Il card. Ildefonso Schuster moriva il 30 agosto 1954, nel seminario di Venegono Inferiore (Va)

ALFREDO ILDEFONSO SCHUSTER:

ASPETTI ECCLESIALI, SOCIALI E CULTURALI

DELLA SUA OPERA COME

ARCIVESCOVO DI MILANO (1929-1954).

GIULIO PIACENTINI
Nella storia della Chiesa in Lombardia, un posto di rilievo è occupato dal Card. Alfredo Ildefonso Schuster, arcivescovo di Milano dal 1929 al 1954. Schuster resse la diocesi ambrosiana in un’epoca complessa sul piano politico, sociale ed ecclesiale, e ricca di fermenti culturali. Un periodo storico, quello di Schuster, segnato dall’avvento e dall’affermazione del nazifascismo, dal secondo conflitto mondiale, dalla lotta partigiana di liberazione nazionale, dalle sfide politico-religiose poste dall’ascesa, anche in Italia, del comunismo stalinista, dalle difficoltà della ricostruzione dopo la guerra, dalla necessità di annunciare il Vangelo in un contesto sociale in rapida e profonda trasformazione. Già nella società di allora i fedeli erano spesso tali solo a parole, mentre nei fatti tendevano, sia in campagna che nelle città industrializzate sempre più vaste e anonime, a non seguire più gli insegnamenti della Chiesa, preferendo volgersi all’ideologia comunista e abbandonando i tradizionali valori etici e religiosi.
Come reagì Schuster, di fronte a queste sfide? Quali furono i suoi pensieri, i suoi timori, le sue decisioni? È quanto cercheremo di scoprire insieme, delineando l’impegno del Card. Schuster sul piano ecclesiale, sociale e culturale come arcivescovo di Milano.
Dopo un’introduzione alla formazione di Schuster e una panoramica sul contesto storicosociale del cattolicesimo nella diocesi di Milano durante gli anni ’20 e ’30, verranno presentati i tratti fondamentali del magistero e dell’opera dell’arcivescovo di Milano dal 1929 alla sua morte: l’evangelizzazione in un contesto politicamente difficile, il coordinamento dell’attività caritativa e assistenziale e l’appoggio a strutture sociali e a istituti culturali di ispirazione cristiana.
1. La formazione di Schuster
Alfredo Schuster (nato a Roma, il 18 gennaio 1880 – morto a Venegono Inferiore, in provincia di Milano, il 30 agosto 1954), era figlio di Giovanni, un soldato pontificio, e di Maria Anna Tutzer, originaria del Sudtirolo. Schuster aveva una sorella, Giulia, che nel 1907 sarebbe entrata a far parte delle Figlie della Carità di S. Vincenzo de’ Paoli col nome di Caterina. A nove anni, Schuster perse il padre e per interessamento del barone Pfiffer d’Altishofen, colonnello delle guardie svizzere, venne mandato a studiare presso i benedettini del monastero romano di S. Paolo fuori le Mura. Qui ebbe come maestro l’abate don Placido Riccardi, che lo aiutò a scoprire la vocazione monastica. Entrato come novizio nell’ordine benedettino col nome di Ildefonso (1898) prese i voti nel 1899, si laureò in filosofia nel 1903 e divenne sacerdote nel 1904. Dopo aver ricoperto vari incarichi di responsabilità per l’ordine, nel 1918 fu nominato abate del monastero romano di S. Paolo fuori le Mura, incarico che mantenne fino al 1929, l’anno della sua elezione ad arcivescovo di Milano.
Consacrato cardinale da papa Pio XI (Achille Ratti, 1922-1939), Schuster fu anche il primo vescovo italiano a giurare fedeltà al re Vittorio Emanuele III. Si trattava di una prassi prevista dopo la firma dei Patti Lateranensi del 1929, con i quali, ponendo fine alla cosiddetta “questione romana”, la Chiesa Cattolica riconosceva ufficialmente lo Stato italiano e la sua capitale Roma, mentre il Regno d’Italia, preso atto della rinuncia del Papa al potere temporale, riconosceva il Pontefice simbolicamente sovrano del nuovo Stato della Città del Vaticano e lo lasciava libero di esercitare la sua funzione di capo spirituale della Chiesa Cattolica. Schuster fu sempre estremamente leale sia nei confronti del Papa, sia verso le autorità dello Stato italiano, anche durante il fascismo. La controversa questione dei rapporti tra Schuster e il fascismo è stata interpretata in vari modi, che presenteremo più avanti.
Quanti conobbero Schuster, videro in lui una persona riservata, autorevole per temperamento e preparazione, ma soprattutto animata da un fortissimo slancio verso Dio. Nonostante questa sua tensione verso la realtà spirituale (o forse proprio per questo), Schuster è stato un uomo ricco di benevolenza verso tutti e sempre attento alle esigenze e ai problemi della vita quotidiana. I suoi modelli erano infatti S. Benedetto e S. Carlo Borromeo. Di S. Benedetto, egli studiò e meditò a fondo la Regola (“Ora et labora”, “Prega e lavora”) per viverla personalmente e invitare tutti i fedeli a farla propria, ciascuno nel suo ambiente, anche professionale. Era infatti convinto che l’insegnamento di S. Benedetto dovesse essere reso attuale il più possibile, proponendolo non solo ai monaci, ma a chiunque fosse disposto ad ascoltarne il messaggio. A tale proposito, Schuster insisteva sulla necessità di armonizzare tra loro lo studio, la preghiera, le attività produttive e commerciali. Egli desiderava che la vita monastica, condotta secondo l’insegnamento di S. Benedetto, diventasse, per quanto possibile, il modello di riferimento per la società civile: infatti, come l’abate del monastero benedettino guida con affetto paterno la propria comunità che lo segue con fiducia, così anche nella società civile tutti dovrebbero avere, secondo Schuster, un ruolo ben preciso da rispettare e sforzarsi di seguire gli insegnamenti spirituali del vescovo che regge la diocesi, per costruire insieme una società in cui, essendo l’amore di Cristo a regnare nei cuori, la dignità umana sia valorizzata in ogni circostanza e settore, tanto religioso, quanto educativo, ricreativo o lavorativo. Ciò, al di là di tutte le utopie e le ideologie immaginabili, che sono atee e anticristiane e, pretendendo di realizzare un ideale di società che è frutto di desideri puramente umani, sono destinate a degenerare in totalitarismo (nazifascismo e comunismo). Il vero cristiano, anche il semplice fedele, deve essere consapevole della propria fede, partecipare ai riti liturgici rendendosi conto del loro significato e testimoniare il Vangelo in ogni circostanza; diversamente, non avrebbe senso celebrare la liturgia. Dell’attenzione di Schuster ai sacramenti e alla liturgia è testimonianza il suo Liber Sacramentorum (9 voll., 1919-1929), che si inserisce in un’attività di educazione liturgica (anticipando il Concilio Vaticano II, Schuster spiegava ai fedeli il significato dei riti della S. Messa e faceva distribuire loro l’opuscolo Messa per il popolo ambrosiano, che conteneva la traduzione italiana delle letture ascoltate durante le celebrazioni domenicali).
Di S. Carlo, Schuster fece propri molti atteggiamenti e comportamenti: la preghiera, l’ascesi, le visite pastorali nelle parrocchie della diocesi, l’assidua presenza in cattedrale, l’interesse per la formazione teologica e culturale dei religiosi e dei sacerdoti.
2. Il contesto storico-sociale del cattolicesimo nella diocesi di Milano negli anni ’20 e ’30.
Schuster ebbe l’opportunità di iniziare a conoscere il contesto ecclesiale e civile di Milano già negli anni ’20, quando fu inviato da Pio XI a svolgere un’indagine sulla situazione dei seminari e dei monasteri diocesani. In quegli anni, Schuster conobbe una Milano industrializzata e una diocesi di 1000 parrocchie servite da 2000 sacerdoti. A Milano, nel 1921, il francescano p. Agostino Gemelli, psicologo, aveva fondato l’Università Cattolica, che aprì i propri corsi con la Facoltà di Filosofia. La stima tra Schuster e Gemelli era reciproca; ambedue collaborarono per trasmettere il Vangelo in una società che vedevano sempre più laica e si dicevano convinti che i cristiani, per evangelizzare bene, dovessero conoscere il mondo contemporaneo in tutti i suoi aspetti. Schuster rimosse dall’incarico quei docenti del seminario di Milano (allora situato in C.so Venezia) malfermi in salute, nominò nuovi professori, riformò il piano di studi, migliorò l’organizzazione generale del seminario e ne stabilì la nuova sede a Venegono Inferiore, in un luogo più salubre e lontano dalla città.
Nel 1929 Schuster diventò arcivescovo di Milano, succedendo a Eugenio Tosi, da tempo malato. Il card. Gasparri e Mussolini avevano firmato da pochi mesi i Patti Lateranensi (11 febbraio). Schuster avrebbe sempre sottolineato l’importanza pastorale di questa firma, convinto che per favorire l’evangelizzazione fosse necessario creare una collaborazione tra la Chiesa e lo Stato italiano. Schuster cercò sempre questa collaborazione, sforzandosi di dialogare con i gerarchi fascisti e con lo stesso Mussolini, e assumendo atteggiamenti che hanno fatto pensare a una sua simpatia verso il regime. Come vedremo più avanti (al paragrafo 3. L’evangelizzazione in un difficile contesto politico), la questione è, in realtà, più complessa.
Un altro grave problema era quello delle periferie operaie, spesso filocomuniste. Per Schuster, il comunismo è e rimane un’ideologia atea e anti-umana, addirittura «l’incarnazione del satanismo», come egli stesso disse nel 1937 durante un’omelia in Duomo per i caduti. Tuttavia il capitalismo, per Schuster, non sembrava sufficiente per strappare gli operai al comunismo. I borghesi cattolici, infatti, faceva notare l’arcivescovo, si impegnano nella cultura (associazionismo, riviste), sono fedeli al Papa, ma spesso non vanno in chiesa e sfruttano gli operai, assumendo quindi, concretamente, un atteggiamento non evangelico. Come avvicinare gli operai, visto che i sacerdoti non hanno accesso alle fabbriche? Schuster fece intervenire i giovani dell’Azione Cattolica. Il card. Colombo aveva detto che bisognava adeguare la pastorale ai tempi: non era più l’epoca delle campagne e dei carri trainati da cavalli, ma quella della società industrializzata, della città, dell’automobile… Ecco allora i ragazzi dell’Azione Cattolica entrare in fabbrica, muniti di distintivo, per dire agli operai che chiunque svolga bene il proprio lavoro, di qualunque attività onesta si tratti, collabora alla costruzione di una civiltà più giusta e continua l’opera creatrice di Dio.
Schuster considerava l’evangelizzazione come lo strumento più importante per cercare di costruire una società giusta. Egli diceva che la società del suo tempo era caratterizzata da almeno tre mali: a) la gente non si aiuta più a vicenda e ci si è dimenticati che la dignità dell’uomo è più importante dell’incremento del capitale e del profitto ad ogni costo; b) in Italia e all’estero domina la regola di imporsi, sempre e comunque, sugli altri; c) la famiglia è in crisi e si sta disgregando, specialmente perché sta scomparendo il tradizionale rispetto dei ruoli; in particolare, la donna non vuole più essere madre di famiglia, preferendo invece lavorare fuori casa anche quando non è necessario. Osservazioni che oggi appaiono quasi profetiche.
3. L’evangelizzazione in un difficile contesto politico
Come abbiamo accennato, Schuster dovette confrontarsi con il nazifascismo e col comunismo. Vediamo ora, in particolare, quali sono stati i suoi rapporti col fascismo italiano.
A tale proposito, esistono varie tesi storiografiche:
a) Secondo alcuni storici, si dovrebbe parlare di una collaborazione cordiale e convinta di Schuster col fascismo. A sostegno di questa tesi, si portano alcuni fatti: p. es., il messaggio di Schuster al gerarca Cottini (1930), l’affermazione di Schuster secondo cui la conquista dell’Etiopia avrebbe permesso di evangelizzare il popolo di quella nazione, la benedizione, fatta dall’arcivescovo, della nuova sede del quotidiano di regime «Il popolo d’Italia», di case del fascio, di gagliardetti…;
b) Altri studiosi preferiscono distinguere tra gli anni del consenso (1932-38) e gli anni del dissenso (1938-45), spiegando che Schuster non diede mai il proprio consenso alla dottrina fascista, ma solo ad alcune iniziative del regime. Se è vero che Schuster ha probabilmente tentato di sfruttare a vantaggio dell’opera di evangelizzazione della Chiesa alcune di queste iniziative (raduni con benedizione dei gagliardetti, conquista dell’Etiopia…), è ancora più vero che egli ha condannato più volte l’ideologia fascista: esempio eclatante di dissenso da parte sua fu il discorso del 13 novembre 1938 in Duomo contro il razzismo fascista (vedi il paragrafo 4. Linee magisteriali);
c) C’è poi chi ha sostenuto che Schuster, come p. A. Gemelli, sperava di servirsi del fascismo per ricostruire una società ufficialmente cristiana; ciò, senza appoggiare in alcun modo l’ideologia razzista e totalitaria di Mussolini, ma cercando di entrare in dialogo con il Duce e con i gerarchi per trasformare, col tempo, il fascismo in un sistema politico moderato e compatibile con il cristianesimo (cfr. a questo proposito gli incontri con Mussolini);
d) Per altri studiosi ancora, Schuster avrebbe rifiutato tutto ciò che riguarda il fascismo (lo si noterebbe, p. es., dalla protesta di Schuster nel 1931, quando il regime tentò, senza successo, di monopolizzare il controllo dell’educazione dei giovani e di imporsi ad ogni costo sull’Azione Cattolica; in quest’occasione, Schuster si rifiutò di essere presente all’inaugurazione della Stazione Centrale di Milano).
Chi ha ragione?
Oggi gli storici tendono a considerare più di prima il contesto storico in cui Schuster ha agito, tenendo presenti, per quanto possibile, tutte le sue sfaccettature.
C’era in effetti chi, come il gerarca Alfredo Rocco, aveva creduto di vedere in Schuster un filofascista. Ma per un altro fascista, come Rino Parenti (attivo a Milano) Schuster era e rimaneva antifascista. In una lettera del 29 novembre 1938, R. Parenti scrisse a Mussolini che Schuster era «notoriamente antifascista». E allora, come interpretare certi atteggiamenti di Schuster, almeno in apparenza filofascisti?
È vero, sembra che Schuster abbia appoggiato alcune iniziative del regime come la guerra d’Etiopia del 1936, è anche vero che ha benedetto i gagliardetti fascisti, ma va ricordato che egli non ha mai ceduto alla pretesa del regime di controllare l’opinione pubblica, le associazioni ecclesiali, l’educazione giovanile, i giornali; inoltre Schuster ha condannato il militarismo fascista e il suo mito della forza e della razza, con un discorso che suscitò le immediate proteste del regime.
L’episodio del 1930, in cui alcuni laici cattolici milanesi accusarono Schuster di aver usato toni benevoli scrivendo a Cottini, federale di Milano, in occasione dell’anniversario della fondazione dei fasci, va collocato in un contesto più ampio. Schuster stesso spiegò di aver agito così per «opportunità tattica», per prendere tempo, per cercare di entrare in dialogo con il regime, formando, intanto, fedeli antifascisti capaci di smontare, progressivamente e nel silenzio, la dittatura (1).
Fino al 1935, Schuster sperò di poter trovare un’intesa col fascismo, specialmente in funzione anticomunista, ma alla fine fu costretto ad ammettere pubblicamente quanto egli stesso, in cuor suo, aveva già riconosciuto, e cioè che il fascismo (come il nazismo e il comunismo) è un’ideologia pagana e anticristiana. In un’allocuzione ufficiale al clero, Schuster affermò che «è inutile voler stabilire un armonico binomio tra religione e patria» (17 gennaio 1939). Pochi mesi dopo l’elezione del nuovo pontefice Pio XII (Eugenio Pacelli, 1939-58), egli espresse forti perplessità riguardo al Patto d’Acciaio fra Italia e Germania, tentando di non fare entrare in guerra l’Italia, e il 30 ottobre 1944 scrisse una lettera a Mussolini, condannando lo squadrismo fascista.
Ricordiamo anche i tre incontri tra Schuster e Mussolini, che testimoniano l’impegno dell’arcivescovo per costruire una collaborazione tra la Chiesa e lo Stato italiano, ma anche per risparmiare inutili sofferenze alla popolazione nei giorni in cui il regime era al tramonto.
Il primo incontro, di cui non si sa quasi nulla, avvenne presso la Biblioteca Ambrosiana, nel 1932. Il secondo, del 1934, si tenne in Duomo e in questa occasione Schuster chiese e ottenne da Mussolini lo stanziamento di una somma di L. 500.000 annuali per la gestione del Duomo.
L’ultimo incontro fu in Arcivescovado il 25 Aprile 1945, quando Schuster tentò, senza successo, di convincere Mussolini alla resa. In questo contesto, va notato che dal 1943 fino alla vigilia della Liberazione, Schuster lavorò come mediatore tra angloamericani da un lato, nazisti e fascisti della Repubblica di Salò dall’altro.
Anche dopo la Liberazione, Schuster intervenne per prevenire e far cessare ulteriori violenze, a vantaggio di tutti, fascisti o antifascisti che fossero. Telefonando al prefetto di Milano (nominato tale dal Comitato di Liberazione Nazionale) Riccardo Lombardi, l’arcivescovo chiese di porre fine allo scempio di P.le Loreto. Dopo la resa dei tedeschi, Schuster disse che «centrali elettriche, ponti, fabbriche… tutto è stato salvato, e a Milano l’insediamento delle nuove autorità è avvenuto quasi senza combattimento», ma anche che «violenze private, rappresaglie, vendette personali, crudeltà, ruberie e saccheggi sono vietati a tutti, dalle leggi così divine che umane», perché per fare giustizia ci sono «i tribunali, che devono giudicare secondo giustizia» (2). E in seguito: «Siamo troppo pochi e troppo poveri per continuare a dilaniarci a vicenda, quando invece urge più che mai il bisogno della concordia civica, dell’unità nazionale, sotto la formula di un’unica fede e con l’unica bandiera dell’Italia» (3). Grazie al suo prestigio, Schuster è riuscito anche a sottrarre molte persone alla prigionia nei Lager o alle rappresaglie nazifasciste, e a sottrarre, dopo la caduta di Mussolini, alcuni gerarchi fascisti a esecuzioni sommarie (come nel caso del maresciallo Rodolfo Graziani, salvato all’ultimo momento dalla fucilazione a S. Vittore, decisa senza processo).
In definitiva, si può parlare di un tentativo di Schuster di entrare in dialogo col fascismo per cristianizzarne i vertici, nella convinzione, propria dell’arcivescovo, che il Vangelo andasse testimoniato ovunque, anche interessandosi di politica. Come scrisse Giambattista Migliori in un articolo su «Il popolo» il 31 agosto 1954, il giorno dopo la morte di Schuster, quest’ultimo non fu (né volle essere considerato) un politico; volle piuttosto essere un vescovo che accettò di occuparsi anche di politica per proteggere la libertà di evangelizzazione.
Ricordiamo, infine, che il 6 maggio 1945 Schuster salì in cima al Duomo di Milano, per togliere alla «Madonnina» il velo scuro con cui, durante la guerra, era stata coperta per proteggerla dai bombardamenti. È famosa anche la decisione dell’arcivescovo di porre ai piedi della statua stessa, durante il conflitto, i volumi contenenti i nomi di chi si era impegnato a recitare quotidianamente il rosario per far cessare le ostilità.
4. Linee magisteriali
Le riassumiamo per punti:
1) Schuster si è sempre ispirato alla Regola di S. Benedetto (sec. VI) e all’Imitazione di Cristo (un trattato di spiritualità medioevale di epoca e autore incerto; per alcuni studiosi, quest’opera sarebbe stata scritta da Giovanni Gersenio di Vercelli nel XIII secolo, mentre per altri sarebbe da attribuire al fiammingo Tommaso da Kempis, vissuto nel XV secolo). Schuster cercò di adattare il contenuto di queste due opere alle esigenze e alla mentalità degli uomini del suo tempo. Per lui, Dio era il punto di riferimento costante, con cui instaurare un rapporto personale attraverso il battesimo, la preghiera, l’appartenenza alla Chiesa e l’ascesi (che non deve essere eccessiva; perché serve per condurre alla felicità, non alla tristezza, mentre troppe rinunce generano appunto tristezza). Scrive Schuster: «La mortificazione è come il sale. Non è mai una pietanza a sé, ma un pizzico di sale sta bene su tutti i cibi» (4).
2) Fondamentale, per lui, era che ogni cristiano tendesse alla santità. Ai seminaristi di Venegono, poco prima di morire, disse: «Altro ricordo non ho da darvi che un invito alla santità. La gente pare che non si lasci più convincere dalla nostra predicazione, ma di fronte alla santità, ancora crede, ancora si inginocchia e prega. La gente pare che viva ignara delle realtà soprannaturali, indifferente ai problemi della salvezza. Ma se un santo, o vivo o morto, passa, tutti accorrono al suo passaggio» (5).
3) Come abbiamo visto, Schuster condannò con fermezza il razzismo. Nel discorso in Duomo del 13 novembre 1938, pubblicato dal quotidiano cattolico «L’Italia» il giorno successivo, suscitando la protesta del regime, l’arcivescovo affermò: «È nata all’estero e serpeggia un po’ dovunque una specie di eresia, che non solamente attenta alle fondamenta soprannaturali della Chiesa Cattolica, ma […] rinnega all’umanità ogni altro valore spirituale; e costituisce così un pericolo internazionale non minore di quello dello stesso bolscevismo. È il cosiddetto razzismo…» (6).
4) Schuster affermò che la predicazione del Vangelo era necessaria per ricostruire la società sul piano morale e su quello civile. Scrisse, in un articolo pubblicato sul quotidiano «L’Italia» il 14 luglio 1947: «Oggi veramente si parla solo di ricostruzione economica […], preliminarmente si tratta di un problema altamente spirituale, quale quello della mutua fiducia e della concorde volontà di un reciproco aiuto sulla base dei principi evangelici della dignità umana, della libertà dell’individuo, della famiglia e dei diritti essenziali dei popoli» (7). Egli era favorevole alla democrazia, avvertendo però che essa non va fatta degenerare in lotte tra partiti.
5) I suoi studi, la Rivoluzione russa del 1917, l’affermazione del comunismo nei Paesi dell’Europa dell’Est, forse alcuni colloqui con esponenti del Pci tra il 1943 e il 1945, hanno portato Schuster a rifiutare il marxismo e lo stalinismo. Scrisse: «Comunismo non significa semplicemente un sistema economico come ancora oggi lo concepiscono parecchi credenti che tempo addietro vollero intitolarsi “Comunisti Cristiani”; oggi il comunismo integrale è essenzialmente un sistema religioso che vuol distruggere i valori dello spirito in grazia del più puro ed assoluto materialismo» (8).
5. L’attività caritativa e assistenziale
Di questo aspetto dell’opera di Schuster parla lui stesso, nello scritto Gli ultimi tempi di un regime (scritto poco dopo il 25 Aprile 1945 e pubblicato l’anno successivo). Utili sono anche le relazioni di mons. Giuseppe Bicchierai, che riassumono ciò che questo prelato ha fatto, a nome di Schuster, per liberare dal carcere sacerdoti e laici ingiustamente detenuti dal regime, e per assistere ebrei, deportati e tanti altri (tra cui anche ex fascisti, dopo la Liberazione).
L’attività caritativa e assistenziale di Schuster si è svolta specialmente tra il 1939 e il 1949. In quali settori? L’arcivescovo si impegnò per dare assistenza ai reduci e ai profughi in vario modo, soprattutto facendo distribuire viveri e indumenti, ma anche incoraggiando quanti agivano per aiutare orfani e mutilati, come nel caso della Fondazione Pro Juventute di don Carlo Gnocchi.
Schuster si interessò anche dei prigionieri politici detenuti a S. Vittore. A tale proposito, i sacerdoti ambrosiani che operarono nella Resistenza scrissero a Schuster: «Grazie, Eminenza, di quanto ha fatto per noi […], di aver liberato alcuni di noi dal carcere e dal concentramento […]. Alcune sue parole, alcuni suoi gesti […] ci hanno profondamente commossi, come quella volta che nel carcere di S. Vittore, davanti alle SS impietrite, ha abbracciato uno di noi […], o l’altra volta in cui si è inginocchiato di fronte al giovane uscito dal carcere […] e lo ha chiamato martire, perché aveva saputo che era stato picchiato e torturato…» (9).
La Curia Arcivescovile di Milano si attivò anche per contribuire alla ricostruzione dopo la guerra. In particolare, nel 1949, Schuster promosse la costituzione della Domus Ambrosiana Spa, un’impresa sorta per costruire, col contributo di finanzieri, impiegati, commercianti e operai, tre moderni quartieri nella periferia di Milano, con affitti inferiori a quelli delle case popolari e destinati a famiglie e giovani coppie con reddito medio-basso. Scriveva Schuster a questo proposito: «Non ci sono case! È impossibile fabbricarne per la situazione finanziaria, per il costo del materiale, per il costo della manodopera. Veramente non ci sono, dicono, case per i poveri, per gli operai e per i semplici impiegati. Ci sono invece case a sufficienza per i ricchi […]. Ora in nome della carità e della giustizia io oso lanciare un appello a quanti possono disporre del superfluo, banchieri, industriali, finanzieri milanesi e della diocesi, perché vogliano concorrere a quest’opera cristiana di costruire case per quanti ne sono privi» (10).
Ricordiamo infine le Mense Arcivescovili (che gestivano la refezione per molte scuole elementari milanesi) e la Charitas Ambrosiana (che si occupava di varie attività di assistenza, col coordinamento di mons. Bicchierai).
6. L’interesse per il mondo della cultura e dell’associazionismo cattolico
L’opera evangelizzatrice di Schuster era rivolta a tutti, anche agli indifferenti e agli ostili, e l’arcivescovo di Milano era certo che essa potesse essere sviluppata attraverso la cultura.
Abbiamo già accennato al forte impegno di Schuster per rendere i fedeli consapevoli del senso della liturgia: egli spiegava loro il significato dei gesti e dei simboli che si possono osservare durante la Messa e ha incoraggiato l’uso dell’italiano nella liturgia; organizzava convegni per cantori; nel 1931 ha fondato una Scuola Superiore di Arte Sacra e una Scuola di Canto Ambrosiano e Musica Sacra (dal 1940 PIAMS – Pontificio Istituto Ambrosiano di Musica Sacra, esiste ancora oggi).
Abbiamo detto anche della stima reciproca tra Schuster e A. Gemelli. Ambedue volevano tornare a evangelizzare una società sempre più laica. A. Gemelli ha fondato, a questo scopo, l’Università Cattolica del Sacro Cuore (1921), che fu anche uno dei principali centri della Resistenza, mentre Schuster ha dato il proprio appoggio all’Università Cattoli ca e ad altre istituzioni culturali. Egli era convinto che i sacerdoti per primi dovessero conoscere non solo la teologia, ma anche le altre branche del sapere; perciò, nel 1953, fondò l’Istituto Sacerdotale Maria Immacolata (con sede prima a Villa Cagnola di Gazzada, poi a Saronno), per la formazione dei preti appena ordinati anche nella catechesi, nella filosofia e nelle scienze sociali. Ma, come abbiamo visto, per Schuster anche l’operato dei laici era importante. Non a caso, egli sostenne l’impegno antifascista dell’Azione Cattolica (di cui si servì anche per l’evangelizzazione nelle fabbriche in funzione anticomunista) e quello di altri esponenti cattolici della Resistenza, come Giuseppe Lazzati (allora rettore dell’Università Cattolica), Enrico Falk ed Enrico Mattei. Scopo di aggiornamento culturale aveva il periodico «Aggiornamenti Sociali», promosso da Schuster, diretto dai gesuiti e rivolto ai sacerdoti e ai laici attivi nel sociale, affinché conoscessero la cultura contemporanea.
Forte fu l’interesse di Schuster per il giornalismo. Nel 1936, egli fondò l’Istituto Cattolico per la Stampa, con lo scopo di far conoscere ai cattolici problemi e fatti della vita cristiana e l’attività della Chiesa nel mondo. Schuster stesso scrisse innumerevoli articoli sul quotidiano cattolico (poi settimanale) «L’Italia».
Degna di nota è l’istituzione, per volontà dell’arcivescovo, dell’Ambrosianeum e del Didascaleion, nel 1948.
L’Ambrosianeum, promosso da sacerdoti e laici ma gestito interamente da laici, venne fondato con lo scopo di «organizzare iniziative culturali e pratiche cristianamente ispirate» (Schuster). Finanziato inizialmente dall’imprenditore Enrico Falk, organizzava varie iniziative, tra cui un corso triennale di studi filosofico-teologici per laici, conferenze con le più importanti personalità della filosofia del tempo (come Michele Federico Sciacca, Luigi Stefanini, Gabriel Marcel), oltre a concerti e mostre aperti a tutti. Esiste ancora oggi.
Il Didascaleion, invece, era dedicato alla formazione di un clero colto, «che sappia conoscere, correggere e guidare il pensiero contemporaneo» (Schuster). Offriva due corsi pluriennali: uno per la comprensione degli eventi sociopolitici del tempo; l’altro, per la preparazione dei sacerdoti che volevano insegnare religione cattolica nelle scuole medie inferiori e superiori (per Schuster era fondamentale insegnare la religione cattolica a scuola, perché era convinto che fosse innanzitutto a scuola che si formano il pensiero e la coscienza di una persona).
Per quanto riguarda il mondo del lavoro, Schuster sostenne l’operato delle ACLI (Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani): queste ultime erano state fondate a Roma nel 1944 per salvaguardare la fede e la coscienza religiosa dei lavoratori cattolici, oltre che per assisterli, assieme ai sindacati della Cgil (Confederazione Generale Italiana del Lavoro), nella rivendicazione dei loro diritti.
Va ricordata anche l’azione dell’Unione Cattolica Imprenditori e Dirigenti (sorta a Milano nel 1945 come Gruppo Lombardo Dirigenti d’Impresa Cattolici per volontà di Remo Vigorelli, Enrico Falck e altri imprenditori): L’Unione era favorevole a un’economia liberista, ma ricercò anche, senza successo, una “terza via” che riuscisse a conciliare le esigenze del libero mercato e l’intervento statale in economia. I soci dell’Unione si batterono anche perché fosse rispettata la moralità professionale da parte dei datori di lavoro, si ponesse attenzione alla qualità delle relazioni umane nell’azienda e venissero aperte varie scuole professionali.
7. Gli ultimi anni
Anche gli ultimi anni di vita di Schuster furono dedicati, nonostante egli fosse sempre più debilitato, all’evangelizzazione, alla carità e allo studio. Per quanto riguarda l’opera evangelizzatrice, ricordiamo in particolare l’invito di Schuster alla collaborazione tra sacerdoti e associazioni laicali (Azione Cattolica e ACLI) per far riscoprire il messaggio cristiano nella Bassa milanese, dove molti fedeli avevano abbracciato il comunismo (1948).
Da notare anche la presenza dell’arcivescovo, come legato pontificio, ai congressi nazionali eucaristici di Assisi (1951) e di Torino (1953): qui in particolare, egli celebrò anche la Messa negli stabilimenti della FIAT a Mirafiori, tra gli operai, con grande partecipazione di questi ultimi.
L’opera assistenziale di Schuster in questi anni lo vide dare numerosi aiuti materiali durante l’alluvione del Polesine (1951) e l’inondazione dell’Olanda (1953).
Come studioso, Schuster diede alle stampe varie pubblicazioni su S. Benedetto e su Maria, tra cui Un pensiero quotidiano sulla Regola di S. Benedetto, S. Giuliano Milanese, Abbazia di Viboldone, 1950-51 e L’evangelo di nostra donna, Milano, Ricordi, 1954.
Schuster morì il 30 agosto 1954, nel seminario di Venegono Inferiore. Nel 1957, il suo successore Card. Giovanni Battista Montini (papa dal 1963 al 1978 col nome di Paolo VI) diede inizio alle indagini per avviare il processo di canonizzazione. Schuster è stato dichiarato beato nel 1996 da Giovanni Paolo II (1978-2005).
Concludiamo con tre pensieri di Schuster, tratti da Un pensiero quotidiano sulla Regola di S. Benedetto (11):
– «La preghiera rappresenta come la colonna del mercurio, il termometro della vita spirituale»;
– «È pericoloso lasciar partire dalla porta un povero senza averlo soccorso: tra tanti mendicanti che picchiano, se quello fosse proprio Gesù Cristo?»;
– «La santità si può paragonare a un ricamo che consta di un numero incalcolabile di piccoli serici punti ad ago».
Preghiera, carità, santità: le tre dimensioni della vita cristiana, che nella vicenda umana di Schuster si sono pienamente realizzate.
BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE
A) Scritti di A.I. Schuster
Fin da giovane, A.I. Schuster mostrò interesse per l’archeologia cristiana, l’arte sacra, la liturgia e la storia monastica. I suoi scritti sono molto numerosi. Ci limitiamo a ricordarne alcuni, a titolo puramente esemplificativo.
Liber Sacramentorum: note storiche liturgiche sul Messale Romano, Marietti, Torino 1919-1929 (commento storico-liturgico in 9 volumi al Messale Romano, frutto di lezioni tenute da Schuster presso il Pontificio Istituto di Musica sacra);
L’imperiale abbazia di Farfa. Contributo alla storia del ducato romano nel Medioevo, Tipografia Poliglotta Vaticana, Roma 1921.
La basilica e il monastero di S. Paolo fuori le Mura. Note storiche, SEI, Torino 1934.
Un pensiero quotidiano sulla Regola di S. Benedetto, Abbazia di Viboldone, S. Giuliano Milanese 1950-51 (in 8 piccoli volumi, scritti con un linguaggio semplice).
L’evangelo di nostra donna, Ricordi, Milano 1954 (scritto di devozione mariana).
La nostalgia del chiostro. Scritti scelti di A. Schuster (a cura di dom Valerio Cattana OSB), Piemme, Casale Monferrato 1996.
Al dilettissimo popolo: parole e lettere alla Diocesi di Milano (a cura di M. Ampollini), Ed. San Paolo, Cinisello Balsamo 1996.
Citiamo anche un’edizione di Gli ultimi tempi di un regime, Daverio, Milano 1960.
B) Scritti su A.I. Schuster
La bibliografia su Schuster è vastissima. Ci limitiamo a ricordare qualche titolo.
– CRIVELLI, Luigi, Schuster, un monaco prestato a Milano, Ed. San Paolo, Milano 1996.
– MAJO, Angelo, Schuster, una vita per Milano, NED (Nuove Edizioni Duomo), Milano 1994 (contiene anche un saggio bibliografico, a cura di A. Rimoldi, aggiornato fino al 1993).
– RUMI, Giorgio, Schuster e Milano, NED, Milano 1983.
– RUMI, Giorgio – MAJO, Angelo, Il Cardinal Schuster e il suo tempo, Ed. Massimo, Milano, 1979 (comprende un’Appendice, che riporta varie fonti e documenti su Schuster e sulla sua opera come arcivescovo di Milano).
Sulla causa di beatificazione:
– AA.VV., “Ora, labora et noli contristari”: documenti relativi alla beatificazione di A.I.Schuster, Centro Ambrosiano, Milano 2001.
– AA.VV., I beati Placido Riccardi e I. Schuster nel cinquantenario della beatificazione e della morte (1954-2004). Atti del convegno di Farfa (6 novembre 2004), Abbazia di S. Maria del Monte, Cesena, 2006 (fa parte del periodico Benedectina, vol. 53/1, 2

1 Angelo MAJO, Schuster, una vita per Milano, p. 34.
2 Tutto è stato salvato, messaggio del 26 aprile 1945.
3 Dopo la Messa in S. Vittore al Corpo nella festa della Madonna del Buon Consiglio, 26 aprile 1945.
4 Un pensiero quotidiano sulla Regola di S. Benedetto, cit. da A. MAJO, Schuster, una vita per Milano, NED –
Nuove Edizioni Duomo, Milano, 1994, p. 144.
5 G. Colombo, Novissima verba [= Ultime parole], in Scritti del Card. Ildefonso Schuster, a cura di G. Oggioni,
Venegono Inferiore, La Scuola Cattolica, p. 25; cit. da Angelo MAJO, Schuster, una vita per Milano, pp. 32-33.
6 Cit. da Angelo MAJO, Schuster, una vita per Milano, pp. 64-65.
7 Cit. da Angelo MAJO, Schuster, una vita per Milano, p. 63.
8 «O Cristo, o comunismo», Rivista Diocesana Milanese, n. 34 [1945], p. 40; cit. da Angelo MAJO, Schuster, una
vita per Milano, p. 68.
9 Cit. da Angelo MAJO, Schuster, una vita per Milano, p. 90, nota 15.
10 Appello di Schuster in Rivista Diocesana Milanese, 38 [1949]; cit. da A. MAJO, Schuster, una vita per Milano,
pp. 93-95.
11 Cit. da Angelo MAJO, Schuster, una vita per Milano, p. 144.

* Dispensa ad uso dei partecipanti alla conferenza sul Card. A.I. Schuster che ho tenuto per l’Antica Credenza di S. Ambrogio – Milano (stagione 2010-11).
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24 Aprile 2015

25 aprile 1945:

il drammatico incontro

fra il cardinal Schuster e Mussolini

L’Arcivescovo di Milano fece un ultimo, disperato tentativo di mediazione fra il duce e la Resistenza, mentre Milano insorgeva. Al Cardinale, più di ogni altra cosa, premeva salvare la città da ulteriori orrori e sofferenze, nel timore che si combattesse casa per casa. Ma Mussolini, di fronte alla richiesta di resa incondizionata e saputo delle trattative separate dei tedeschi, preferì fuggire verso Como, andando così incontro al suo destino.
di Luca FRIGERIO
Pochi mesi dopo la Liberazione, il cardinale Ildefonso Schuster diede alle stampe un volume dal titolo Gli ultimi tempi di un regime, vero libro bianco il cui il primate dell’alta Italia, al di sopra di ogni possibile polemica, intendeva far chiarezza sul ruolo svolto dalla Chiesa ambrosiana tra l’autunno del 1943 e la primavera del 1945, soffermandosi in particolar modo sulla vera portata del suo estremo tentativo di mediazione fra Mussolini e gli esponenti della Resistenza.
Ancor oggi, scorrendo le pagine di quel testo scritto dall’allora arcivescovo di Milano, è facile cogliere alcune connotazioni tipiche della personalità schusteriana: la religiosa pietà, l’umanissima paternità, la delicata discrezione, insieme ad un coraggioso realismo. Colui che in quel drammatico frangente sedeva sulla cattedra di Ambrogio, infatti, si fece carico della civitas nella sua interezza, quale autentico, supremo punto di riferimento, al di sopra delle parti.
Settant’anni fa, alle ore 15 del 25 aprile 1945, il duce era giunto in Arcivescovado accompagnato dal maresciallo d’Italia Graziani, dal ministro dell’interno Zerbino, dal sottosegretario Barracu, dal prefetto Bassi e dall’industriale Cella, dal quale peraltro era partita l’iniziativa per quest’ultima, disperata trattativa.
Salito lo scalone, Mussolini venne accompagnato nella sala delle udienze, interamente tappezzata di damasco rosso, dove per tre lunghe ore si trovò faccia a faccia con il cardinal Schuster.
Fu una colloquio assai faticoso. Da una parte l’arcivescovo che tentava di persuadere il capo della Repubblica di Salò ad arrendersi, dall’altra Mussolini che appariva fisicamente e moralmente distrutto. «Aveva il volto talmente stravolto che faceva l’impressione di un uomo quasi inebetito dall’immane sventura», scriverà Schuster nelle sue memorie, descrivendo dettagliatamente l’incontro.
Il presule aveva perfino fatto preparare una stanza nel palazzo arcivescovile per ospitarvi il duce stesso, nella previsione che questi si sarebbe arreso non appena concluse le trattative con il Comitato di liberazione nazionale, rimanendo lì al sicuro come prigioniero di guerra, con tutte le garanzie internazionali.
Intanto Milano era preda di una grande confusione. Si sapeva soltanto che gli Alleati stavano arrivando e che il Clnai aveva diramato l’ordine di insorgere, motivo per cui in alcuni quartieri si combatteva anche per le strade e fra le case.
Proprio questo era l’angoscioso timore del cardinal Schuster, e cioè che tedeschi e repubblichini decidessero di resistere ad oltranza, trasformando la città in una sorta di Stalingrado, così che la popolazione, che già aveva sofferto pene indicibili, sarebbe stata vittima di nuove tragedie…
I membri designati dal Comitato di liberazione arrivarono in Curia a pomeriggio inoltrato, sia perché si era discusso a lungo sull’opportunità di partecipare a questo incontro, sia perché non era stato agevole rintracciare il generale Cadorna, reduce da una missione in Svizzera.
Il responsabile del Corpo volontari della libertà era accompagnato da Achille Marazza, segretario della Democrazia Cristiana nel periodo della Resistenza, dall’azionista Lombardi e dal liberale Arpesani: tutti avevano ricevuto come unico mandato quello di accettare la resa senza condizioni dei fascisti.
Mussolini, pur preso in contropiede da questa richiesta non trattabile, anche per insistenza dell’arcivescovo si dischiarava disposto a discutere e sembrava quasi sul punto di accettare di deporre le armi. Ma all’improvviso in quel delicato negoziato si intrometteva con arroganza Graziani, affermando che principi di onore e lealtà impedivano al governo della Repubblica sociale di trattare all’insaputa dei tedeschi. Al che l’avvocato Marazza intervenne prontamente, precisando che in realtà le autorità germaniche in Italia stavano negoziando la resa da oltre dieci giorni…
A questa notizia del tutto inattesa, il duce rimase come fulminato: «Ci hanno sempre trattato come servi e alla fine ci hanno traditi!», urlò fuori di sé. L’ormai ex dittatore chiedeva quindi di interrompere la seduta per andare a dire ai tedeschi il fatto loro. Promise che sarebbe stato di ritorno entro un’ora, ma l’attesa, com’è noto, fu vana. Indignato e confuso – «Sapete cosa mi ha detto il cardinale? Di pentirmi dei miei peccati!», sbottò abbandonando la Curia -, Mussolini fuggì verso Como, in un disperato quanto inutile tentativo di sottrarsi al proprio destino.
Da alcuni è stato scritto che quell’incontro in Arcivescovado «fu il tentativo di togliere il merito – della fine del conflitto – alla Resistenza per avocarlo alla Chiesa». Ma si tratta di una posizione insostenibile, come ben ci spiegava l’indimenticato storico Giorgio Rumi, che sottolineava come, semmai, «bisognerebbe mettere in evidenza la gestione umana, anzi umanistica di quella transizione: nel passaggio di poteri che sarebbe seguito alla catastrofe fascista, infatti, il cardinal Schuster cercava di portare un certo rispetto del diritto sostanziale, in modo da evitare massacri, vendette private e processi sommari».

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