dal Corriere della Sera
Welt, DBK.de, Open
26 gennaio 2023
La Chiesa cattolica tedesca
e le vittime lgbt+ dell’Olocausto:
«Abbiamo favorito l’omofobia durante il nazismo»
di ELENA TEBANO
Quest’anno nel giorno della Memoria, che commemora le vittime dell’Olocausto, il parlamento tedesco ricorderà in particolare i gay, le lesbiche, le persone bisessuali e transgender uccise dai nazisti. Insieme allo sterminio degli ebrei, il primo collante ideologico del nazionalsocialismo, la dittatura nazista ha progettato e portato avanti l’uccisione di altre minoranze ritenute «indesiderabili», come quelle sessuali, i rom e gli altri popoli zigani, i disabili fisici e cognitivi. Secondo l’Agenzia federale per l’educazione civica, durante il regime nazista circa 50 mila uomini e donne trans sono stati detenuti con l’accusa di «omosessualità». Migliaia furono uccisi nei campi di concentramento, dove venivano internati con il famigerato triangolo rosa. Ci sono pochi dati invece sulle donne lesbiche, che di solito venivano classificate come «asociali», con il triangolo nero (per questo non esistono numeri specifici): molte di loro sono state condannate alla prostituzione forzata nel campo delle donne di Ravensbrück, vicino a Berlino.
Luciano Lucy Salani
La più anziana sopravvissuta transgender alla persecuzione nazista è l’italiana Luciano “Lucy” Salani, 97 anni, la cui storia è al centro di un documentario di Mattero Botrugno e Daniele Coluccini C’è un soffio di vita soltanto, uscito l’anno scorso (qui il trailer). «Dopo essere uscita viva da Dachau mi sono scatenata, ho vissuto intensamente. Ho iniziato a lavorare per una compagnia facendo spettacoli di cabaret, viaggiavo il più possibile. Ma l’ombra di quel luogo non mi ha mai abbandonata. In qualche modo mi sento come se fossi già morta a Dachau, quindi la vita che ho avuto l’opportunità di vivere è stata comunque un miracolo, anche se ho subito molta discriminazione. Ho cercato di vivere vicino alle persone che mi volevano bene, rimanendo libera, anche se a tanti non andava bene chi io fossi» ha raccontato a Open.
La commemorazione della vittime queer
Alla commemorazione tedesca delle vittime queer (cioè lgbt+) del nazionalsocialismo parteciperà anche la Conferenza episcopale tedesca. «Questa giornata è un’occasione per la Chiesa cattolica di riconoscere la propria storia di sostegno al comportamento omofobico durante il nazionalsocialismo e anche dopo» ha dichiarato il commissario per la pastorale lgbt+ della Conferenza episcopale tedesca, il vescovo di Essen Ludger Schepers. Il vescovo ha aggiunto che l’atteggiamento della Chiesa cattolica «ha contribuito all’umiliazione, al tradimento e all’omicidio di omosessuali e di altre persone con identità queer». «Conoscendo le nostre colpe nei confronti delle persone omosessuali, sosteniamo espressamente la decisione del parlamento federale tedesco di commemorare quest’anno in modo speciale questo gruppo di vittime del terrore nazionalsocialista», ha aggiunto. «Ci sono sempre attacchi motivati dall’odio. I pregiudizi omofobici, antisemiti e antizingari non sono stati superati. Stiamo facendo ogni sforzo per stabilire un clima inclusivo all’interno della Chiesa, in modo che con noi ci sia un luogo sicuro anche per le persone queer». Sono dichiarazioni senza precedenti all’interno della Chiesa cattolica, che vanno anche oltre l’atteggiamento di apertura nei confronti delle persone lgbt+ mostrato da Papa Francesco. E che mostrano una presa di coscienza importante anche rispetto al periodo del nazismo.
Condannati 50 mila omosessuali
«Le vittime omosessuali del nazionalsocialismo sono state dimenticate e ignorate per decenni. Questo è anche legato alla persecuzione continuata dopo il 1945. L’articolo 175 (il famigerato Paragraph 175), inasprito dai nazisti, continuò ad essere applicato senza modifiche fino al 1969. Solo nel 2002 le sentenze sono state abrogate. È quindi molto positivo che la memoria stia finalmente raggiungendo la consapevolezza più alta» spiega alla Welt lo storico e sociologo Alexander Zinn, che studia la persecuzione degli omosessuali sotto il nazionalsocialismo presso il Fritz Bauer Institute. «La magistratura nazista condannò circa 50 mila omosessuali. Circa 10.000-15.000 uomini furono deportati nei campi di concentramento, la maggior parte non sopravvisse al terrore. Si trattava di una politica di persecuzione contro gli omosessuali che era e rimaneva storicamente senza precedenti per la sua portata e i suoi effetti. Dopo l’intensificazione del 1935, anche i baci tra uomini erano punibili ai sensi del paragrafo 175, già introdotto nel 1871. Circa il dieci per cento degli uomini che desideravano persone dello stesso sesso è caduto direttamente nella macchina della persecuzione».
Cospirazioni contro lo Stato
Ecco come Zinn spiega la giustificazione ideologica della persecuzione nazista delle persone lgbt+: «Negli anni Venti, i nazionalsocialisti svilupparono l’idea che l’omosessualità maschile avesse a che fare con cospirazioni contro lo Stato. Questa teoria del complotto era particolarmente cara a Heinrich Himmler, il comandante delle SS. Dopo il 1934, la persecuzione degli omosessuali divenne il suo argomento preferito per diversi anni. Ci sono state incursioni nei bar gay e arresti di massa di uomini gay. Sono stati deportati nei campi di concentramento». Alcune delle persone mandate in campo di concentramento con l’accusa di omosessualità erano pedofili: i nazisti non distinguevano tra omosessualità e pedofilia. E internavano anche i minorenni che avevano rapporti con altri minorenni.
Omosessualità femminile perseguitata
L’omosessualità femminile, a differenza di quella maschile, non era vietata per legge, ma era comunque perseguitata. «Era considerata immorale — spiega Zinn —. Le pubblicazioni lesbiche sono state chiuse, le donne lesbiche venivano denunciate dai vicini. Quelle imprigionate nei campi di concentramento come “asociali” erano considerate pericolose. L’ostracismo sociale ha colpito anche l’omosessualità femminile. Ma non era un reato, perché l’amore lesbico non era visto come un pericolo per lo Stato, la gioventù o la crescita demografica» aggiunge. Anche questo è un atteggiamento che precede e segue il nazismo: la forma prima di repressione per le donne lesbiche è sempre stato considerarle inesistenti e quindi implicitamente o esplicitamente “vietare” loro di esistere. È anche per questo che sono state considerate spesso pazze o, nella versione nazista, «asociali».
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