Oggiono (Lecco). Il cardinale Angelo Scola, 81, davanti alla chiesa della frazione di lmberido, nella cui canonica vive dal 2017.
Joseph Ratzinger, Angelo Scola
e… la Diocesi milanese
di don Giorgio De Capitani
Dopo aver letto l’intervista, apparsa sul settimanale OGGI del 02/02/2023, sinceramente sono rimasto deluso: ho trovato ben poco di interessante. Pochissimo. D’altronde, il cardinal Angelo Scola non è stato stimolato da domande “intelligenti” e “pungenti” al punto giusto. Dunque, una intervista molto superficiale, che comunque vi invito a leggere (vedi sotto).
Approfitto per dire anche la mia su Joseph Ratzinger e su Angelo Scola.
Su Ratzinger il giudizio è da dividere in due o forse più tempi: prima ho “odiato” un certo Ratzinger diciamo della Santa Inquisizione, e poi, da papa, ho anche rispettato il Ratzinger teologo, senz’altro uno tra i più acuti. Ma non vorrei dire oltre, anche se, anche da papa, non era nei miei sogni.
Ma una cosa vorrei evidenziare: ciò che mi ha veramente sconvolto è stato, così mi è sembrato di vedere, quel folle disegno che poneva proprio sul personaggio Angelo Scola le speranze del rinnovamento della Chiesa, e così Benedetto XVI ha spostato a Milano Angelo Scola, che era patriarca di Venezia, con una mossa a dir poco incomprensibile, facendo così venire a galla il passato di Angelo Scola, che, quando era teologo (era entrato tardi nel Seminario di Venegono, a ventisei anni circa), aveva chiesto di ricevere anticipatamente l’ordine del suddiaconato per essere esonerato dal servizio militare, che avrebbe comportato la sospensione degli studi per diciotto mesi con un possibile ritardo fino a tre anni nel completamento del seminario; da parte dei superiori del seminario milanese, di cui era rettore Bernardo Citterio, vi sarebbe stato tuttavia un atteggiamento di diffidenza, e la richiesta non fu accolta.
E Scola che cosa fece? Invece di obbedire, se ne andò dal Seminario e dalla Diocesi milanese, per entrare nel Seminario della Diocesi di Teramo, dove nel 1970 fu ordinato presbitero da Abele Conigli, vescovo di Teramo e Atri, conosciuto quando questi era vescovo di Sansepolcro, diocesi nella quale si era formato il primo gruppo toscano di Comunione e Liberazione. (Come vedete tutto torna!).
Angelo Scola si era convertito a CL nel 1958, dopo aver incontrato per la prima volta don Luigi Giussani a Lecco, durante la Settimana santa, in alcuni incontri di preparazione alla Pasqua, rimanendo colpito dalla sua figura e dalla sua predicazione. Ben presto, il giovane Scola divenne suo intimo amico, tanto da far parte di quel gruppetto di ciellini, messi a disposizione di Silvio Berlusconi per prepararlo con un corso accelerato per la sua discesa in campo nella politica italiana, unitamente a Cl e alla Lega di Bossi. Un ventennio disastroso, sotto ogni punto di vista: un trio che ho definito e tuttora definisco “cancresco”. I tre cancri lombardi che tuttora, sotto forme diverse, rodono il tessuto democratico…
Il 20 luglio 1991 papa Giovanni Paolo II nominò Angelo Scola vescovo di Grosseto. Oramai la strada gli si era aperta, in vista di una carriera sempre più promettente. Mi sto chiedendo ancora oggi quali doti di intelligenza e di competenza Scola avesse per arrivare quasi al soglio pontificio. Tante altolocate conoscenze, queste così, tanti intrallazzi vaticani, questi sì, ma lui, Angelo Scola, che spessore anche umano aveva per meritarsi di salire e salire nei gradi della gerarchia?
E così… il 5 gennaio 2002 venne nominato patriarca di Venezia da papa Giovanni Paolo I.
E così… nel concistoro ordinario pubblico del 21 ottobre 2003 fu creato cardinale presbitero dei Santi XII Apostoli.
E così…il 28 giugno 2011 papa Benedetto XVI lo nominò arcivescovo metropolita di Milano, succedendo al cardinale Dionigi Tettamanzi, dimessosi per raggiunti limiti di età.
E così… accreditato dalla stampa italiana quale possibile successore di papa Benedetto XVI, dal 12 al 13 marzo 2013 partecipò come cardinale elettore al conclave che elesse invece nuovo papa il cardinale argentino Jorge Mario Bergoglio.
Tra parentesi. Secondo il vaticanista Paolo Rodari, al primo scrutinio, Angelo Scola sarebbe stato in testa nei suffragi dei cardinali elettori, con circa 35 voti, seguito da Bergoglio con 20 voti e da Marc Ouellet con 15. Sempre secondo le indiscrezioni di Rodari, Scola sarebbe stato il candidato più votato fino al terzo scrutinio, sostenuto dal continuo appoggio, fra gli altri, dei cardinali Angelo Bagnasco, Carlo Caffarra e Christoph Schönborn. Al termine del terzo scrutinio, una cinquantina di voti. La candidatura di Scola, tuttavia, sarebbe stata stroncata il 13 marzo fra il terzo e il quarto scrutinio, durante la pausa per il pranzo presso la “Domus Sanctae Marthae”, dai cardinali della curia romana e da quelli nordamericani: i primi «per antiche invidie e rivalità» contro l’arcivescovo di Milano, mentre i secondi per via della sua vecchia vicinanza a Comunione e Liberazione, condizione che aveva suscitato alcune perplessità anche fra i porporati statunitensi. Secondo Sergio Rame, invece, Scola avrebbe volontariamente ritirato la propria candidatura, onde evitare una situazione di stallo, non ritenendo sufficienti i consensi da lui ottenuti sino a quel momento, per poter aspirare al soglio pontificio. Secondo Andrea Tornielli, come primo gesto dopo l’elezione, papa Francesco si sarebbe diretto verso Scola per abbracciarlo. Un incidente che rivela… Alle 20,23 del 13 marzo, una nota del segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana Mariano Crociata inviata ai giornalisti e contenente l’omaggio al nuovo papa Francesco, contiene per errore nell’intestazione la dicitura «esprime i sentimenti dell’intera Chiesa italiana nell’accogliere la notizia dell’elezione del cardinale Angelo Scola a Successore di Pietro». Chiusa parentesi.
Non sto a dire nemmeno qualcosa di ciò che Angelo Scola fece come Arcivescovo di Milano. L’ho sempre contestato fin dalla sua nomina: se volete anche per sola curiosità leggete qualche articolo che ho scritto sul mio sito. Ve ne riporto alcuni, con dei link.
Il 7 luglio 2017 il pontefice accolse la rinuncia di Scola, presentata per raggiunti limiti di età, al governo pastorale dell’arcidiocesi di Milano; gli succedette Mario Delpini, fino ad allora vescovo ausiliare e vicario generale dell’arcidiocesi stessa.
Da arcivescovo emerito ora risiede nella canonica di Imberido, frazione di Oggiono, vicino al suo paese natale.
***
Ecco alcuni articoli, apparsi sul mio sito e anche riportati da altri, per denigrarmi.
Dio non castiga, ma i vescovi sì, vero Angelo Scola?
La vicenda dei miei rapporti con Angelo Scola l’ho scritta per esteso sul libro “Da Introbio a Monte di Rovagnate”
***
da OGGI 02/02/2023
La mia verità su Ratzinger
di Michele Brambilla
foto di Massimo Zingardi
«Quando capì che stava per essere eletto, gli sembrò che una ghigliottina gli scendesse sul collo», racconta il cardinale Angelo Scola, vero regista dell’elezione del pontefice appena scomparso. Lo descrive come un uomo «gentile», che «mangiava leggero, solo toast, per poter studiare la sera». E le dimissioni? «Il vero motivo è tutto in una frase»
Sa «siamo tutti dei poveretti», ci dice Angelo Scola, nato a Malgrate in provincia di Lecco 81 anni fa, figlio di un camionista e di una casalinga, cardinale di Santa Romana Chiesa del titolo dei Santi XII Apostoli, arcivescovo metropolita di Milano dal 2011 al 2017 e prima ancora Patriarca di Venezia dal 2002 al 2011, dottore in filosofia e teologia con lauree a Milano e a Friburgo. È un principe della Chiesa. Ma «sono un poveretto, siamo tutti poveretti», ci dice al momento dei saluti finali. È persona molto più semplice di quanto si possa pensare. Semplice, che non vuol dire sempliciotto: vuol dire quel realismo cristiano che ti porta a capire che, chiunque tu sia, sei un poveretto che ha bisogno della misericordia di Dio. Anche se sei un arcivescovo emerito della diocesi più grande del mondo. Anche se sei un Papa, come lo fu Benedetto XVI, forse il pontefice più equivocato e incompreso (dai media, soprattutto). Angelo Scola lo conosceva bene. E pochissimi come lui possono raccontarci chi è stato, innanzitutto, l’uomo Joseph Ratzinger.
Eminenza, ci racconta come lo conobbe?
«Era la primavera del 1971. Con Sante Bagnoli fondatore di Jaca Book, Eugenio Corecco vescovo di Lugano e Giuseppe Ruggieri teologo catanese, avevamo pensato di partecipare alla fondazione di una rivista che sarebbe poi stata Communio. Chiedemmo consiglio ad Hans Urs von Balthasar, il grande teologo svizzero, che ci disse di rivolgerci a Joseph Ratzinger».
Era già famoso?
«Certo, soprattutto come studioso. Andammo a trovarlo a casa sua a Regensburg, dove viveva con la sorella. Parlammo di quel progetto tutto il pomeriggio. Verso sera ci invitò a cena in una bella trattoria sul Danubio. Seduti a tavola ci buttammo sul menu, come fanno sempre gli italiani, per scegliere le specialità. Il cameriere raccolse le nostre ordinazioni e poi si rivolse a Ratzinger. “Il solito”, rispose lui. E noi pensavamo: chissà che cosa sarà, il solito, perché non ce lo ha consigliato? Lo scoprimmo poco dopo. Il “solito” era un toast. “Altrimenti dopo non riesco a studiare”, ci spiegò».
Quando fu eletto Papa, il Manifesto titolò: «Il pastore tedesco».
«Il pastore tedesco è un’invenzione della stampa tedesca. Ratzinger ha sempre avuto molte opposizioni in Germania, perché la sua teologia era molto innovativa e però ancorata alla tradizione. Ma chi lo ha conosciuto sa che era tutt’altro che rigido. Era un uomo mite, gentile, delicatissimo, molto accogliente».
Ma non era un reazionario, come pensano molti?
«Assolutamente no. Aveva due grandi criteri di merito per elaborare il suo pensiero. Da una parte la Bibbia, la tradizione. E dall’altra la storia, la società che cambia, cui era attentissimo».
Che Papa è stato?
«Ha lasciato le chiavi fondamentali per affrontare questa fase del cristianesimo».
E che fase è?
«È la fase in cui la secolarizzazione è finita, ma la scristianizzazione no. Il cristianesimo viene sostituito da quello che Augusto Del Noce chiamava il nichilismo gaio. Oggi la molla è la ricerca del piacere: una condizione ridotta della felicità. Si è persa la centralità di Cristo, la possibilità dell’incontro personale con lui. Ratzinger ha detto con grande chiarezza che l’Europa sta perdendo la fede cristiana».
Non crediamo più in Dio fatto uomo?
«Un sociologo francese ha scritto che fra una decina d’anni, quando all’ufficio anagrafe chiederanno “di che religione è?”, la maggioranza risponderà: “nessuna”».
Sembra un quadro fosco. Eppure Vittorio Messori, che con Ratzinger scrisse un libro, mi raccontò che gli chiese: ma allora, che ne sarà della Chiesa? E Ratzinger sorrise e allargando le braccia disse: la Chiesa la salva Cristo.
«È la risposta di un uomo di fede. Per tutta la vita, prima di fare qualsiasi cosa – di studiare, di fare il vescovo, di fare il Papa – Ratzinger si prendeva un paio d’ore per pregare, come per altro fa anche papa Francesco».
Si può dire che lei, cardinal Scola, è stato uno dei grandi elettori di Benedetto XVI?
«Sì, si può dire».
E come andò?
«Ecco, questo non lo si potrebbe dire. Ma posso aggiungere che su quel Conclave si leggono ancora oggi numeri, sulle votazioni, completamente sbagliati. Ratzinger si impose immediatamente come l’unico candidato possibile».
Fu contento di essere stato eletto?
«No. Disse che quando cominciò a capire che gli stava cadendo “una ghigliottina sul collo” fu preso dallo spavento. E dopo l’elezione chiese a tutti noi cardinali di fermarci un’altra notte in Conclave per poter stare ancora tutti insieme per una messa».
Lei dov’era quando Ratzinger si dimise? Che cosa pensò?
«A Milano. Stavo entrando nella chiesa dedicata alla Madonna di Lourdes perché era l’11 febbraio, l’anniversario dell’apparizione. Sulla porta qualcuno mi disse: Benedetto XVI ha rinunciato. Non me l’aspettavo. Celebrai la messa ma rimasi distratto per tutto il tempo».
Secondo lei perché si dimise?
«Su questo credo che sia ora di essere finalmente chiari. Si trattò di una serie di cause complesse, riassunte nella sua frase “non ho più le forze”. Prevalse, in quel momento, la sua umiltà».
Quali cause? Vatileaks, la pedofilia?
«Anche quelle. Lui era stato in prima fila per combattere la pedofilia con verità e giustizia».
Che cosa pensa delle polemiche subito dopo la sua morte? Quelle dichiarazioni di padre Georg…
«Padre Georg è stato un servitore fedele ed encomiabile. Credo, suppongo che l’editore avesse già pensato il lancio del libro con le sue memorie. E così sono uscite frasi che sono state scambiate per un’intervista. Ma ho letto che padre Georg aveva chiesto all’editore di rinviare l’uscita proprio per evitare fraintendimenti».
Si ricorda l’ultima volta che ha visto Ratzinger Papa?
«Certo. Fu qualche giorno prima della sua partenza per Castel Gandolfo. Era molto sereno. La sua era stata una scelta molto meditata e molto pregata, come usava fare quella generazione. Quella dopo, la mia, è già di più basso profilo».
Lei pensa che rivedrà il suo amico Joseph Ratzinger?
«Sì, me lo dice il mio cuore con la mia mente, in forza di quella fede che ho fin da bambino, e che mi è stata trasmessa dai miei genitori e dalla mia parrocchia».
Che cos’è l’aldilà?
«La cosa più sbagliata è pensarlo come un’altra vita. È la stessa vita che ha raggiunto la sua pienezza».
***
dal Corriere della Sera
La lettera di Ratzinger:
«L’insonnia motivo centrale delle mie dimissioni»
di Gian Guido Vecchi
Il testo inviato da Benedetto XVI al biografo Seewald nove settimane prima della morte: «L’insonnia mi ha colpito ininterrottamente dal 2005, ma i farmaci non funzionavano più»
CITTÀ DEL VATICANO L’11 febbraio 2013, nella «Declaratio» con la quale annunciò la rinuncia al pontificato, Benedetto XVI spiegò di essere «pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino». Non entrò nei dettagli ma ora, attraverso una sua lettera scritta al biografo Peter Seewald nove settimane prima della morte, il 28 ottobre 2022, si viene a sapere che «il motivo centrale» fu un’insonnia («Schlaflosigkeit») che lo tormentava da anni, «l’insonnia mi ha accompagnato ininterrottamente dalla Giornata Mondiale della Gioventù di Colonia», e cioè dall’agosto 2005, il primo viaggio del pontificato. La lettera, rivelata in Germania dal settimanale Focus, è stata confermata dallo stesso Seewald all’agenzia Kna dei vescovi tedeschi. Benedetto XVI scrive che i «forti rimedi» che all’epoca gli erano stati prescritti dal medico personale avevano funzionato in un primo tempo e garantito la sua «disponibilità» come Papa. Ma poi i farmaci hanno «raggiunto i loro limiti», i sonniferi non funzionavano più.
Durante il suo viaggio in Messico e a Cuba, nel marzo 2012, Benedetto XVI ebbe un incidente, la mattina dopo la prima notte notò che il suo fazzoletto era «completamente intriso di sangue», ha scritto nella lettera: «Devo aver urtato qualcosa in bagno ed essere caduto». Un medico era riuscito a intervenire in mondo che la ferita non fosse visibile, nessuno si era accorto di nulla. Dopo l’incidente, il nuovo medico personale aveva chiesto di ridurre il consumo di sonniferi e insistito affinché Benedetto, nei futuri viaggi all’estero, apparisse in pubblico solo la mattina. Ratzinger scrive come gli sia stato chiaro che quelle restrizioni mediche «potevano essere applicate solo per un breve periodo». Nel luglio del 2013 era programmato un altro viaggio internazionale di lunga durata, la Giornata Mondiale della Gioventù di Rio de Janeiro, e Benedetto sapeva che non sarebbe stato più in grado di «affrontarlo»: di qui la decisione di dimettersi in tempo perché il nuovo Papa potesse andare a Rio. Una «riflessione sobria e ponderata», scrive Benedetto XVI. Seewald ha spiegato alla Kna di aver voluto rendere pubblica la lettera perché, anche dopo la morte, «non si sono spente le voci di ricatti e pressioni di qualche tipo esercitate su di lui». In quell’ultima lettera, con buona pace dei complottisti, Ratzinger spiega che le cose sono andate «esattamente come le ha espresse nella sua dichiarazione di dimissioni». Nella sua Declaratio, aveva spiegato che «per governare la barca di san Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo» che «negli ultimi mesi» gli era venuto a mancare. Del resto, nelle «Ultime conversazioni» scritte con lo stesso Seewald, Ratzinger aveva smentito tutte le voci cospiratorie: «Sono tutte assurdità. Nessuno ha cercato di ricattarmi. Non lo avrei nemmeno permesso».
Commenti Recenti