Omelie 2013 di don Giorgio: Prima dopo il Martirio di S. Giovanni il Precursore

1 settembre 2013: Prima domenica dopo il Martirio di San Giovanni

Is 30,8-15b; Rm 5,1-11; Mt 4,12-17

C’è una parola e c’è un verbo che accomunano il primo brano e il Vangelo della Messa di oggi: conversione e convertitevi. Ma attenzione: cerchiamo di coglierne il senso più profondo, a partire dal contesto anche storico, che è indispensabile per il primo brano, tolto dal libro del profeta Isaia. Altrimenti, non faremo altro ciò che si è sempre fatto, ovvero prendere la parola conversione o l’invito di Gesù a convertirsi come se si trattasse di una questione puramente etica o comportamentale, in riferimento ad una legge imposta da una struttura religiosa. Lungo i secoli del cristianesimo, la conversione è servita a rimettere in riga i credenti secondo i comandamenti di Dio, rivisti però in funzione della struttura della Chiesa. Capite bene che così la conversione non è una vera conversione alla Novità evangelica, ma una fedeltà imposta ad una struttura, quella della religione.
Detto questo, vorrei soffermarmi sul primo brano. È importantissimo, ma bisogna inquadrarlo nel periodo storico del profeta Isaia. Il brano fa parte del libro del cosiddetto Primo o Proto Isaia: siamo dunque nell’VIII secolo a.C. Isaia ha esercitato la sua vocazione profetica nel regno di Giuda nel sud della Palestina.
Qual era la missione dei profeti nell’Antico Testamento? Noi solitamente sentiamo parlare di Alleanza: già la parola testamento di per sé significa alleanza, alleanza tra Dio e il popolo eletto. Un’alleanza del tutto particolare: non era un contratto tra due, ma unilaterale, così unilaterale che Dio manteneva la sua parola nonostante che il popolo la tradisse. Dio non si è mai legato a nessuno. Dio è amore, e l’amore non conosce legami. Io ti amo anche se tu non mi ami, anche se tu mi tradisci,m anche se tu vieni meno al patto. Dio è così. Ecco perché parlare di patto o di alleanza con Dio bisognerebbe stare attenti. Il patto tra noi e Dio è inscindibile. Dio ci ama fino alla follia, e non c’è peccato che possa rompere i nostri legami con Lui.
Le punizioni o i castighi che Dio infliggeva al suo popolo non erano la conseguenza di un patto tradito, ma in vista della conversione del popolo. I castighi non vanno disgiunti dalla cosiddetta pedagogia divina, la quale agisce in funzione, solo in funzione della conversione. Se anche noi imparassimo questa lezione: come genitori, come superiori, come detentori di un potere! Tutto deve essere in funzione di un ravvedimento, di un recupero, di una spinta al meglio.
I profeti avevano questo compito specifico: far capire che il popolo stava prendendo una strada sbagliata e che perciò doveva tornare sulla retta via. Questo è il significato etimologico della parola conversione. Dunque, il termine conversione suggerisce l’immagine di una persona che, accorgendosi di aver preso un’altra strada, si rimette in carreggiata. Nell’Antico Testamento il concetto di conversione è direttamente collegato al termine ebraico ‘שׁוּב’ (shûb), il dodicesimo verbo più usato nella Bibbia ebraica che significa: “volgersi, tornare, ritornare”. È pure associato al verbo ebraico ‘נחם’ (nâcham), che significa “dispiacersi, essere dispiaciuti”. Nel Nuovo Testamento, troviamo il termine greco “metanoia” (dalla parola greca noûs che significa mente). Dunque si tratta di un cambiamento di mente, di mentalità, di modo di pensare, di vedere le cose. L’agire dipende dal conoscere. Agisco in un certo modo perché vedo o giudico le cose in un certo modo. Sappiamo che presso gli ebrei mente e cuore erano la stessa cosa. Quindi, conversione significa coinvolgere mente e cuore. Brano chiave a questo riguardo nei vangeli sinottici è Matteo 18,3: “Se non vi convertirete (altri traducono: se non cambiate) e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli”.
Torniamo al testo di Isaia, capitolo 30: è importante questa pagina, perché contiene la sintesi del messaggio rivolto dal profeta ai suoi contemporanei. Ho detto sintesi, perché in realtà il profeta più volte era tornato su questo argomento: l’unico punto di riferimento per Israele deve essere la fede in Dio, in cui si trovano stabilità, serenità e tranquillità, anche di fronte ai pericoli. L’invito alla calma e alla quiete è anche un richiamo a non cercare l’appoggio delle grandi potenze vicine (il re Acaz ad esempio aveva chiesto l’aiuto dell’Assiria, il re Ezechia invece quello dell’Egitto). Oltre che essere politicamente miope, questo atteggiamento denota una mancanza di fede in Dio e non può che risolversi in un fallimento. Isaia propone, dunque, un atteggiamento di passività (stare calmi e tranquilli) che non è però debolezza (come invece appare agli occhi dei suoi uditori), ma scaturisce dalla forza della fede.
Chi sono allora i veri o i falsi profeti di Dio? I falsi profeti sono coloro che profetizzano cose piacevoli, illusioni, dicono bugie e menzogne, invitano a uscire dalla retta via. Ricordiamo ciò che ha detto Gesù Cristo nei riguardi del demonio: “Padre della menzogna”. La menzogna è l’arte del maligno che non ama e non può amare la verità. Falsifica le cose, le situazioni, i giudizi. L’inganno! Sta qui la forza del male. Ricordate le parole di Cristo contro quegli ebrei che, tra parentesi erano suoi simpatizzanti, lo stavano contestando sulla “verità che rende liberi”: “Voi avete per padre il diavolo e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli era omicida fin da principio e non stava saldo nella verità, perché in lui non c’è verità. Quando dice il falso, dice ciò che è suo, perché è menzognero e padre della menzogna”.
L’inganno fa vedere come fosse cosa naturale una certa scelta o una presa di posizione. Se quel tale è ricco e potente, perché non stare dalla sua parte? Che cosa c’è di sbagliato in questo ragionamento, dal punto di vista della saggezza mondana? Ma Dio non la pensa così, e i profeti sono i portavoci di Dio che ha una sua logica: le alleanze coi vincenti alla fine non sono sempre vincenti, ma perdenti. Penso che la storia insegni qualcosa in merito.
I profeti insistevano nel condannare le alleanze coi potenti. Anzi talora suggerivano alleanze che al popolo sembravano al momento assurde.
Voi pensate che la Chiesa, lungo i secoli, abbia capito la lezione dei veri profeti? Voi credete che nella Chiesa sia sempre prevalsa la profezia della parola di Dio? Neppure oggi la Chiesa dà credito ai veri profeti. Si fida delle alleanze forti, stringe patti, più o meno occulti, con i potenti del momento, non importa se questi sono criminali, corrotti, immorali. E poi, passata la tempesta, dopo la strage degli innocenti, dopo che, come dice il primo brano di Isaia usando l’immagine molto espressiva della brocca che s’infrange in mille cocci, la rovina è stata deleteria, distruttiva, quasi irreparabile, allora si alzano le voci di protesta, allora anche i mass media cattolici, senza però fare un mea culpa, si ergono a giudici implacabili, allora anche i giornalisti vaticanisti, prima silenziosi o prudenti, aprono il libro delle accuse. Ed io potrei dire loro: Quando la Chiesa stringeva alleanze coi potenti, voi dove eravate? Non solo, accusavate i veri profeti di essere troppo intransigenti, duri, talora violenti. I profeti dell’Antico Testamento non aspettavano l’irreparabile per emettere le loro condanne. Davano consigli prima della catastrofe, annunciavano la parola di Dio in tutta la sua radicalità quando era il momento opportuno per cambiare tattica, per evitare di cadere nel tranello delle alleanze con i più forti.
La vera missione del profeta, ancora oggi, sta nella sua solitudine, che significa incomprensione da parte del popolo, il quale ragiona come ragiona, secondo gli opportunismi politici. Il vero profeta va contro l’opinione pubblica, che vorrebbe sempre essere vincente alleandosi coi vincenti.
Ma la Chiesa che cosa ha imparato dai veri profeti? Nulla, o quasi, oppure ha aperto gli occhi ma dopo la loro morte, talora causata dalla stessa Chiesa. Ma non basta chiedere perdono del passato, quando ancora oggi si ripetono gli stessi errori. Eppure la Chiesa che cosa predica? Bisogna fidarsi di Dio! Ma che significa fidarsi di Dio? Fidarsi della sua Parola profetica!
Allora, la prima a doversi convertire chi è? Chi dovrebbe cambiare mentalità, giudizio, rivedere il proprio modo di essere nel mondo? Certo, è un lungo lavoro di metanoia anche popolare. Ma come si può dire al popolo: cambiate mente, quando la Chiesa nella sua struttura non si converte ascoltando la voce dei profeti di Dio?

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