27 agosto 2023: CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI S. GIOVANNI IL PRECURSORE
1Mac 1,10.41-42; 2,29-38; Ef 6,10-18; Mc 12,13-17
Soffermiamoci sul primo brano, che è tratto dal primo libro dei Maccabei.
Anzitutto, qualche annotazione storica. I 2 libri cosiddetti dei Maccabei raccontano le vicende del popolo ebraico negli anni che vanno dal 170 al 130 a. C., mentre la Palestina era dominata dai Seleucidi che risalivano, con il loro potere, alla spartizione dell’impero, conquistato da Alessandro Magno, e suddiviso tra i suoi generali alla sua morte, avvenuta nel 323 a.C. Nel 174 a.C. il governo venne assunto da Antioco IV Epifàne che governava la Siria: il suo progetto era grandioso, fare delle nazioni conquistate un solo popolo, unificando i loro usi e costumi, anche nel campo religioso. Ciò suscitò la ribellione dei più puri tra gli ebrei, fedeli all’Alleanza con Javhe, decisi perciò a non perdere le loro tradizioni religiose.
Notiamo: la sollevazione di popolo, che è scaturita dai fratelli Maccabei, in particolare da Giuda, è stata di carattere religioso, anche se, non dimentichiamolo, per gli ebrei, e non solo per loro, politica e religione erano la stessa cosa. La scintilla della insurrezione partì, quando Antioco IV, profanandolo in modo spudorato, introdusse nel tempio di Gerusalemme una statua di Giove.
Qualche riflessione. Quando si parla di resistenza si parla di libertà più o meno politica, opponendosi a un regime totalitario: pensate, restando agli ultimi tempi, al regime nazista e fascista. Anche se, anche in questo caso, la resistenza ha visto numerosi preti coinvolti nella lotta contro il fascismo (e qui bisognerebbe aprire una parentesi sul loro vergognoso e voluto oblio), tuttavia sarebbe il colmo se noi preti rimanessimo immobili, quando un altro regime proibisse la libertà religiosa. E se, per combattere il fascismo, le armi sono state necessarie (alcuni preti le usarono in certi casi), per salvare la libertà interiore bisognerebbe usare altre armi, più interiori ma non per questo meno efficaci.
In ogni caso, troppo istintivo e troppo diplomatico dimenticare le lotte all’interno della stessa religione o tra le varie religioni. E qui successe di tutto, con sistemi repressivi forse ben più atroci di quelli usati dai sistemi dittatoriali, esterni o interni alla propria nazione.
Un’altra riflessione. Possiamo anche discutere sulle motivazioni che spingevano gli ebrei o i credenti di altri religioni a ribellarsi: il problema andrebbe spostato sull’altra riva, ovvero sulle motivazioni che spingevano i dittatori a reprimere la libertà del veri credenti. Solitamente era un motivo di carattere politico, e non religioso: era successo anche durante le eresie all’interno della Chiesa, che non era l’unica a preoccuparsi per salvare i dogmi conciliari, con motivazioni dunque religiose, ma gli stessi imperatori cattolici erano preoccupati nel vedere il Regno diviso, dunque con motivazioni di carattere politico. Pensate che diversi Concili cosiddetti ecumenici venivano ideati, programmati e organizzati dagli stessi Imperatori, per costringere la gerarchia ecclesiastica a intervenire per condannare le eresie e per chiedere aiuto al “braccio secolare”, cioè allo Stato, perché rendesse esecutive le sentenze e le ordinanze dei tribunali ecclesiastici e in particolare le pene corporali che la Chiesa poteva infliggere, ma non eseguire.
Se dunque i dittatori, ai tempi degli ebrei, colpivano certe usanze religiose care al popolo, gli ebrei più fedeli alla legge reagivano perché vedevano nei divieti colpito il cuore stesso della religiosità ebraica, fondata sull’Alleanza: pensate alla legge del sabato, di non mangiare certe carni, di mantenere puro il loro tempio, ecc.
Nei primi tempi del Cristianesimo, le persecuzioni ebbero un altro intento, sia da parte degli stessi ebrei che vedevano nella “setta”, così la chiamavano, dei cristiani il rifiuto dell’ebraismo e della stessa “elezione” voluta da Jahve, quando scelse Abramo come capostipite del popolo ebraico; e sia da parte dell’impero romano, le cui motivazioni non erano di carattere religioso, ma socio-politiche, anche perché il Cristianesimo portava una grossa sconvolgente verità nel campo dei diritti umani: crollavano le ingiustizie sociali, pensate alla schiavitù, contestate dalla predicazione cristiana, fondata sui diritti umani: tutti uguali davanti a Dio e agli uomini. Il Cristianesimo si diffuse subito tra le classi più disprezzate presenti nell’Impero romano, che, dopo solo qualche secolo, nonostante dure persecuzioni contro i cristiani, crollò sia per il passare del tempo che portava con sé cambiamenti epocali, e sia anche e forse soprattutto a causa delle nuove idee rivoluzionarie portate dal Cristianesimo.
E, paradossalmente, nello stesso tempo, quando il Cristianesimo divenne religione di stato, da Costantino in poi, tutto cambiò: la Chiesa istituzionale, sentendosi forte e protetta, prese la rivincita perseguitando i suoi nemici, interni e esterni. Il periodo delle Inquisizioni è stato quello più brutto, criminale, più blasfemo che la Chiesa non potrà mai dimenticare. La Chiesa condannò duramente gli spiriti dissidenti, gli eretici, ingannando anche i santi, costretti a credere, in nome dell’obbedienza (virtù usata anche dal potere politico per scopi strumentali), pur sapendo che la Chiesa giocava bene accusando spiriti liberi di cose mai commesse: il gioco era semplice, inventarle. Prova ne è il fatto che oggi c’è quasi una rincorsa a ricuperare la santità di eremiti messi sul rogo! Vale il detto: quando fa comodo si distruggono i liberi pensanti, per poi, dopo secoli, quando non sono più pericolosi, metterli sugli altari.
Anche oggi, alla Chiesa istituzionale non dà mai fastidio, anzi viene osannato, un prete che si impegna nelle opere assistenziali, ma dà ancora fastidio chi la pensa diversamente e contesta una Chiesa che vive di carnalità.
Ma, ecco la domanda che pongo di frequente: come si fa ad agire rettamente, anche nella Chiesa, quando l’intelletto interiore non è libero, ma condizionato da una religione che fa del “proprio” dio un idolo da adorare, togliendo allo spirito interiore quella libertà o quella purezza che permette a Dio di occuparlo con la sua Grazia?
Sono d’accordo che su certi estremismi o fondamentalismi la Chiesa deve dire la sua e imporsi. Qui non è questione di estremismi “religiosi”, ma di trovare quella Sorgente di Grazia, da cui parte ogni agire per rendere più giusto o migliore il mondo.
Quando parlo di radicalità del Vangelo non intendo fondamentalismo, che è sempre nel campo religioso: radicalità invece riguarda il Vangelo di Cristo, nella sua più pura essenzialità.
E qui mi sembra di trovare la paura di un Chiesa istituzionale che vorrebbe sempre imporre i suoi rigidi dogmi, mettendosi per traverso tra il mondo interiore di ogni essere umano e la sua ricerca del Mondo divino, che è purissimo Spirito, dunque da adorare “in spirito e verità”, come ha detto Cristo alla samaritana.
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