26 luglio 2020: OTTAVA DOPO PENTECOSTE
1Sam 3,1-20; Ef 3,1-12; Mt 4,18-22
La parola del Signore era rara…
Nei tre brani della Messa troviamo una parola in comune, ed è vocazione, o chiamata.
Prima di soffermarmi a proporre qualche riflessione sulla vocazione, vorrei fare qualche considerazione in particolare su una frase che potrebbe sfuggire alla prima lettura.
L’autore sacro annota: “La parola del Signore era rara in quei giorni…”. Possiamo intendere queste parole anche nel senso positivo, ovvero che a quei tempi la parola di Dio fosse talmente rara da essere importante e preziosa, quasi una contestazione nei riguardi di quei periodi in cui c’erano falsi profeti che parlavano a vanvera.
La parola di Dio è unica, perciò rara da trovarsi, ed è così preziosa che non è un insieme di parole su parole. Quando Dio parla (è un modo di dire antropomorfico, cioè usando un linguaggio umano), vuole silenzio attorno, vuole silenzio dentro di noi. Parla il linguaggio dello Spirito, e lo Spirito non ama il rumore delle nostre parole.
Talora, lo dico anche con una certa amarezza, si fa fatica a trovare l’essenzialità della parola di Dio nei documenti ecclesiali, così pomposi, così dogmatici, anche freddi e scritti con un linguaggio non accessibile a tutti.
L’autore sacro aggiunge: “le visioni non erano frequenti”. Anche qui, forse una contestazione nei riguardi di certi visionari, che soprattutto oggi vanno di moda. Li troviamo dappertutto. In occidente come in oriente.
Non credo che Dio sia talmente generoso da distribuire i suoi privilegi ovunque, tanto più che Egli geloso della Verità, nel senso che non permette che ognuno interpreti a modo suo il Mistero divino.
Non ammetto e non accetto un certo protagonismo di chi si mette in cattedra al posto di Dio. Anche la parola cattedra, da qui cattedrale, dovrebbe essere il simbolo di una parola talmente autorevole da imporsi in quanto Parola di Dio, e non per il potere di chi la comunica.
E a proposito di visioni e di visionari, bisognerebbe fare attenzione: la Mistica medievale faceva a meno di quei fenomeni anche sensoriali che caratterizzavano soprattutto le donne mistiche. Commenta Marco Vannini, uno dei più grandi storici viventi di Mistica medievale: «La visione di Dio non è la visione dell’oggetto Dio, ma il modo di vedere di Dio, che l’uomo fa proprio. In questo senso uno dei testi più noti di Eckhart recita infatti: “L’occhio nel quale io vedo Dio è lo stesso occhio in cui Dio mi vede: l’occhio mio e l’occhio di Dio non sono che un solo occhio, una sola visione, una sola conoscenza, un solo amore”… Non occorrono perciò “rivelazioni” o “visioni” particolari, verso le quali anzi i grandi maestri nutrono un sano e salutare sospetto, perché è il quotidiano, il qui e l’ora, queste cose presenti di fronte a noi, a costituire il divino che si mostra al nostro sguardo, ovvero al nostro amore, e ciò avviene del tutto senza sforzo, appena ti distacchi da te stesso, ovvero dalla volontà propria».
Vocazione o chiamata
La parola “vocazione” deriva dal latino “vocare”, chiamare, a sua volta “vocare” deriva da “vox”, voce. Dunque, vocazione significa chiamata, e perciò mette in gioco la parola, con cui Dio affida a una determinata persona una missione del tutto speciale. Come non ricordare la vocazione anzitutto di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, i primi tre grandi Patriarchi o capostipiti del popolo ebraico, poi di Mosè, a cui il Signore aveva affidato l’incarico di liberare il popolo eletto dalla schiavitù, e così di Giosuè, ecc.? E non dimentichiamo la chiamata dei profeti. Così ha fatto Gesù chiamando alcuni pescatori a far parte del Gruppo dei Dodici apostoli.
Qui si pone subito una domanda: come Dio faccia sentire la sua voce?
La Bibbia parla di visioni, di sogni, attraverso anche intermediari celesti, come gli angeli.
Anche la Chiesa parla di vocazione, e intende anche qui una chiamata nel campo religioso ad essere un ministro o una donna consacrata per servire il Regno di Dio. Ultimamente, sento parlare di una vocazione non più specifica per alcune persone consacrate per una missione, ma che riguarderebbe ogni essere umano. Qui bisognerebbe soffermarsi più a lungo.
Credo che non basti allargare la vocazione ad ogni essere umano, se non comprendiamo in che cosa consista tale vocazione che riguarda ogni essere umano. E allora diciamo subito che la chiamata o vocazione è oltre una missione da compiere o un ruolo specifico da svolgere. Dobbiamo distinguere un incarico o un ruolo da ciò che si è chiamati dentro, che è la chiamata al Divino. Se mancasse la coscienza della chiamata interiore ad essere se stessi, la missione da compiere o il ruolo da svolgere sarebbe qualcosa di staccato, di esteriore, di carnale, e tutto si ridurrebbe a servire non il Regno dello Spirito, ma una religione vista nella sua struttura esteriore.
Vorrei dire di più. La missione o il ruolo interessano relativamente, ciò che conta è la vocazione interiore ad essere spirito nello Spirito. Ma questo non succede, non solo nella massa degli esseri umani, credenti e non credenti, ma tra coloro che si sentono chiamati a svolgere una certa responsabilità nel campo ecclesiale. E se la Chiesa parla di spiritualità, lo fa unicamente in funzione del proprio agire esteriore, dimenticando che tutto deve partire dalla scoperta del Divino che vi è in noi.
E credo che sia qui l’errore imperdonabile di una gerarchia tutta protesta all’esterno per servire se stessa, imponendo addirittura una obbedienza quasi cieca ai propri ministri, che così servono la struttura, e non il Divino che è l’essenzialità del proprio essere interiore.
Qui chiarisco per non essere frainteso. Non è che la vocazione debba rinchiudersi in un intimismo da eremita che vive in un deserto o in cima ad una montagna. Nella società ognuno ha un suo ruolo da svolgere: come genitori, come figli, come insegnanti, come studenti, come politici, come cittadini, come chiesa istituzionale o gerarchica e come comunità cristiana. Ognuno con le proprie responsabilità, più o meno gravose, più o meno di potere. Ma tutto questo ha origine dalla stessa Sorgente interiore. Ed è qui il punto.
Sembra quasi che oggi contino di più i posti di potere, i ruoli istituzionali, la gerarchia religiosa. Ma tutto questo è pura carnalità, qualcosa di puramente esteriore o di strutturale, se non è alimentato all’interno del proprio essere dalla Grazia divina, che è lo Spirito santo.
Anzitutto, c’è la vocazione interiore, per cui ogni essere umano è chiamato alla propria generazione divina, e poi tutto il testo riflette questa divinizzazione.
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