29 ottobre 2023: SECONDA DOPO LA DEDICAZIONE
Is 45,20-23; Fil 3,13b-4,1; Mt 13,47-52
Vorrei soffermarmi a riflettere sul terzo brano della Messa, nelle sue parole conclusive, quando Gesù rivolge la domanda ai discepoli: «”Avete compreso tutte queste cose?”. Gli risposero: “Sì”. Ed egli disse loro: “Per questo ogni scriba, divenuto discepolo del regno dei cieli, è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche”.
In realtà, l’evangelista Matteo pone la domanda di Gesù ai suoi discepoli al termine della narrazione di ben sette parabole. I discepoli rispondono che le hanno capite. Allora Gesù delinea il compito di ogni credente. Qual è?
Bisogna fare sintesi tra il patrimonio di valori che si sono maturati, la Parola di Dio ricevuta, le proposte dei Profeti che si sono ereditate (Gesù parla ad ebrei) e tutto quello che la presenza di Gesù nel mondo ha svelato, proponendo una sapienza nuova, progetti e criteri impensati, che però sono stati rivelati e mostrati.
E ad ogni scriba, che si fa discepolo, il padrone di casa affida un compito preciso: aprire la porta della casa e accogliere gli ospiti, offrendo loro in dono cose nuove e cose antiche.
Il cardinale Carlo Maria Martini, in occasione della solenne liturgia, celebrata presso il Santuario di Santa Maria del Monte, Sacro Monte, il 28 luglio del 1990, a ricordo del XII anniversario della morte del Papa Paolo VI, commentando proprio il brano del Vangelo di oggi, tra l’altro si è soffermato sulle ultime parole che riguardano il discepolo che sa trarre dal suo tesoro cose buone e cose antiche.
Carlo Maria Martini prima si chiede: «Che cosa intende dire Gesù? Chi è questo scriba divenuto discepolo del Regno? Che cosa sono le cose vecchie e quelle nuove che il padrone di casa estrae dal suo tesoro?».
Poi dà una risposta chiarendo: «La parola “scriba” designava uno che sa scrivere; concretamente, nell’originale greco ed ebraico, uno che sa leggere la Legge e sa spiegarla, che la conosce bene, quindi un rabbino, un uomo che indica come bisogna comportarsi nelle diverse situazioni. La novità dell’affermazione di Gesù sta nel fatto che egli usa il vocabolo “scriba” per designare anche i propri discepoli e non solo persone appartenenti al mondo istituzionale ebraico. In un altro passo del Vangelo di Matteo, dice infatti: “Ecco, io vi mando profeti, sapienti e scribi” (23,34). Dunque, ci sono scribi nella tradizione ebraica e ci sono scribi di Gesù; si tratta di una funzione propria del regno di Dio, una funzione che si deve esercitare nel regno di Dio e nella Chiesa. Questo scriba divenuto discepolo del regno dei cieli viene paragonato a un padrone di casa. Conosciamo altre parabole dove il regno dei cieli è paragonato a un padrone di casa: c’è il padrone che va al mattino a cercare operai per la sua vigna (cfr Mt 20,l ss) e c’è il padrone di casa che dopo aver piantato una vigna manda i servi, al tempo del raccolto, per ritirare i frutti (cfr Mt 20, 32 ss). Possiamo allora pensare a tutti coloro che hanno responsabilità nella Chiesa e che devono dare giudizi di valore: sacerdoti, vescovi, papi, ma anche tutti i laici impegnati nella vita ecclesiale e, potremmo dire, gli stessi politici cristianamente impegnati. Sono tutti scribi divenuti discepoli del regno dei cieli, simili a un padrone di casa, perché devono amministrare rettamente, formulare giudizi giusti, esprimere valutazioni corrette, concordare tra loro dei modi di agire onesti ed efficaci. Questa quarta parabola tocca, come vedete, tanti di noi, tanti responsabili della Chiesa e della società».
Ora Martini si chiede: «Che cosa significa il tesoro da cui il padrone di casa, lo scriba divenuto discepolo del Regno, estrae cose nuove e antiche? Talora il Vangelo usa un’espressione simile in senso morale, quando parla, per esempio, dell’“uomo buono che dal suo buon tesoro trae cose buone”, mentre il cattivo cose cattive (cfr Mt 12,35). Dal frutto si riconosce l’albero; le azioni di ciascuno, e pure le grandi decisioni, ecclesiali, sociali, culturali, politiche, partono dal cuore (aggiungo di mio: il cuore per gli ebrei era inteso come sede dell’intelletto, della psiche e della volontà). Ciascuno decide secondo le sue intenzioni profonde, secondo ciò che c’è dentro di lui».
Aggiungo di mio: le decisioni, le scelte partono dal proprio essere più profondo, più puro, se queste vorranno essere autentiche. Il tesoro da cui estrarre cose nuove e cose antiche è dentro di noi: non è perciò un bagaglio di idee, di doti naturali, di culture le più stravaganti. Perché dobbiamo restare sempre fuori del nostro essere e attingere chissà a quali fonti che sembrano tanto seducenti quanto ingannevoli?
Martini continua a spiegare: «La novità della parabola consiste nelle parole finali: “estrae fuori dal tesoro cose nuove e cose antiche”. È paradossale, perché ordinariamente nel tesoro, ossia nella dispensa, nella cassaforte, nelle cassette di sicurezza, ci sono cose antiche; le nuove sono quelle che vengono prodotte nelle fabbriche o che andiamo a comperare al mercato. Gesù però (ed è il punto chiave del discorso) dice che chi si è veramente convertito alla novità del Regno è capace di trarre fuori dal tesoro della tradizione, pur restando fedele ad essa, delle novità coraggiose. Non è un ripetitore del passato, ma uno che ama la tradizione, che le è fedele fino ai puntini sugli “i” e, proprio in grazia di tale fedeltà, avendo convertito il suo cuore alla novità evangelica, sa pronunciare parole nuove, che attraggono la gente rendendola attenta, pensosa, scuotendola. La gente avverte un timbro nuovo, si accorge che non sono parole trite e ritrite, sente che c’è un rispetto della tradizione, della dottrina, della Costituzione, delle leggi, e insieme c’è una novità, una incisività, una gioia, un gusto che coinvolge. Questa è la meraviglia dello scriba divenuto discepolo del Regno, simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».
Martini conclude: «Notate anche l’ordine delle parole di Gesù: cose nuove e antiche, non cose antiche e nuove. Sono nuove, ma pure antiche, perché c’è questa ricchezza interiore dello Spirito di Dio che permette di uscire dai binari usati, stanchi, dell’agire quotidiano comune, sociale, ecclesiale, culturale, politico, per dire qualcosa di autentico, di serio, di nuovo, che è ancora la verità di prima nella quale si riconosce l’unico mistero di Dio rivelato, una volta per sempre, in Gesù Cristo».
Concludendo, la novità sta nelle radici che risalgono alle sorgenti divine. L’essenzialità non ha tempo: non è ieri, né oggi né domani. L’essenzialità è l’Eterno presente. Gesù ha detto alla Samaritana: «Viene l’Ora, ed è questa..”. L’Ora dello Spirito, che è Novità imprevedibile, ricco di Sorprese.
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