Omelie 2018 di don Giorgio: DECIMA DOPO PENTECOSTE

29 luglio 2018: DECIMA DOPO PENTECOSTE
1Re 7,51-8,14; 2Cor 6,14-7,1; Mt 21,12-16
L’esistenza e gli estremi
Credo che la cosa più difficile consista nel conciliare gli estremi, e che, di conseguenza, la cosa più sbagliata consista nel risolvere le difficoltà eliminando uno degli estremi.
Diciamo subito che una vita autentica è contraddistinta dagli estremi: vita e morte, gioia e dolore, giustizia e ingiustizia, pace e violenza, verità e menzogna, ecc.
La gente vorrebbe cercare la via dell’equilibrismo, che consiste nel saper moderare gli estremi, attutirne le punte, e in tal modo trovare una specie di moderatismo o di pace nell’anima così da convivere senza patire troppo, per cui non si è né del tutto vivi né del tutto morti, né contenti né infelici, né pacifici né violenti. Ecco la virtù dell’equilibrista.
Il Vangelo, Cristo e gli estremi
Anche nei Vangeli troviamo gli estremi. Anzi, nei testi più sacri della Bibbia, anche per il loro caratteristico linguaggio semitico, amante dei paradossi, troviamo frasi ed episodi che sembrano evidenziare un Cristo fortemente problematico, per nulla equilibrista.
Troviamo da una parte parole come queste: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore» (Mt 11,29), e, dall’altra, queste altre parole: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare pace, ma una spada» (Mt 10,34).
Troviamo pagine che presentano un Gesù poeta e mistico, e pagine che presentano un Cristo violento. In Gesù troviamo un misto di adulatore delle folle e di sprezzante quasi sadico contestatore dell’ebraismo e dei suoi più rispettabili rappresentanti.
Sembra che la dolcezza e la misericordia del Padre (non dimentichiamo le belle parabole di Luca) si accompagnino con la veemenza del Battista.
Non c’è solo l’episodio del brano di oggi a creare qualche problema agli innamorati pazzi della dolcezza del Sacro Cuore di Gesù. Non dimentichiamo che Giovanni, il più mistico tra i quattro, ha presentato il suo Vangelo come un continuo implacabile processo contro Gesù, e che già nel Prologo, l’inno più elevato presente nella Bibbia, sono anticipati i temi che voi verranno sviluppati nel quarto Vangelo: si tratta di contrasti tra la vita e la morte, tra la luce e le tenebre. E che dire poi delle dure diatribe tra Cristo e gli scribi e farisei?
Nel quarto Vangelo ci sono pagine così violente da metterci in difficoltà, quando le leggiamo e soprattutto quando noi preti dobbiamo spiegarle ai fedeli.
Del resto, l’episodio di oggi, mentre i tre sinottici (Matteo, Marco e Luca) lo pongono verso la fine della vita di Cristo, e ciò potrebbe anche giustificarlo in parte a causa della tensione anche psicologica a cui era stato sottoposto Gesù, invece l’evangelista Giovanni lo presenta all’inizio del suo Vangelo, capitolo 2, subito dopo il miracolo di Cana. E questo è molto significativo: Gesù, fin dall’inizio, fa capire che non scherza, e che è lucidissimo, pronto ad affrontare le ire dei capi ebrei.
Ma c’è un’altra cosa da sottolineare. Sempre Giovanni il mistico aggiunge un particolare che non è secondario: mentre i tre sinottici si limitano a dire che Gesù ha rovesciato i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe, l’autore del quarto Vangelo  scrive testualmente: Gesù «allora fece una frustra di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio».
Immaginiamo Cristo che si prepara una frustra, per poi usarla contro i dissacratori del tempio. E immaginiamo anche la scena che Gesù aveva davanti a sé. Succedeva che il cortile del Tempio, detto dei Gentili (o dei pagani), soprattutto nelle vicinanze delle maggiori festività religiose, ad esempio la Pasqua, diventasse una specie di mercato, dove si cambiavano le monete pagane in monete sacre e si acquistavano e si vendevano animali per il sacrificio. Una baraonda di affaristi senza scrupoli e di gente che urlava.
Ecco, Cristo vuole dare subito, secondo il Vangelo di Giovanni, un gesto forte, senza equivoci, altamente profetico: vuole far capire che cos’è il vero tempio di Dio: una casa  senza sangue di innocenti animali e senza la profanazione del dio denaro.
Perché Gesù se la prendeva così tanto?
Perché Gesù talora era così duro e violento? Forse perché anche lui aveva un caratteraccio, era un istintivo che non si controllava? Era un collerico?
Ripeto: non si è trattato solo di qualche gesto, narrato qua e là dai Vangeli. Era nella sua stessa natura di Verbo incarnato prendersela, quando aveva a che fare con alcune situazioni o con alcune mentalità.
Che cosa in realtà Gesù non sopportava?
Non sopportava anzitutto l’ipocrisia. Presso gli antichi greci l’ipocrita era l’attore che, per rappresentare diverse parti, doveva usare diverse maschere. Da qui la parola “finzione”. La parola “ipocrita” passerà a indicare, dunque, l’atteggiamento di chi finge nella vita. C’è una famosa pagina del Vangelo (Matteo 23) in cui Cristo si scaglia contro gli scribi e i farisei definendoli “ipocriti”: una delle parole più dure in bocca a Gesù Cristo. Una parola da leggere e rileggere, quando qualcuno ci accusa di essere troppo duri contro le ipocrisie dei politici e degli uomini di Chiesa. E smettiamola di dire che non bisogna offendere la “persona”. Non penso che Cristo avesse di mira offendere la persona, ma i suoi atteggiamenti, i suoi comportamenti, le sue ideologie.
Ma c’è un’altra ragione per cui Cristo si arrabbiava e si scagliava anche violentemente contro certi atteggiamenti o modi di testimoniare la fede e la morale. Era quando egli vedeva che non si avevano idee chiare sulla verità e la libertà. Famoso l’incontro/scontro tra Gesù e alcuni giudei, tra l’altro credenti in lui, narrato da Giovanni al capitolo 8. Volano parole grosse, tra cui: tu sei “indemoniato”, e alla fine quegli ebrei prendono le pietre per ucciderlo.
E, tornando al tempio, che Gesù non solo vuole purificare dai ladri, dai mercanti, dagli affaristi, dal sangue di innocenti agnelli, ma ne profetizza la distruzione materiale, perché nel tempio ebraico era rimasto il vuoto, solo un idolo manufatto umano, non possiamo dimenticare le parole di San Paolo nel secondo brano di oggi: “Noi siamo, infatti, il tempio del Dio vivente”.
Qui sta il segreto della dura lotta di Cristo: egli era venuto per dire, appunto, che noi siamo il tempio di Dio, non solo nel corpo, quanto nello spirito del nostro essere.
Certo, anche il nostro corpo va rispettato, ma il Divino abita dentro di noi, nel nostro essere più interiore, nel fondo dell’anima.

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