Chi ha inventato il messaggio di fine anno?
da la Stampa
Chi ha inventato il messaggio di fine anno?
30/12/2017
A inventare il “Messaggio di fine anno agli italiani”, quello che anche Sergio Mattarella farà davanti alle telecamere alle 20,30 in punto (l’ora in cui un tempo finiva l’unico telegiornale, sul primo canale Rai), fu Luigi Einaudi. Il secondo presidente della Repubblica italiana il 31 dicembre del 1949 inaugurò un’epoca con quello che fu davvero solo un messaggio: meno di duecento parole (188), quattro frasi, in un italiano piuttosto aulico anche per l’epoca (“Nel rigoglio di intimi affetti suscitato da questa trasmissione mi è caro interpretare con la mia parola il fervore di sentimenti…”).
Prima di lui, Enrico De Nicola non aveva mai pensato di rivolgersi direttamente al popolo attraverso la radio. E anche Einaudi ci aveva meditato a lungo: eletto a maggio del 1948, inaugurò la tradizione degli auguri in diretta solo l’anno successivo. Nello stesso giorno in cui cominciarono a fare la stessa cosa anche i presidenti di Francia e Germania.
Per essere la prima volta che un presidente della Repubblica parlava agli italiani, nel suo testo (che ancora si può leggere sul sito del Quirinale come quello di tutti gli altri discorsi),
manca forse solo una parola chiave: Repubblica, appunto. Uomo di poche parole, Einaudi riuscirà ad essere anche più breve l’anno successivo e non si allontanerà mai dalle venti righe in tutto.
Quarant’anni dopo, la sera del 31 dicembre del 1991, a Francesco Cossiga occorrerà molto più tempo solo per dire che quell’anno non ha intenzione di dire nulla. Il suo messaggio di auguri, pieno di sottintesi e di allusioni (“parlare non dicendo, tacendo anzi quello che tacere non si dovrebbe, non sarebbe conforme alla mia dignità di uomo libero”), è rimasto celebre. Quattro mesi dopo il presidente si dimetterà.
Einaudi fece in tempo a passare dalla radio alla televisione per il suo ultimo messaggio del 1954. Ma è stato con il suo successore Giovanni Gronchi che l’appuntamento della sera di San Silvestro si è trasformato in un vero e proprio discorso in cui il presidente della Repubblica ripercorre l’anno che si chiude, tenta di spiegare alcuni fatti, parla dei problemi che ritiene più importanti, a volte anticipa ciò che dovrà succedere.
Ognuno l’ha fatto con il suo stile. Sandro Pertini, il più schietto anche nel linguaggio, per un paio di anni scelse di rivolgersi agli italiani chiamandoli “cari amici”. A lui toccarono i discorsi forse più difficili. Quello del 1978, l’anno della sua elezione ma anche dell’assassinio di Aldo Moro. E quello del 1984, l’ultimo del suo mandato, pronunciato otto giorni dopo la strage del rapido 904, la strage di Natale che fece 16 morti sul treno da Napoli a Milano la sera del 23 dicembre. In entrambi i casi non mancò di citare i Servizi segreti.
Oscar Luigi Scalfaro arrivò a superare la mezz’ora. Giorgio Napolitano è stato l’unico ad averne pronunciati ben nove, essendo anche l’unico presidente rieletto. Proprio con il discorso di fine anno del 2014 annunciò e spiegò a tutti gli italiani le proprie dimissioni dopo due anni appena del secondo mandato.
A lui spetta anche l’ultima innovazione dei messaggi di fine anno: l’idea di citare singole persone, famose o anonime, come “Marco, della provincia di Torino” o “Franco da Vigevano, agricoltore”, finiti nel discorso per le storie raccontate nelle loro lettere al presidente. In questa speciale classifica c’è già un piccolo record, quello della scienziata Fabiola Gianotti, direttrice del Cern, citata ben due volte, sia da Napolitano sia da Mattarella.
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