultimo istante.
Siamo tutti servi “inutili”, l’ha detto Cristo, e, più di tutti, quanti hanno assunto ruoli o cariche per servire il regno di Dio, e se non puoi più servirlo, ritirati, lascia il posto a un altro, perché è il bene comune che lo esige. La nostra persona non conta nulla, è il ruolo che conta, ovvero servire il regno di Dio.
Vorrei aggiungere tutto quanto segue, quando un papa si è reso un personaggio, e muore, lasciando quel “vuoto”, e quale?, che la gente rimpiange, e si dispera idolatrando anche un cadavere.
Che ridicolo, oggi, postare in pubblico foto con il papa, tirar fuori ricordi personali, esaltarlo perché è d’obbligo farlo, è usanza farlo, è un rito farlo, è conveniente farlo.
Tutti in coda a venerare un morto!
Questa fede cadaverica quanto la odio!
Siamo servi inutili, la Chiesa per fortuna non sta in piedi per le doti di un papa, per le furbizie di un papa, per gli opportunismi di un papa, per papi che fanno di tutto per essere populisti…
Almeno una cosa chiedo a un papa: che sia autorevole nel suo modo di essere e di gestire, che mantenga il decoro in tutto. Nobile!
Sembrano passati i tempi dell’autoritarismo, ma oggi la voglia di comandare è rimasta, sotto forme di un populismo gretto, anche ridicolo, per di più contraddittorio.
Autorevolezza è quando Cristo parlava, non più seduto sulla cattedra degli scribi e farisei. La Parola è autorevole, e si è autorevoli quando la si serve nella sua radicalità o essenzialità.
Nobiltà da imparare alla scuola della Mistica speculativa medievale. Nobiltà d’animo, quando il distacco ha reso puro il proprio spirito interiore.
Autorevolezza e nobiltà, dove siete?
26 aprile 2025
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