
L’arrivo di un gruppo di sfollati da Goma nel campo di treabnsito di Rugerero, vicino Gisenyi in Ruanda – Ansa
da www.huffingtonpost.it
29 Gennaio 2025
Il Ruanda vuole ridisegnare
la mappa d’Africa.
Il “cocco” dell’Occidente soffia
sui ribelli del Congo
di Giulia Belardelli
Fallisce la mediazione del Kenya, salta l’incontro fra presidenti. La milizia M23 sostenuta dai ruandesi vuole Goma e la regione orientale del Congo, ricchissima di minerali. Si registrano oltre 500mila sfollati e violenze diffuse. Chi avrebbe una leva per fermarli sono i paesi occidentali, ma da un decennio hanno puntato tutto sul Ruanda, ed è il Congo a farne le spese
Il ritorno in Occidente della forza come metodo per ridisegnare i confini – prima con la guerra in Ucraina, ora con le minacce di Donald Trump sulla Groenlandia – dovrebbe aumentare il nostro grado di sensibilità per quel che sta accadendo nella Repubblica democratica del Congo, dove un gruppo di miliziani – sostenuti e incoraggiati dal governo del Ruanda – si è impossessato di territori sempre più ampi nella regione orientale del Paese, fino a conquistare la città di Goma, che conta più di un milione di abitanti. Gli sfollati nella provincia del Kivu Nord sono già più di 500mila, in un contesto in cui l’Oms segnala un aumento preoccupante degli stupri, da tempo usati come strumento di guerra in una delle regioni più insanguinate del mondo.
La presa di Goma è il culmine di più di due anni di violenza da parte dei ribelli congolesi di M23, un movimento nato per difendere i tutsi congolesi ma che nel tempo si è trasformato in una milizia proxy del Ruanda, il quale punta a estendere la propria influenza in quest’area della Repubblica democratica del Congo ricchissima di minerali, ma anche a eliminare le Forze democratiche per la liberazione del Ruanda, di etnia hutu. Secondo gli analisti, il Ruanda – che pure continua a negare di essere coinvolto direttamente – ha fino a 4.000 soldati nel Congo orientale a supporto dell’avanzata di M23. Negli ultimi anni – ricostruisce l’Economist – il rapporto tra il governo di Kigali e i ribelli si è rafforzato sempre di più, al punto che il movimento ha utilizzato missili terra-aria e veicoli blindati che lo rendono più simile a una divisione dell’esercito che a una milizia eterogenea. Nelle settimane precedenti l’ultima offensiva, il Ruanda ha bloccato i dispositivi GPS utilizzati dalle forze anti-M23; il 26 gennaio un drone d’attacco ruandese è entrato in azione, mentre i soldati di M23 combattevano contro alcune centinaia di forze speciali congolesi sul monte Goma, alla periferia della città, e poi in scontri strada per strada.
Le intenzioni del governo di Paul Kagame, presidente del Ruanda, sembrano fin troppo chiare: quello che vuole è ridisegnare la mappa della regione, aumentando il proprio controllo su un’area ricchissima di minerali rari. L’anno scorso M23 ha sequestrato una zona attorno alla città congolese di Rubaya che è ricca di coltan, un minerale utilizzato nei cellulari e nei computer. Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, a dicembre almeno 150 tonnellate di coltan sono state esportate illegalmente in Ruanda e mescolate alla produzione ruandese. Il ministro degli Esteri del Ruanda Olivier Nduhungirehe ha dichiarato all’Associated Press che il presidente congolese Tshisekedi “dovrà accettare i colloqui con M23” per porre fine al conflitto. Gli analisti affermano che M23, sotto la guida del Ruanda, sta cercando di occupare il Congo a lungo termine. Il piano sarebbe quello di istituire uno stato amministrativo con cui imporre tasse e multe ai residenti (“affinché la gente possa continuare a vivere una vita normale e gli sfollati possano tornare a casa”, nella versione presentata dal movimento stesso all’Associated Press, con assonanze impressionanti alla retorica russa nel Donbass).
Se questo è il piano – preparato e portato avanti nell’indifferenza della comunità internazionale – non sorprende né l’impasse in cui si trova il presidente della Repubblica democratica del Congo Felix Tshisekedi, né la rabbia espressa ieri dai congolesi, che hanno attaccato diverse ambasciate straniere e un edificio delle Nazioni Unite a Kinshasa in un’esplosione di collera verso gli alleati del Congo per non essere riusciti a fermare l’avanzata di M23. In tutto ciò il presidente Tshisekedi ha fatto sapere che non parteciperà alla riunione d’emergenza della Comunità dell’Africa Orientale (Kenya, Tanzania, Uganda, Burundi e Ruanda) focalizzata sulla situazione nel suo Paese. Il tentativo di mediazione del Kenya, per ora, non sta dando alcun risultato, tanto meno gli appelli dell’Onu a sedare le violenze.
In questa storia, gli unici ad avere delle leve sono i Paesi occidentali, che però – come sottolinea il New York Times – negli ultimi anni hanno progressivamente puntato sul Ruanda sotto diversi aspetti. La piccola nazione centroafricana guidata da Kagame ha trascorso l’ultimo decennio a rafforzare la sua reputazione tra le potenze occidentali, diventando troppo utile per essere sanzionata alla svelta, affermano alcuni analisti. L’Unione Europea ha firmato un accordo strategico sui minerali con il Ruanda l’anno scorso, suscitando accuse da parte dei gruppi per i diritti umani di alimentare il conflitto. Il Ruanda, con una popolazione di soli 14 milioni di persone, attualmente fornisce il secondo numero più alto di peacekeeper alle Nazioni Unite. A partire dal 2021, le sue truppe hanno respinto un’insurrezione jihadista in un’area del Mozambico dove un gigante petrolifero francese ha un progetto di gas da 20 miliardi di dollari. E poi c’è la questione migranti, con la disponibilità manifestata dal governo di Kigali ad accogliere i richiedenti asilo dall’Europa, per la gioia dei partiti e delle forze di governo di destra.
“I Paesi occidentali sono stati a lungo reticenti nel punire il Ruanda, che si è coltivato la reputazione di beniamino dei donatori”, ha affermato al Times Dino Mahtani, ex consigliere della missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite in Congo. “Mentre alcuni ora chiedono finalmente a Kagame di ritirare il supporto a M23, è improbabile che agiscano contro quella che vedono come la soluzione militare contro i jihadisti in Mozambico”.
A parte qualche rimprovero, per ora l’Occidente non ha battuto un ciglio, salvo preoccuparsi delle sue ambasciate e dei suoi viaggiatori. Il Belgio è stato il primo Paese a sconsigliare, a partire da oggi, viaggi nella Repubblica democratica del Congo. Il capo della diplomazia americana Marco Rubio ha chiesto al presidente ruandese “un cessate il fuoco immediato nella regione”, invitando “tutte le parti a rispettare l’integrità territoriale sovrana” della Repubblica democratica del Congo, si legge in una nota del Dipartimento di Stato. Nel 2012, quando M23 assaltò per la prima volta Goma, le pressioni americane furono decisive per far rientrare la situazione. Oggi il quadro è radicalmente cambiato: alla Casa Bianca siede un uomo che è il primo a voler cambiare le mappe geografiche a proprio piacimento.
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da AVVENIRE
28 gennaio 2025
Congo.
Che c’è dietro la caduta di Goma:
«Gli Usa che tentano di scacciare i cinesi»
Ilaria de Bonis
Il controllo delle risorse minerarie è stato al centro delle altre due guerre nel Kivu. Aeroporto in mano ai ruandesi dell’M23, «100 morti negli scontri». A Kinshasa raid alle ambasciate occidentali

Due donne sopravvissute agli scontri tra l’esercito congolese e i ribelli filo-ruandesi – Ansa
La sostanziale impunità del Ruanda nel “grande gioco” dei minerali “insanguinati” del Nord Kivu; le responsabilità dell’Europa in un conflitto infinito e complicatissimo. E la longa manus degli Usa sul futuro minerario del Congo. Sono gli elementi a corredo del dramma in corso in queste ore a Goma, nella Repubblica democratica del Congo. Con la presa della città da parte del movimento armato M23 la guerra decennale è ad un punto di non ritorno. I missionari italiani in Africa lo denunciano inascoltati da almeno 15 anni: le immense ricchezze del suolo e sottosuolo sono la ragione che ha favorito la “balcanizzazione” del Congo. «Di certo è come se i nostri fratelli e sorelle d’Africa non esistessero per noi: tutto questo accade mentre usiamo tranquillamente le loro risorse per il nostro benessere quotidiano, come ai tempi di re Leopoldo del Belgio», commenta ad Avvenire don Giovanni Piumatti, per anni missionario nel Kivu. La certezza è che tutti abbiano approfittato del conflitto predatorio in corso nell’Est per accedere all’oro, cobalto, coltan, rame congolese, passando attraverso le triangolazioni del Ruanda.
Ieri le ambasciate di Ruanda, Francia e Stati Uniti (ma non quella italiana) a Kinshasa, sono state prese d’assalto da gruppi di contestazione locali, con l’accusa di appoggiare i ribelli dell’M23. Ma che ruolo avrà l’America di Trump in questa “corsa all’oro” finale, dominata finora dalla presenza cinese? «Anzitutto, sia gli Stati Uniti che la Francia e il Belgio, pur condannando l’M23, e di rimando il Ruanda per il sostegno fornito al movimento armato, non hanno mai imposto sanzioni commerciali a Kigali o all’immarcescibile leader Paul Kagame. L’unica arma che davvero funzionerebbe», fa notare Luca Jourdan, docente universitario di antropologia politica a Bologna e ricercatore sul campo dal Nord Kivu. È invece certo che il neo eletto presidente Donald Trump andrà avanti con la costruzione del Corridoio di Lobito, arteria ferroviaria cruciale nell’Africa Australe.
Lunga circa 1.300 chilometri collegherà Zambia settentrionale e Angola, passando per il sud della Repubblica democratica del Congo, e da città come Kolwezi, finora al centro del business illegale del cobalto. Dal porto di Lobito, attraverso tutta la costa atlantica, una rete “faraonica” finanziata dagli Usa, trasporterà materie prime cruciali e terre rare, preziose per il futuro dell’economia occidentale.
«È la svendita totale delle risorse naturali della regione», dominata non più dalla Cina, ma dagli Stati Uniti, sostiene l’analista economico congolese Dady Saleh. In quest’ottica si comprende meglio il sostegno dato a diversi “alleati” africani dell’Occidente, come il presidente Kagame, in Ruanda. Kagame, inoltre, ha saputo «capitalizzare» molto bene sulla tragedia del genocidio del 1994, sostiene Luca Jourdan. La milizia armata M23, senza il sostegno militare ruandese e senza il silenzio occidentale, «non sarebbe mai arrivata fino a Goma», è la convinzione di quasi tutti coloro che operano in Congo, tra missionari, cooperanti e testimoni locali. «Il Ruanda è stato sempre esaltato dalle diplomazie internazionali e ha goduto di libertà d’azione senza limiti nell’Est del Congo», denuncia Jourdan. Tanto che l’Unione Europea ha siglato a febbraio del 2024 con il Ruanda che non possiede miniere, un memorandum of understandig per favorire lo sviluppo «sostenibile» delle materie prime “critiche”, ossia per aiutare il Ruanda nella raffinazione di oro e tantalio. Inoltre, la società britannica Power Resources International, ad esempio ha in ballo la realizzazione di una raffineria di coltan nel parco industriale di Kigali. Nel frattempo è l’intero popolo dell’Est del Congo a pagare il prezzo più alto dell’instabilità e della predazione congolese. In queste ore a Goma si vive nel caos e nel terrore, i miliziani M23 hanno preso il controllo dell’aeroporto, mentre le vittime dell’Onu sono salite a 17 portando a «cento morti e oltre mille feriti», secondo fonti ospedaliere, il numero delle vittime degli scontri nella metropoli.
Tutti fuggono dalla città in fiamme, lasciando case vuote e vite appese. Chi può, compresi diversi connazionali, attraversa il confine ruandese: tra loro ci sono Marco Rigoldi, missionario laico nel Centro Casa Goma, e sua moglie Arielle Maweja, incinta del primo figlio. Avevano portato a Goma la loro missione tra i bambini e i ragazzi senza fissa dimora. «A Goma gli italiani sono rimasti in quindici, in buona parte religiosi, cooperanti e residenti abituali», si legge in una nota della Farnesina.
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