Omelie 2014 di don Giorgio: Festa SS. Trinità

15 giugno 2014: SS. Trinità
Es 3,1-15; Rm 8,14-17; Gv 16,12-15
Nei primi secoli del cristianesimo, non esisteva una festa particolare in onore della Santissima Trinità. Non c’era motivo per celebrarla, essendo il Mistero trinitario presente, ogni giorno, nelle preghiere comuni e nelle formule liturgiche. Basterebbe pensare al segno della Croce. Fu un monaco, nell’ottavo secolo, a introdurre, in forma privata, la devozione alla Santissima Trinità. Solo a partire dal 1200 d. C., il Papa istituì una Festa pubblica per tutta la Chiesa cattolica.
In realtà, ancora oggi ci chiediamo che senso abbia celebrare una Festa liturgica in onore della Trinità divina. Le feste possono avere il vantaggio di ricordarci di Dio, ma possono anche creare l’idea che, passata la festa, gabbato lo santo.
La Trinità, che Cristo ci ha rivelato in modo esplicito, è il Mistero stesso della nostra vita di fede, e non solo di fede. Il monoteismo ebraico, rigidamente dogmatico per contrapporre l’unicità di Dio contro il politeismo dei popoli idolatri, aveva proibito ogni immagine visibile di Dio stesso. Tuttavia, già l’ho detto, soprattutto attraverso gli scritti dei profeti e anche dei libri sapienziali, Dio veniva presentato attraverso personificazioni che alludevano al Mistero trinitario. Pensate alla Sapienza che, come una signora, è presente nella creazione del mondo. Pensate al capitolo 11 del libro di Isaia, dove il profeta, parlando del Messia che verrà, dice che sarà ricoperto dello Spirito del Signore che è: spirito di sapienza e d’intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore. Il catechismo ci insegna che si tratta dei doni dello Spirito santo.
È chiaro che nessun essere umano sarebbe arrivato da solo a pensare che Dio fosse uno e trino. È uno dei Misteri principali della nostra fede. Essendo un Mistero, è chiaro che doveva essere rivelato. Ecco perché si dice che è il cristianesimo è anzitutto una rivelazione. Il cristianesimo è Cristo che ci parla esplicitamente di un Dio che è Padre e che ci invia lo Spirito di Dio. Se nell’Antico Testamento c’erano delle allusioni al Mistero trinitario, nel Nuovo Testamento tutto diventa chiaro. Chiaro nel senso che sappiamo che Dio non è monolitico: c’è un Padre, c’è un Figlio e c’è lo Spirito santo. La Chiesa, fin dai primi secoli, si è subito preoccupata di chiarire i termini, ricorrendo anche a una terminologia filosofica, per paura di confondere i rapporti tra il Padre, il Figlio e lo Spirito santo: il Credo, quello lungo, che recitiamo ogni domenica durante la Messa, noto come Simbolo niceno-costantinopolitano, perché frutto di due Concili, di Nicea e di Costantinopoli, è una testimonianza evidente di una Chiesa preoccupata di chiarire i termini (sostanza, persona, ecc.), per evitare le eresie.
Se i teologi erano impegnati a trovare le parole giuste, dopo anche lotte fisicamente violente e assurde diabrite accademiche (pensate: si parla di Dio, e si litiga, ci si uccide!), i mistici erano più elastici nel loro linguaggio, perché avevano di Dio una concezione più profonda, tanto profonda che non si possono trovare parole filosofiche per esprimerla. Tra la teologia trinitaria e la mistica scelgo senz’altro la mistica: già dire Trinità è dire vita, e vita è vitalità, che non puoi contenere, che non puoi classificare. Dire vita è dire movimento, e il movimento non ha strade fisse, percorsi prestabiliti.
Vedete: quando Gesù parlava di Dio, parlava come un figlio parla del padre, senza preoccuparsi di usare un linguaggio tecnico. Così quando parlava dello Spirito santo. Ecco, i mistici non si preoccupavano del linguaggio, perché sapevano che non c’è alcun linguaggio che possa esprimere l’identità di Dio.
Eppure il Mistero trinitario ci aiuta a intuire che il mondo di Dio è del tutto strano, quasi paradossale. Sarebbe più facile credere in un Dio tutto d’un pezzo. No, Dio ci spiazza sempre. È un Dio con volti diversi. Già dire Dio Padre non è corretto: sappiamo che Dio non è un maschio. Già dire Figlio di Dio ci sconcerta al pensiero che si è fatto uno di noi. Lo Spirito santo poi ci sfugge, come il vento.
Il Mistero trinitario che cosa ci può suggerire? Anzitutto, che la realtà, pur complessa, è semplice e unitaria. L’unitarietà non significa che tutte le cose siano uguali. Sono variegate, e più sono variegate più la loro unitarietà si fa bella e affascinante. I grandi dipinti sono un’armonia variegata e semplice di colori. I colori presi a se stanti dicono niente, messi insieme con arte fanno dei capolavori. La stessa cosa si potrebbe dire della musica.
Tutto il problema sta nel saper armonizzare i contrasti, le sfumature e le differenze. Don Tonino Bello ha valorizzato l’espressione “convivialità delle differenze”. L’umanità è un insieme armonico di differenze: culturali, razziali, sociali, politiche e religiose. C’è sempre stata la tentazione di ridurre tutto ad una unità, omologando o distruggendo le differenze. Non è qui il momento di fare neppure una sintesi di ciò che gli uomini hanno tentato di fare lungo i secoli, fin dall’inizio dell’umanità. Il concetto di superiorità è la prova che non si sopporta che esista un altro o, meglio, è la dimostrazione che l’altro ci vuole anche ma perché io possa sentirmi superiore a lui. Gli altri rappresentano come uno sgabello perché io salga più in alto. La gerarchia è fatta di gradini: ci sono superiori e ci sono inferiori. E poi mi venite a parlare di “convivialità delle differenze”? Che significa “convivialità”? Convivialità deriva da convivio, e il convivio è il banchetto: sedersi a mensa. Ma convivio indica qualcosa di più: deriva da “con”, dal latino “cum”, che significa “insieme” e da “vivio” che deriva da “vivere”. Da qui, lo star bene insieme anche attorno ad una tavola, ad una mensa. Vivere, dunque, insieme: saper vivere insieme. Il che non è facile, non è semplice, comporta difficoltà. Come si fa a mettere insieme culture diverse, due modi di pensiero diversi, due razze diverse, due religioni diverse? Quante divergenze!
Ecco, la Trinità è la prova che in Dio ci sono persone diverse ma complementari. Dio è la prova migliore, diciamo assoluta, della convivialità delle differenze. Ma c’è di più.
La Bibbia ci dice che Dio ci ha creati a Sua immagine e somiglianza. Che significa? La concezione monoteistica di Dio ha provocato un’idea di Dio sbagliata, e un’idea del mondo sbagliata. Sì, Dio è uno solo, ma è trino. Il che sembra complicarci le cose, ma in realtà ci permette di capire l’universo, di cui noi esseri umani facciamo parte, o, meglio, siamo intimamente partecipi nel nostro essere più profondo. Non siamo particelle a se stanti che, assommandosi l’una all’altra, compongono l’umanità. L’immagine divina dell’uno e trino, è stampata dentro di noi, e nell’intero universo.
Non basta però parlare solo di solidarietà, di fratellanza, di carità, ecc. C’è qualcosa di ancor più profondo, da cui scaturisce l’obbligo del nostro essere umano, che per la sua stessa costituzione è uno ed è molteplice.
Oggi i fisici parlano di interconnessioni vitali della materia, che perciò non va distinta e divisa in particelle a se stanti. La concezione molecolare non tiene più. Tutto è cosmico, a partire dalle più piccole particelle. Oggi gli scienziati non parlano di una concezione meccanicistica della realtà. A spingere in tal senso la scienza fisica sono state anche le filosofie orientali con la loro visuale del tutto nel singolo. Il tutto che è il divino in noi. Eppure anche la teologia cristiana avrebbe dovuto orientare la scienza in tal senso, sapendo che Dio stesso è uno ed è trino, è uno ed è molteplice.
La solidarietà, la fratellanza, la carità, ecc non fanno parte solo di una fede buonista, solo perché Cristo ci ha invitato ad essere buoni, caritatevoli, amorevoli, misericordiosi. Siamo uniti tra di noi, perché siamo costituzionalmente uniti nel nostro essere con l’intero universo. Perciò essere caritatevoli, fraterni, solidali non è un atto solo cristiano: siamo fatti così, e se noi ci separiamo dagli altri, dall’umanità, veniamo meno a noi stessi, tradiamo il nostro essere più reale.
Più che di diritti, dovremmo parlare di doveri. Siamo fatti così, ovvero siamo cosmici per la nostra stessa costituzione. Siamo uniti agli altri perché siamo umani.
“Convivialità delle differenze”, ma, attenzione: le differenze non sono le disuguaglianze sociali, che andrebbero invece eliminate. Le differenze per la convivialità sono le singolarità di ciascuno, o le identità delle nazioni, la diversità delle culture o razze. Sono differenze che arricchiscono il mosaico dell’umanità.

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