28 maggio 2023: PENTECOSTE
At 2,1-11; 1Cor 12,2-11; Gv 14,15-20
Potrebbe sembrare strano, addirittura paradossale dire che oggi è la Festività della Pentecoste e doverne parlare, commentando, ma sarebbe il meno, i brani della Messa. Ma già dicendo Natale si può anche capire che vi è una certa distanza con il Mistero pasquale, anche se bisognerebbe sempre ripetere che si tratta dello stesso Mistero, anche se con diverse sfaccettature dal punto di vista della celebrazione liturgica, che pedagogicamente propone i suoi ritmi o periodi da rivivere intensamente nella fede più pura: l’anno liturgico è visto come un ciclo che si ripete, mai però in modo ripetitivo, ma diciamo come una spirale che torna su stessa ma salendo.
Diciamo meglio che siamo anche corpo e psiche, e abbiamo perciò bisogno di momenti forti e meno forti, ma diciamo anche che purtroppo il tempo come “crònos”, fatto di un susseguirsi di secondi, minuti, ore, mesi e anni, distingue e separa, mentre il “kairòs” è la stessa realtà, che è la Grazia divina, l’Eterno presente.
Il tempo come “crònos” passa, mentre il “kairòs” rimane, come Eterno sempre presente, che però non è immobile, proprio perché essendo eterno è sempre creatività.
In ogni caso, non si può assolutamente separare il Mistero pasquale dal Mistero della Pentecoste, neanche se fossero due sfaccettature dello stesso Mistero, da vivere in due momenti diversi. Se lo Spirito santo ha concepito nel grembo verginale di Maria di Nazaret Gesù, il Figlio di Dio, dobbiamo dire che lo stesso Spirito è il Dono del Cristo morente, ed è già Pentecoste dalla Croce, che Giovanni avvolge in un alone di gloria.
C’è di più. La stessa sera di Pasqua, il giorno dopo il sabato, il primo della settimana – chiamato già dai primi cristiani “domenica”, “Dies Domini”, vedi Apocalisse, 1,10, il Risorto appare visibilmente agli apostoli chiusi in casa per paura dei Giudei.
Il Risorto che cosa dice? Augura anzitutto la pace, ma che cosa significa pace? È lo stesso Spirito santo. Infatti il Risorto dice: “Ricevete lo Spirito santo”. Non dice: “Riceverete lo Spirito santo”, dopo cinquanta giorni, il giorno in cui anche gli Ebrei festeggiavano la Pentecoste.
Chiariamo. La Pentecoste ebraica, chiamata anche “Festa delle settimane” celebrava la conclusione della mietitura e della trebbiatura del grano. Era quindi una festa di ringraziamento, in cui venivano portati, come primizie al Signore, due pani lievitati.
La stessa festa era carica anche di un significato storico e simbolico: si celebrava il cambiamento del proprio destino di popolo di Dio, avvenuto con la consegna della legge a Mosè sul Sinai, e quindi con il patto dell’Alleanza, tre mesi dopo l’uscita dall’Egitto.
E se la Pasqua rappresentava l’ora del fidanzamento di Dio con il suo popolo, liberato dall’Egitto, la Pentecoste ricordava e rinnovava le nozze, nella scelta reciproca del patto.
Con la Pentecoste cristiana tutto cambia e si rinnova radicalmente: si celebra la nuova Alleanza nel dono dello Spirito. E lo Spirito non si attacca a nulla di carnale o di storico o di strutturale. Quando ci si riferisce a eventi del passato potete anche tentare di trovare le più belle simbologie che volete, ma la gente si attaccherà sempre all’evento storico, per ricordarlo carnalmente, e durerà una giornata, quella della celebrazione dell’anniversario.
Riflettiamo. Più le feste sono solo celebrazioni rituali o altro, più saranno tradite nella loro intenzione originaria. Non penso che Cristo abbia detto di celebrare la Festività della Pentecoste, e tanto meno ha fatto della Pentecoste un evento spettacolare, come sembra dalla lettura del libro “Atti degli apostoli”.
Certo, può essere letto anche simbolicamente, e i segni della manifestazione dello Spirito sono ricchi di grandi significati. Talora mi chiedo se non sia più intuitivo anche solo percepire la realtà dello Spirito, quando i segni sono semplicissimi.
Provate a confrontare l’evento pentecostale, così come viene descritto da Luca negli “Atti degli apostoli”, e l’esperienza del profeta Elia, come è descritta nel primo libro dei Re 19,11-13. Scrive l’autore sacro: «Ed ecco che il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo, da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco, il sussurro di una brezza leggera. Come l’udì Elia si coprì il volto con il mantello. Uscì e si fermò all’ingresso della caverna. Ed ecco venne a lui una voce che gli diceva: che cosa fai qui Elia?».
Dunque, Dio non era presente nel vento gagliardo e impetuoso, e nel racconto di Luca si parla della discesa dello Spirito “quasi un vento che si abbatte impetuoso”. Dio non era presente come un terremoto o in un fuoco, e nel racconto di Luca si parla di “fragore” e di “lingue” come di fuoco”.
Da una parte abbiamo una visione mistica di Dio, che appare come un “sussurro di una brezza leggera”, tanto leggera da non trovare parole umane per descriverla. Qualcosa di sottilissimo, di leggerissimo, tanto da non avere nulla a che fare con qualcosa di carnale,di visibile, di tangibile. L’espressione originale aramaica è quasi intraducibile.
Dunque, nulla di spettacolare nella visione di Elia, mentre nel racconto degli “Atti” di Luca sembra che tutto sia spettacolare, qualcosa di visibile.
I segni sono: un fragore, il vento e il fuoco. Il fragore richiama il suono della tromba sempre più assordante sul Sinai; il vento sconvolge le regole, le ideologie, le trame e fa pulizia; il fuoco ha un significato vastissimo: trasforma i discepoli perché diventino testimoni, e li arricchisce con l’amore e la passione per ciò che accolgono perché lo sappiano esprimere in pienezza.
Non parliamo poi dei doni o carismi dello Spirito, tra cui il dono delle lingue: non si tratta di conoscere più lingue per trasmettere lo Spirito santo. Lo Spirito conosce una solo lingua, quella della Grazia che è divina, e che perciò va al di là di ogni carnalità.
Più restiamo fuori di noi, più lo Spirito si materializza e perde efficacia. Più siamo dentro di noi, e lo Spirito è Sorgente di luce e di vita. Luce e vita che hanno un solo nome: Grazia.
Ancora oggi si usa dire, anzi è di moda dire, fa colpo dire che abbiamo dentro un fuoco. Ma di quale fuoco si tratta?
Parliamo di fuoco che sconvolgerà il mondo, e il mondo resta sempre lo stesso, carnale che si consuma nella carnalità, e abbiamo paura di dire che abbiamo dentro una piccola scintilla divina dell’Intelletto divino, e basterebbe questa scintilla a bruciare tutto un mondo fatto di paglia.
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