27 marzo 2016: Domenica di Pasqua nella Risurrezione del Signore
At 1,1-8a; 1Cor 15,3-10a; Gv 20,11-18
Pasqua del Signore: apre e non chiude
Oggi è la Pasqua del Signore: la più grande Solennità liturgica, che in un certo senso conclude il cosiddetto Triduo Pasquale. Sì, in un certo senso, perché in realtà il Triduo non viene chiuso dalla Festività di un giorno, che invece apre le porte alla luce abbagliante della Risurrezione.
Dopo giorni di meditazione sul dolore umano
La Pasqua viene dopo giorni in cui la Liturgia della Chiesa ci ha invitato, anche quest’anno, a meditare, con grande dovizia di letture bibliche e anche con riti particolarmente suggestivi, la dolorosa passione e la tragica morte di Cristo sulla croce. In realtà, ciascuno di noi si è sentito coinvolto nella sua fragile e precaria realtà esistenziale, al di là della sofferenza del Cristo storico.
In altre parole: se a Natale è tutta una gioia, nella Settimana Santa è tutto un dolore: se a Natale rimaniamo come immersi nella gioia dell’evento della incarnazione del Figlio di Dio, durante la Settimana santa ci sentiamo coinvolti nella nostra più reale umanità. Ci chiediamo se il vero cristiano sia quello del Natale oppure non sia quello della Settimana Santa. Forse si è più autentici quando si soffre che non quando si è felici.
Pasqua come passaggio
Non posso non ricordare, già oggi, almeno il senso etimologico della parola “pasqua”, che, come tutti sanno, significa “passaggio”. Se è passaggio, la Pasqua cristiana non può essere solo una Festività di un giorno, e tanto meno una conclusione. Passaggio è attività, movimento, vita. Passaggio comporta un cammino: si passa non solo da un punto geografico ad un altro, ma da uno stato d’animo ad un altro, da una situazione spirituale ad un’altra. In altre parole, la Pasqua cristiana comporta un passaggio interiore, perciò profondo, tanto profondo da mettere in movimento il mondo del proprio essere.
Ogni secondo di tempo è un passaggio, così ogni minuto, ogni ora, ogni giorno, ogni mese, ogni anno. Ma ciò non significa che siamo in cammino. Magari siamo come cose trascinate dal vortice del tempo che passa. Talora e spesso siamo solo segnati nel corpo, ma l’anima rimane indenne, ma sterile per inattività. Il corpo invecchia, ma come siamo dentro di noi, com’è il nostro essere?
Il vero passaggio è ciò che riguarda il nostro essere interiore, perché il nostro esteriore è immancabilmente, necessariamente soggetto agli umori del tempo e in balìa di un tecnologico progresso talora disumano. Dunque, occorre passare dall’esteriorità all’interiorità. Solo nel profondo del nostro essere, conosceremo il nostro vero segreto, secondo i saggi insegnamenti degli antichi filosofi greci e degli antichi mistici orientali.
«Conosci te stesso»
«Conosci te stesso» era scritto a caratteri cubitali sul frontone del tempio di Apollo a Delfi, insieme con l’invito alla moderazione, espresso nel motto: «nulla di eccessivo», «nulla di troppo».
Vedete quanto saggi fossero gli antichi filosofi! Sinceramente, ho appena saputo dell’altra scritta sulla moderazione. Dovremmo scriverla sugli edifici pubblici e sulle chiese, oltre che stamparla nel nostro cuore: “nulla di troppo”!
L’oracolo di Apollo: «Conosci te stesso», con l’efficacia mediatica che avevano a quel tempo i santuari, rivolgeva all’uomo di allora (e di sempre!) l’invito a indagare dentro di sé, per scoprire che l’essenza della nostra vita è dentro, non al di fuori di noi.
«Conosci te stesso»: il filosofo greco Socrate ne farà il suo motto: sulla conoscenza di se stesso costruirà uno dei cardini del suo pensiero.
L’invito a guardare dentro di sé godrà poi di grande fortuna anche presso i cristiani: ad esempio, Gregorio di Nissa invita a guardare dentro di sé, perché è da questa indagine che emerge ciò che veramente uno è, mentre invece se si guarda all’esterno non si potrà mai cogliere la propria vera essenza.
«Conosci te stesso e conoscerai Dio»
C’è di più. Solitamente si sente dire: “Se vuoi conoscere te stesso, prima conosci Dio”. Ma è esatto anche il contrario: “Se vuoi conoscere Dio, devi prima conoscere te stesso; parti dalla comprensione di te stesso, dal tuo modo di essere, dal tuo intimo; entra, sprofondandoti in te stesso, scruta nella tua anima, per individuare la sua essenza e vedrai che tu sei fatto a immagine e somiglianza di Dio». E qualcuno aggiunge: “Tu che desideri sondare gli arcani della natura, se non riuscirai a trovare dentro te stesso ciò che cerchi non potrai trovarlo nemmeno fuori. Se ignori le meraviglie della tua casa, come pretendi di trovare altre meraviglie? In te si trova occulto il tesoro divino. Uomo, conosci te stesso e conoscerai l’universo intero”.
Passaggio dal Cristo storico al Cristo della fede
Infine, c’è un altro passaggio: dal Cristo storico morto sulla croce al Cristo della fede, che è nato proprio quando Cristo morendo, annotano gli evangelisti, “emise”, ovvero donò lo spirito, già prima che, il terzo giorno, risorgesse.
Il Cristo della Chiesa autentica è il Cristo della fede, il che significa che noi credenti dovremmo entrare in un altro mondo, che è quello dell’essere. Il che non comporta il rinnegamento della nostra storia, ma chiede una visione mistica della realtà esistenziale. Questa è la vera Storia cristiana.
Non mi sembra che la Chiesa istituzionale lungo i secoli abbia fatto un grande passaggio. È ancora ferma al Cristo storico, per di più tradito anche nella sua storicità in funzione di una struttura religiosa che Cristo stesso aveva abbattuto nell’ebraismo.
Resurrexit!, urla di gioia la Liturgia in questi giorni. Si suonano le campane a festa, si accendono luci e si espongono fiori, si indossano paramenti solenni. Cristo è risorto. Quale Cristo? Il Cristo della fede! Mi fermo qui. Lungo il periodo liturgico pasquale, avremo modo di riflettere e di approfondire il Mistero del Cristo risorto o del Cristo della fede.
Dal Cristo della fede dipende la nostra fede e la nostra testimonianza cristiana, così come dipende la testimonianza di fede della Chiesa autentica.
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