Omelie 2014 di don Giorgio: Domenica dopo l’Ascensione (Settima di Pasqua)

1 giugno 2014: Settima di Pasqua
At 1,9a.12-14; 2Cor 4,1-6; Lc 24,13-35
Per la Chiesa cattolica e le chiese protestanti, la solennità dell’Ascensione si colloca di norma 40 giorni dopo la Pasqua, secondo le indicazioni di Luca nel libro “Atti degli Apostoli”. Quindi, fin dall’antichità, la festa cade ogni anno il giovedì successivo alla Sesta domenica di Pasqua. Ci sono ancora dei Paesi in cui l’Ascensione è considerata Festa nazionale, perciò con effetti civili: tra questi Paesi non c’è più l’Italia, da quando con la legge 5 marzo 1977, cessarono di essere considerate festive in Italia, agli effetti civili, oltre all’Ascensione, anche la festa del Corpus Domini, l’Epifania, il giorno di san Giuseppe, il giorno dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, il 2 novembre, ecc. L’Ascensione e il Corpus Domini vennero spostate liturgicamente alla domenica successiva. Otto anni dopo, nel 1985, veniva ripristinata, agli effetti civili, la festività dell’Epifania. Qualche anno fa, la Chiesa ambrosiana ha pensato bene di tornare a festeggiare, solo liturgicamente, senza dunque effetti civili, le Festività dell’Ascensione e del Corpus Domini il giovedì successivo alla Sesta Domenica di Pasqua, come era anticamente. Siamo caduti dalla padella alla brace. Oggi, tra i cristiani quanti si ricordano di celebrare la Festa dell’Ascensione e del Corpus Domini? A proposito del Corpus Domini, il grande problema oggi dibattuto tra i Consigli pastorali è quando fare la processione eucaristica. Tutto qui. Mi pare poco. Non credo che la processione sia la cosa più importante del Mistero eucaristico. D’altronde, mi chiedo che cosa sia rimasto oggi del mistero divino: come vengono celebrate le festività cristiane, a partire dalla Pasqua, dalla Pentecoste e dal Natale?
Eppure, anche la Festa dell’Ascensione ha una sua importanza, dal punto di vista teologico e pastorale. Qui chiariamo subito. Il Mistero dell’Ascensione non riguarda solo un episodio che conclude, in un certo senso, la vita terrena di Cristo. Già dire questo è sbagliato. La vita terrena di Gesù era terminata con la sua morte, sulla croce. I quaranta giorni, dalla risurrezione all’ascensione, non sono facili da comprendere: Cristo avrebbe cercato di far digerire ai suoi discepoli (non è mai apparso alla gente comune) che con la sua morte non tutto era finito nel nulla, e che era risorto, perciò ancora presente e vivo?
La cosa sconvolgente è che le apparizioni di Gesù risorto, così come le narrano gli evangelisti, non sono servite a convincere gli apostoli. Mentre Gesù risorto si congeda da loro definitivamente, nutrono ancora dei dubbi, e gli pongono la domanda. «Signore, è questo il tempo nel quale ricostruirai il regno d’Israele?». Qualsiasi persona, al posto di Gesù, sarebbe entrata in depressione. Non serve cercare di trovare qualche giustificazione. Questi apostoli che cosa avevano compreso dell’insegnamento del loro Maestro? Prima, durante gli anni del ministero pubblico di Cristo, e poi, nei quaranta giorni dopo la sua risurrezione, erano ancora rimasti “duri di cuore”. Non è il rimprovero che il misterioso pellegrino ha rivolto ai due discepoli di Emmaus (il vangelo di oggi)? «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti!». Cristo, quando era sulla terra, non ha fatto altro che parlare di un nuovo regno, di un regno che non è di questo mondo, non è un regno puramente terreno, di un regno alla stregua degli altri regni: ricordiamo il dialogo drammatico tra Pilato e Gesù.
Eppure, come ha detto il misterioso Pellegrino ai due discepoli che, delusi, tornavano a casa loro, a Emmaus, già i profeti nell’Antico Testamento avevano predetto che il Cristo non sarebbe stato compreso, e per questo avrebbe sofferto. Già gli antichi profeti avevano fatto capire al popolo ebraico che il futuro messia non sarebbe venuto come un condottiero per mettersi alla guida di un esercito per liberarlo dal dominio dell’invasore straniero. Pur non avendo neppure loro idee chiare sulla vera identità del messia, tuttavia avevano messo in guardia i loro connazionali che il liberatore promesso da Dio fin dall’antichità sarebbe stato del tutto diverso da come loro se lo immaginavano. Nonostante i continui richiami di questi uomini di Dio il popolo ha continuato a credere in un messia fatto su misura delle loro attese di tipo politico. E i profeti, chi in un modo chi in un altro, furono maltrattati, perseguitati e anche uccisi. La storia si ripete. E noi continuiamo a tradire l’immagine vera di Dio e di Cristo. Neppure il Figlio di Dio era riuscito a far capire ai suoi la vera ragione della sua missione. Nell’istante in cui egli ascende al cielo, gli chiedono: “Signore, è questo il tempo nel quale ricostruirai il regno d’Israele?”.  Che delusione!
Gli apostoli, dunque, sono rimasti “stolti e duri di cuore” anche durante i quaranta giorni dopo la risurrezione di Cristo. Sarà lo Spirito Santo, nella Pentecoste, come vedremo domenica prossima, a risvegliare la mente e la coscienza, a sciogliere il cuore degli apostoli. E allora, come intendere l’ascensione di Cristo? Solo come l’uscita definitiva di Gesù da questo mondo, deluso e scoraggiato, lasciando il posto ad una nuova era, quella dello Spirito santo? Come a dire: prima Dio Padre, nell’Antico Testamento, ha fallito, poi è arrivato il Figlio, ed è fallito, ora spetta allo Spirito santo. Chissà se a lui andrà meglio? C’è la tentazione di pensare le cose in questo modo. Se vediamo le cose così, possiamo già dire anche che anche lo Spirito santo ha già fallito.
In realtà, le cose non stanno così. Forse dovremmo uscire da una certa logica che distingue le epoche in senso cronologico, dimenticando che, se è vero che il tempo passa, è anche vero che ciò che è dentro nel tempo, ovvero il suo reale contenuto, che gli antichi greci chiamavano “kairòs”, la presenza del divino, non subisce il trascorrere del tempo, ma resta in tutta la sua realtà: una realtà che si svela progressivamente, mantenendo però la propria identità.
Ma nessuno può negare che ci siano state epoche in cui la rivelazione di Dio nel tempo talora è stata più intensa di ciò che è avvenuto in epoche successive. Per presenza divina intendo anche il genio artistico, culturale, filosofico. Pensate al nostro rinascimento. Oggi sembra che il genio artistico si sia spento in tutti i campi.
Anche la Chiesa ha avuto momenti splendidi nel passato. Oggi sembra che la mistica si sia spenta. Viviamo ancora di rendita. Sì, è vero, il progresso tecnologico trascina l’uomo verso un futuro diverso: nessuno di noi vorrebbe tornare all’epoca della pietra. Ma questo progresso sembra inarrestabile, e oggi sembra ancora di essere l’uomo della pietra in confronto a ciò che l’uomo inventerà domani, nel senso più stretto del termine domani.
Nonostante questo, una cosa è certa: profezia o non profezia, genio o non genio, tecnica o non tecnica, la cosa più grande che l’uomo moderno ha acquisito in questi ultimi tempi, e non certo solo per merito suo, è una maggiore consapevolezza di ciò che egli è: la coscienza.
La libertà di coscienza! Anche lo Stato ha dovuto cedere, la Chiesa stessa, che ha sempre temuto gli spiriti liberi, sta cedendo. Fatica ancora, tentenna, è lì lì per, ma prima o poi cederà alla libertà di coscienza che Cristo ha fatto intuire, ha fatto capire, ha insegnato, ma che sarà poi lo Spirito santo a illuminare, nonostante, ripeto, la durezza di cuore di una Chiesa-struttura sempre pronta a proteggersi nei suoi dogmi dottrinali e nei suoi codici morali.
La grande novità che sta coinvolgendo l’uomo moderno non è la tecnologia sempre più sofisticata e potente, non è il nuovo ordine economico: tutto questo fa parte del tempo che passa e travolge: la novità è la presa di coscienza del nostro essere, è quella presenza divina dentro di noi che non sopporta più il peso delle strutture vincolanti, delle leggi codificate mortificanti: è quel divino interiore che è la nostra coscienza. La realtà di questa coscienza, quando si sveglierà del tutto, farà implodere il potere statale e il potere religioso. La libertà di coscienza, che è anzi tutto e sopra tutto.
Attenzione: non sto dicendo che il popolo ne sia stato ancora travolto. Il popolo, purtroppo, ama farsi trascinare dagli imbonitori. Ma forse siamo a un passo dalla più grande rivoluzione della storia. E ciò avverrà quando saremo riusciti a far capire alla massa che il vero faro, il vero punto di orientamento, la vera legge, il vero progresso è la libertà di coscienza. Cristo in quel momento gioirà, e si complimenterà con lo Spirito santo.

 

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