30 ottobre 2022: SECONDA DOPO LA DEDICAZIONE
Is 25,6-10a; Rm 4,18-25; Mt 22,1-14
Anche i brani della Messa di oggi ci provocano a tal punto da non sapere che cosa del loro messaggio scegliere per far cadere qualche riflessione sulla nostra realtà esistenziale. Ogni riflessione sembra quasi un voler sminuire la potenza di una parola, quella di Dio, che, tramite il profeta Isaia, l’apostolo Paolo e lo stesso Gesù Cristo, ci stimola al Meglio. Dire Meglio significa quella tensione al Bene Sommo, da cui veniamo e a cui torniamo.
Siamo sempre tentati di giocare al ribasso anche con la parola di Dio, e così far perdere la sua provocazione al Meglio.
Il primo brano fa parte del capitolo 25 del libro di Isaia, che gli studiosi definiscono come un inno di ringraziamento. Il capitolo 25 segna un passaggio da una atmosfera cupa del capitolo precedente all’inno di lode. In realtà, si parla sempre di giudizio divino sulla città del male, definita la “fortezza dei superbi”, ma si celebra soprattutto la liberazione dei poveri e degli oppressi che con gioia assistono al tracollo dei potenti.
Qualcuno dice che non bisogna gioire alla disfatta dei potenti, ma anche la Madonna nel Magnificat sembra esultare, ringraziando il Signore che compie meraviglie, distruggendo il potente e innalzando l’umile.
Il brano di oggi inizia con il versetto 6 del capitolo 25, leggiamo anche i primi cinque versetti.
“Signore, tu sei il mio Dio, ti esalto e lodo il tuo nome, perché hai eseguito progetti meravigliosi, concepiti da tempo, immutabili, veritieri”.
Soffermiamoci per un attimo su questo primo versetto. Notate i verbi usati: esultare, ovvero gioire, lodare il nome di Dio, nome che sta per essenzialità divina innominabile. Anticamente, presso gli ebrei, non si poteva pronunciare il nome di Dio, e tanto meno pronunciarlo “invano”. Si parla di progetti di Dio che sono meravigliosi. Progetti concepiti da tempo, ovvero dall’eternità. Tra Dio e il suo Progetto non c’è spazio di tempo. Dio è il Progetto, è l’Idea assoluta. Dunque, il Progetto è Meraviglia, è la Meraviglia. Ci sorprende sempre, tanto più quando siamo distratti e pensiamo ad altro. Di meraviglia in meraviglia è la nostra fede in Dio. Fede dunque è Stupore, non è una credenza religiosa fissa, immobile, ben inquadrata, dogmatica. Fede è un camminare di meraviglia in meraviglia, purché rientriamo in noi stessi, dove l’essere si unisce al Mistero divino che è la Meraviglia. Fuori di noi, siamo solo carnalità, che dice nulla di nuovo, ma tutto di scontato.
Il Progetto divino è immutabile nel senso che è già tutto nel Tutto divino. Non è mutevole come siamo noi, che mutiamo parere secondo le comodità.
Infine il Progetto divino è veritiero: Dio è la Verità assoluta, da cercare nella realtà del nostro essere interiore, purificato, sciolto da ogni legame con i condizionamenti carnali.
Ed ecco il secondo versetto: “Poiché hai trasformato la città in un mucchio di sassi, la cittadella fortificata in rovina, la fortezza dei superbi non è più una città, non sarà più ricostruita”.
Si parla di città, un termine che nei capitoli 25 e 26 del libro di Isaia ricorre più volte. Si contrappongono due città: una, superba e orgogliosa, che è stata distrutta, e una che invece è protetta e salvata dal Signore. Secondo alcuni studiosi, il profeta si riferisce sempre a Gerusalemme, prima distrutta e poi restaurata dal Signore; secondo altri esegeti il testo contrappone Babilonia, la città dell’idolatria, alla città santa, Gerusalemme. Al di là delle città concrete, però, questi capitoli presentano il giudizio di salvezza per l’umanità e di condanna per le forze del male.
Passiamo agli altri versetti: “… tu sei stato un rifugio per il debole, un rifugio per il povero nella sua angustia, riparo dalla tempesta, ombra contro il calore; poiché il soffio dei potenti è come la pioggia invernale, come il caldo sulla terra arida. Tu reprimi il tumulto dei superbi come il calore all’ombra di una nube, mentre il canto dei tiranni affievolisce”.
Dio non teme nessun potente, anzi i potenti temono Dio. La Madonna nel Magnificat dirà le stesse cose: “Il Signore ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”.
Attenzione: la cosa interessante che troviamo nel Magnificat non è tanto porre l’accento sulla promessa di Dio che interverrà a ribaltare le cose. No, Dio non promette, Dio è già, si è comportato già così. Basta leggere e rileggere la storia, e che cosa vediamo? Non c’è stato un potente che sia sopravvissuto alle sue angherie: i troni hanno visto migliaia di potenti rovesciati, dall’altare alla polvere. La Storia, quella vera, dovrebbe insegnare. Ogni caduta nella polvere dovrebbe essere un richiamo, è una lezione di vita. Invece no, è il solito avvicendarsi di potenti che salgono sul trono per poi crollare, e si continua così, perché l’imbecillità umana è quasi infinita.
Ed ecco il brano di oggi. Una spettacolare immagine, o, meglio, una indescrivibile visione profetica che allarga ogni confine del mondo. Oggi se qualcuno avesse detto ciò che ha visto il profeta Isaia nell’ottavo secolo avanti Cristo, ovvero più di 2700 anni fa, sarebbe preso per matto, e sarebbe fulminato dai leghisti o razzisti o fascisti che prolificano ovunque in questa abbruttita Italia.
Ed ecco la visione dell’antico profeta: sul monte Sion, il Signore apparecchia un pranzo regale al quale sono invitati tutti i popoli della terra, nessuno escluso. Dai loro occhi vengono cancellate per sempre le lacrime; anzi, il nemico per eccellenza dell’umanità, la morte, viene eliminato e il velo del lutto, della vergogna e del dolore, che copre ritualmente il volto di chi è sofferente, viene squarciato, mentre anche per Israele inizia una nuova èra di speranza.
Questa visione profetica non va presa alla lettera: ciò che conta comunque è il messaggio che va al di là di un momento storico o di un banchetto in senso fisico o di popoli geograficamente determinati. Il messaggio sembra chiaro, anche se sarà sorprendente in tutta la sua rivoluzionaria e novità divina. Noi ce la immaginiamo in un modo, e magari ci spaventiamo per la sua provocante novità, ma ciò che è il pensiero di Dio è impensabile finché non toccheremo ciò che sta per accadere, ma soprattutto finché non tenteremo di rientrare in quel mondo interiore che è già presente in tutta la sua novità. In fondo Dio non farà nulla di nuovo, ma realizzerà ciò che noi siamo, ovvero esseri divini, figli di Dio.
Qualche esegeta vede in questi versetti del profeta il concetto di risurrezione. Ma non riguarderà tanto l’aspetto fisico del mondo o del nostro corpo, quanto invece quel nostro essere che, in quanto essere, è già risurrezione e vita. Più che una visione profetica, è un richiamo a ciò che siamo, perché già in quanto essere, lo ripeto, siamo già divini.
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