Omelie 2016 di don Giorgio: SECONDA DOPO LA DEDICAZIONE

30 ottobre 2016: Seconda dopo la dedicazione
Is 25,6-10a; Rm 4,18-25; Mt 22,1-14
Un ideale pranzo fantastico
Nel testo di Isaia, scritto probabilmente dopo l’esilio babilonese, si profilano gli eventi gioiosi della conclusione definitiva della storia: il raduno sul monte del Signore, il banchetto, l’instaurazione del Regno eterno. Tutto questo viene intravisto all’orizzonte, anche se confusamente, dal profeta che però si fida della visione divina, e per renderla più espressiva ricorre all’immagine classica del banchetto.  La vittoria finale sarà, dunque, contrassegnata da un pranzo universale, diciamo fantastico, organizzato dal Signore, su un monte ideale (Gerusalemme è in questo caso idealizzata), a cui tutti gli esseri umani sono invitati a festeggiare la fine del mondo vecchio e malvagio e l’inizio del nuovo.
Anche il menu è fantastico: al massimo della sovrabbondanza e della bontà o prelibatezza dei cibi più gustosi e dei vini più raffinati. È interessante il commento dei rabbini: ripensando alla potenza di Dio che ha ucciso un mostro marino, chiamato Leviatan, dato quindi come “carne per il popolo che abitava nel deserto” (Salmo 74,14), hanno concluso che la vivanda principale dei giusti dovesse essere la carne di questo mitico pesce. Perciò, in Israele, ancora oggi, alla cena del venerdì sera, quando inizia il sabato, si è soliti mangiare pesce per richiamare a tutti gli uomini pii il banchetto celeste che li attende.
Senza cercare di voler capire il pensiero del profeta, che ripeto, in quanto profeta del Divino, annuncia ciò che intravede all’orizzonte, senza determinare luoghi e tempi, circostanze o altro al di là di immagini che già parlano da sole agli spiriti liberi, vorrei dire quanto sia affascinante pensare che c’è un Progetto positivo sulla storia umana, e che questa storia non è nelle mani nostre.
Ma è già importante credere che il mondo va verso l’unificazione totale, e non verso la frantumazione dell’Uno, o la mitizzazione del molteplice: si va verso la Totalità che si armonizza nell’Unità.
Qualcuno sta forse pensando: che cosa sta dicendo questo prete? Elucubrazioni personali, campate per aria! No, il punto di partenza è un’amara constatazione: noi viviamo in questo mondo, e il mondo è ritenuto “nostro”, dividendolo e suddividendolo, prendendo ciascuno la propria parte! Al domani penserà chi verrà dopo di noi!
Credo, invece, a differenza di questi panciroli, che il futuro dipenderà dal modo con cui oggi viviamo in attesa della unificazione della storia. Ma, purtroppo, la storia è continuamente frantumata, in una serie di egoismi a non finire, e poi ci si lamenta perché ancora oggi ci siano guerre, violenze, egoismi fratricidi.
È la visione dell’insieme che ci manca: di un insieme che è la composizione progressiva del molteplice verso l’unificazione cosmica.
Una parabola irritante, dura da digerire
Anche nel brano del Vangelo si parla di un banchetto, attraverso una parabola di Gesù, che è forse una delle più irritanti e dure da digerire. Tutte le volte che sono costretto a spiegarla devo sempre ricorrere al contesto e anche al linguaggio apocalittico dell’evangelista che, rivolgendosi al mondo ebraico, non poteva non tener conto di ciò che in realtà era già successo, con la distruzione di Gerusalemme e del Tempio.
Tuttavia, quando sento dire, da parte di Gesù, che alla fine, dopo che i suoi inviti a partecipare alle nozze sono stati disattesi e che addirittura i servi sono stati uccisi, il re ha deciso di mandare le sue truppe per uccidere quegli assassini e per dare alle fiamme la loro città, sapendo che il re è l’immagine di Dio Padre, beh, non posso essere del tutto d’accordo. E anche la storia del vestito nuziale non convince, anche se gli studiosi moderni tendono a ritenere la parabola come la fusione di due parabole distinte.
Oltre la parabola
Tentiamo ora qualche riflessione, andando al di là dei particolari della parabola, che poi non sono del tutto particolari, ma almeno al di là di quella che potrebbe essere una lettura troppo legata al testo.
Anzitutto. Gesù si è rivolto ai caporioni del popolo ebraico, ovvero ai rappresentanti di una religione che aveva fatto dell’esclusivismo e del campanilismo più gretto, razziale, culturale e religioso, il cuore senza cuore di un dio ridotto a idolo. In questo senso, la parabola esce dal contesto storico dei tempi di Cristo, ma non avrà mai le ali abbastanza forti per superare anche le collinette più dolci. Ancora oggi siamo qui a morire di campanilismo, di razzismo e di barbarismo, di mobilitare i paesi per bloccare l’accoglienza ai più sfortunati. E così il pranzo si fa occasione solo culinaria, ovvero per riempirsi la pancia, per fare un’opera buona che non laverà certo l’onta razzista.
Una seconda riflessione. I veri inviati di Dio, che vanno ad annunciare al mondo intero l’invito ad allargare gli orizzonti in vista del pranzo cosmico, non sono i servitori della religione, ma i profeti, gli spiriti liberi, i mistici, che vengono sistematicamente fatti fuori dalla stessa religione, ed è a questa religione che Dio si rivolge, perché apra le porte e le finestre sull’Umanità.
Che dire della veste nuziale, senza della quale non si può entrare nel nuovo Regno di Dio, presente già qui sulla terra: un Regno in fieri, ma da realizzare nel tempo, con la collaborazione di ogni essere umano?
Si sono dette tante cose, si sono scritte pagine e pagine di interpretazioni, anche interessanti e suggestive, ma una cosa andrebbe ribadita: la veste non è qualcosa di formale, non è un apparato o una struttura che si indossa. Si tratta di qualcosa di interiore, quella veste che di per sé non è una veste, perché l’essere interiore è totalmente spoglio, è nudo, non è coperto da alcunché. L’essere è puro spirito, e dire umano non significa dire qualcosa che si indossa, ma l’essere umano è ciò che siamo.
Dovremmo chiederci, se siamo veramente onesti, quanti tra i credenti avrebbero il diritto di dirsi cristiani, appartenenti al nuovo regno di Dio. Ma il vero problema non è tanto essere o non essere cattolici, ma essere o non essere umani. Anche il cattolicesimo può essere una veste inadatta al regno di Dio, quando copre o, peggior, sostituisce la realtà profonda del nostro essere con qualcosa di strutturale.
Quando ci giudicherà, Dio non chiederà: Quante opere buone hai fatto, quante volte sei andato in chiesa, quante volte hai pregato ecc., ma: Hai scoperto chi sei? Dov’è il tuo essere? Non ho bisogno di vedere cose e cose, pur buone e belle, ma se mi hai scoperto nel profondo del tuo cuore.

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